VIDEO. Donna de Paradiso. Jacopone da Todi e la mamma
Feb 14, 2022Qui la canzone di De André: https://www.youtube.com/watch? v=22oe3ynMcCg
Qui la canzone di Vecchioni: https://www.youtube.com/watch? v=9w9kobKRqRA
Qui di seguito un mio approfondimento sulle poesie relative alla passione di Gesù:
I grandi poeti e il Venerdì Santo: la passione di Cristo contemplata da Jacopone, Ungaretti, Alda Merini
Egregio Direttore,
oggi è Venerdì Santo: il giorno della morte di Dio. Morte di Dio è un ossimoro, una figura retorica del linguaggio poetico, come silenzio assordante, o buio luminoso: tutti ossimori che possono avvicinarci al mistero di questo Venerdì.
Il Dio vero, l’unico Dio, il Dio incarnato in Gesù Cristo muore per noi, per mostrarci la grandezza del Suo amore e la gloria della Sua resurrezione. Lui è la Via, e tra oggi e la domenica di Pasqua ci indica i passi che dobbiamo compiere, ci apre la pista che dobbiamo seguire. Lui è la Verità, e in questi tre giorni prova al di là di ogni dubbio la verità della Sua parola, del Suo “buon annuncio” (questo significa il termine Vangelo). Lui è la Vita, la Vita che sconfigge la morte, la Vita eterna, di cui questa nostra vita terrena è solo l’avvio, la Vita che Gesù ci ha annunciato, e che solo Lui può darci, se noi Lo seguiamo.
I poeti hanno fatto fiorire l’ossimoro. Hanno guardato alla crocifissione, alla tortura di Cristo e all’angoscia di Maria. Non hanno rifiutato di confrontarsi con la sofferenza, non hanno voltato la faccia dall’altra parte. C’è chi si lascia coinvolgere da questa sofferenza atroce, ingiusta, la com-patisce, cioè soffre insieme a Gesù, a Maria (Jacopone da Todi); chi la accetta con l’umiltà di un discepolo, di un uomo che impara (il convertito Ungaretti); chi sente crescere dentro di sé un moto di ribellione (Alda Merini).
Caro Direttore, le propongo qualche verso di questi poeti straordinari. La poesia attinge alla Bellezza, e la Bellezza è un attributo di Dio.
Cominciamo dalla celeberrima lauda Donna de Paradiso del beato Jacopone da Todi (1230 circa-1306). Con queste parole la Madonna invoca Cristo. Nell’anafora, nella ripetizione ossessiva, si coglie lo strazio del suo dolore:
«O figlio, figlio, figlio,
figlio, amoroso giglio!
Figlio, chi dà consiglio
al cor mio angustïato?
figlio, amoroso giglio!
Figlio, chi dà consiglio
al cor mio angustïato?
Figlio occhi iocundi,
figlio, co’ non respundi?
Figlio, perché t’ascundi
al petto o’ si’ lattato?»
figlio, co’ non respundi?
Figlio, perché t’ascundi
al petto o’ si’ lattato?»
Alla comparsa della croce, Maria si rivolge proprio a questo strumento di tortura e di morte:
«Madonna, ecco la croce,
che la gente l’aduce,
ove la vera luce
dèi essere levato».
che la gente l’aduce,
ove la vera luce
dèi essere levato».
«O croce, e che farai?
El figlio mio torrai?
Come tu ponirai
chi non ha en sé peccato?»
El figlio mio torrai?
Come tu ponirai
chi non ha en sé peccato?»
Il poeta insiste sui particolari: prima viene inchiodata una mano, poi l’altra, poi i piedi. Gesù è un corpo torto, slogato dai suoi aguzzini. Jacopone ci fa partecipare all’orrore, all’abisso della sofferenza fisica (di Cristo) e interiore (di Maria alla vista delle torture):
«Donna, la man li è presa,
ennella croce è stesa;
con un bollon l’ho fesa,
tanto lo ci ho ficcato.
ennella croce è stesa;
con un bollon l’ho fesa,
tanto lo ci ho ficcato.
L’altra mano se prende,
ennella croce se stende
e lo dolor s’accende,
ch’è più moltiplicato.
ennella croce se stende
e lo dolor s’accende,
ch’è più moltiplicato.
Donna, li pè se prenno
e chiavellanse al lenno;
onne iontur’ aprenno,
tutto l’ho sdenodato».
e chiavellanse al lenno;
onne iontur’ aprenno,
tutto l’ho sdenodato».
Dopo tre ore di agonia, da mezzogiorno alle tre del pomeriggio (Mt 27, 45), sopraggiunge la morte. Sono versi che hanno incantato molti artisti, dal poeta-cineasta Pasolini a cantautori come De André e Vecchioni:
«Figlio, l’alma t’è ’scita,
figlio de la smarrita,
figlio de la sparita,
figlio attossecato!
figlio de la smarrita,
figlio de la sparita,
figlio attossecato!
Figlio bianco e vermiglio,
figlio senza simiglio,
figlio, a chi m’apiglio?
Figlio, pur m’hai lassato!
figlio senza simiglio,
figlio, a chi m’apiglio?
Figlio, pur m’hai lassato!
Figlio bianco e biondo,
figlio volto iocondo,
figlio, per che t’ha ’l mondo,
figlio, così sprezzato?»
figlio volto iocondo,
figlio, per che t’ha ’l mondo,
figlio, così sprezzato?»
La Madonna di Jacopone, sopraffatta dal dolore, vorrebbe morire insieme a suo Figlio. Più pacata la meditazione di Giuseppe Ungaretti (1888-1970). Per lui sottrarsi alla passione di Cristo, rifiutare il Suo sacrificio, significa spalancare l’inferno su questa terra. Leggiamo la conclusione di Mio fiume anche tu, dalla raccolta Il Dolore. La lirica appartiene alla sezione Roma occupata, risalente agli anni 1943-1944: la sofferenza di Gesù illumina le tenebre in cui è caduta l’umanità, dà modo di comprendere, e di superare, l’immane tragedia della Seconda guerra mondiale:
Vedo ora chiaro nella notte triste.
Vedo ora nella notte triste, imparo,
So che l’inferno s’apre sulla terra
Su misura di quanto
L’uomo si sottrae, folle,
Alla purezza della Tua passione.
So che l’inferno s’apre sulla terra
Su misura di quanto
L’uomo si sottrae, folle,
Alla purezza della Tua passione.
Fa piaga nel Tuo cuore
La somma del dolore
Che va spargendo sulla terra l’uomo;
Il Tuo cuore è la sede appassionata
Dell’amore non vano.
La somma del dolore
Che va spargendo sulla terra l’uomo;
Il Tuo cuore è la sede appassionata
Dell’amore non vano.
Cristo, pensoso palpito,
Astro incarnato nell’umane tenebre,
Fratello che t’immoli
Perennemente per riedificare
Umanamente l’uomo,
Santo, Santo che soffri,
Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,
Santo, Santo che soffri
Per liberare dalla morte i morti
E sorreggere noi infelici vivi,
D’un pianto solo mio non piango più,
Ecco, Ti chiamo, Santo,
Santo, Santo che soffri.
Astro incarnato nell’umane tenebre,
Fratello che t’immoli
Perennemente per riedificare
Umanamente l’uomo,
Santo, Santo che soffri,
Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,
Santo, Santo che soffri
Per liberare dalla morte i morti
E sorreggere noi infelici vivi,
D’un pianto solo mio non piango più,
Ecco, Ti chiamo, Santo,
Santo, Santo che soffri.
Il dolore del poeta è riscattato dal sacrificio di Cristo (“D’un pianto solo mio non piango più”), che accoglie in sé la sofferenza di tutta l’umanità e le dà un senso: Gesù soffre “per liberare dalla morte i morti/e sorreggere noi infelici vivi”.
In tempi più recenti, alla passione di Nostro Signore ha dedicato una raccolta di liriche Alda Merini (1931- 2009). Si intitola Poema della croce ed è stata pubblicata nel 2004. Di fronte alla crocifissione di Gesù, la compassione diviene per un attimo impotente rivolta:
Tutti gli uccelli si addensavano
intorno a quel fiore di grazia,
che era il volto di Cristo che moriva.
Tutti gli uccelli avrebbero voluto salvare una spina
dall’iniquo compito di entrare nella pelle del Creatore.
Tutti gli uccelli a stormo volarono addosso
cambiando rotta vertiginosamente
verso coloro che l’avevano condannato.
Tutti gli uccelli abbassarono il velo
sul volto di Maria,
affinché non vedesse lo scempio della sua carne.
E fu in quel momento
che un involontario demonio
entrò nel corpo delle donne
che gridavano dimenandosi come il vento
verso coloro che avevano straziato
il corpo del divino amore.
intorno a quel fiore di grazia,
che era il volto di Cristo che moriva.
Tutti gli uccelli avrebbero voluto salvare una spina
dall’iniquo compito di entrare nella pelle del Creatore.
Tutti gli uccelli a stormo volarono addosso
cambiando rotta vertiginosamente
verso coloro che l’avevano condannato.
Tutti gli uccelli abbassarono il velo
sul volto di Maria,
affinché non vedesse lo scempio della sua carne.
E fu in quel momento
che un involontario demonio
entrò nel corpo delle donne
che gridavano dimenandosi come il vento
verso coloro che avevano straziato
il corpo del divino amore.
Come in Jacopone, da cui la Merini prende le mosse, viene privilegiato il punto di vista di Maria, il suo sguardo carico di angoscia, a cui risponde quello del Figlio:
Potevano uccidere anche Maria,
ma Maria venne lasciata libera di vedere
la disfatta di tutto il suo grande pensiero.
Ed ecco che Dio dalla croce guarda la madre,
ed è la prima volta che così crocifisso
non la può stringere al cuore,
perché Maria spesso si rifugiava in quelle braccia possenti,
e lui la baciava sui capelli e la chiamava «giovane»
e la considerava ragazza.
Maria, figlia di Gesù.
ma Maria venne lasciata libera di vedere
la disfatta di tutto il suo grande pensiero.
Ed ecco che Dio dalla croce guarda la madre,
ed è la prima volta che così crocifisso
non la può stringere al cuore,
perché Maria spesso si rifugiava in quelle braccia possenti,
e lui la baciava sui capelli e la chiamava «giovane»
e la considerava ragazza.
Maria, figlia di Gesù.
Alla Madonna, e a ciascuno di noi, Cristo fa una promessa. Il resto è silenzio assordante, buio luminoso:
«Ti lascio tutto quello che non ho avuto,
ma guardando i tuoi occhi, Maria,
che sono gonfi di pianto
e urlano senza essere sentiti,
io rivedo la mia giovinezza
e l’angoscia fugge lontana.
Mi rivedrai, Maria,
non ti lascerò mai sola,
anzi, ritornerò,
ti verrò a prendere,
come tutti gli innamorati
che hanno lasciato vedova
una bambina».
ma guardando i tuoi occhi, Maria,
che sono gonfi di pianto
e urlano senza essere sentiti,
io rivedo la mia giovinezza
e l’angoscia fugge lontana.
Mi rivedrai, Maria,
non ti lascerò mai sola,
anzi, ritornerò,
ti verrò a prendere,
come tutti gli innamorati
che hanno lasciato vedova
una bambina».
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