Via padre e madre, assist della Cassazione alle adozioni gay
Apr 12, 2025
di Tommaso Scandroglio
La Corte respinge il ricorso del Viminale e riscrive "genitori" sulla carta di identità dei minori per legittimare l'omogenitorialità. Una sentenza figlia della legge Cirinnà, che ha equiparato coniugi e coppie omosessuali: a portarla alle estreme conseguenze ci pensano i giudici.
La vicenda iniziò nel 2015 con un Decreto del Ministero dell’Interno in cui questi, in materia di emissione della carta d’identità elettronica e relativamente al caso di minori, decise di preferire alle parole “padre” e “madre” la dicitura “genitori” perché inclusiva delle coppie omosessuali. Nel 2019, sempre il Ministero dell’Interno, al cui vertice c’era Matteo Salvini, e sempre con decreto, ribaltò la situazione: al posto di “genitori” rimettiamo “padre” e “madre”.
La palla passò alla magistratura. Ecco allora che il Tribunale di Roma nel 2023, trattando del caso di una minore figlia di una coppia lesbica a seguito di stepchild adoption (cfr. art. 44, c. 1, lettera d. l. 184/83), ordinava al Ministero dell’Interno di far apporre sulla carta d’identità la dicitura “genitore” o “padre/genitore” e “madre/genitore”. Il Ministero fece ricorso, ma perse. Il problema stava e sta in quei minori figli naturali di un membro della coppia gay e adottati dall’altro partner: il bambino sarebbe giuridicamente figlio di entrambi (cfr. Corte Costituzionale sentenza 79/22 e Corte di Cassazione sentenza 38162/22), cioè di due padri o di due madri, e dunque la soluzione di chiamarli entrambi “genitori” avrebbe tagliato la testa al toro (e anche al buon senso). La Corte d’Appello commentò dunque che la dicitura “padre e madre” fosse discriminatoria, perché appunto escludente le coppie di genitori gay.
Il Ministero non si arrese e ricorse in Cassazione. Il Ministro eccepiva il fatto che per l’ordinamento italiano i genitori devono avere due sessi diversi (cfr. art. 5 l. 40/04, 231 cc, 243 bis cc, 246 cc, 247 cc, 250 cc, 262 cc, 269 cc, 408 cc, 566 cc, 568 cc, 599 cc, 643 cc). Riconoscere l’omogenitorialità sarebbe poi contrario all’ordine pubblico, ossia a quei principi fondanti la convivenza civile. La Cassazione, con la sentenza n. 9216/2025 pubblicata l’8 aprile scorso, ha rigettato il ricorso del Ministero. I giudici hanno ribadito che, nel caso di specie e dunque per tutti i casi analoghi, se il minore è figlio di una coppia gay, con il decreto del 2019 uno dei due genitori omosessuali verrebbe indicato come “padre”, pur essendo “madre”, e come “madre”, pur essendo “padre”. Quindi la carta d’identità non rappresenterebbe fedelmente la situazione di fatto creatasi con l’adozione. Qui è il cardine del problema: l’adozione c’è stata, il minore ha due padri o due madri e dunque la dicitura “padre e madre” non fotografa la situazione giuridica di fatto. Sarebbe un falso.
La Corte di Cassazione, al pari di quella di Appello, non obietta sul fatto che i genitori per legge devono essere di sesso diverso, ma obietta che una carta di identità con l’indicazione “padre e madre” possa andare bene per i genitori omosessuali che sono diventati tali grazie all’istituto dell’adozione in casi particolari. Dunque – aggiungiamo noi – i giudici di Cassazione ammettono implicitamente che i loro colleghi che hanno aperto le porte alla stepchild adoption per le coppie gay hanno deciso contra legem, snaturando la sezione della legge sull’adozione dedicata ai casi particolari e piegandola alle loro esigenze ideologiche (per un approfondimento clicca qui, qui , qui e qui). Dunque, come già annotavamo a suo tempo commentando questa stessa vicenda al suo sorgere, l’errore fatale è stato commesso in principio dal «Tribunale che ha permesso alla compagna della madre biologica di adottare la bambina. Poteva farlo? La risposta è negativa», proprio perché i genitori devono essere di sesso differente. Decisione quindi illegittima.
Individuato l’inciampo iniziale, domandiamoci ora: di chi è figlia questa sentenza come molte altre? Purtroppo per lei, anche questa sentenza ha un padre e una madre. Il padre è un certo orientamento culturale color arcobaleno che crede che un bambino possa avere due padri o due madri. È un orientamento culturale elitario che non ha ancora intaccato le masse, ma che può influenzarle a lungo andare.
La madre di questa sentenza è invece una legge, la legge Cirinnà (l. 76/2016). In essa troviamo il peccato originale della legittimazione dell’omogenitorialità. Questa legge ha equiparato matrimonio e unioni civili omosessuali. Ora se coniugi e coppie gay unite civilmente sono uguali in tutto e per tutto perché non dovrebbero esserlo anche nella filiazione e nella genitorialità? Sarebbe illogico e irrazionale affermare che coniugi e coppie gay hanno i medesimi diritti nel diritto di famiglia ed escludere da questo ambito proprio i figli.
La Cirinnà tentò proprio questa esclusione affermando che l’equiparazione era totale eccetto il dovere di fedeltà e la disciplina normativa relativa alla filiazione. Ma appena buttata fuori dalla porta l’omogenitorialità, ecco che rientrò dalla finestra grazie alla riga finale del comma 20 dell’art. 1 che così recita: «Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti». Era un segnale in codice per i giudici: che applicassero alle coppie gay la sezione della legge sull’adozione che riguarda i casi particolari, ossia ad esempio la stepchild adoption. Dalle adozioni di prossimità, per contiguità, i casi di omogenitorialità nel tempo si moltiplicarono tramite le trascrizioni di atti di nascita formati all'estero, il riconoscimento in Italia di provvedimenti di adozione da parte di entrambi i partner gay pronunciati all'estero e la rettifica di attribuzione del sesso.
Dunque da una parte la Cirinnà conferma che i bambini possono avere solo due genitori di sesso differente, dato che esplicitamente esclude la materia della filiazione dall’equiparazione matrimonio-unioni civili, ma su altro fronte la sua ratio – matrimonio e unione civile pari sono – esige piena applicazione: se i due istituti si sovrappongono perfettamente, perché escludere la materia della filiazione? Tanto più che, seppur in modo allusivo, indica già la strada per l’omogenitorialità: la stepchild adoption. La Cassazione non ha fatto altro che trarre le debite conclusioni, relativamente all’ambito della filiazione, dal principio giuridico di fondo contenuto nella legge Cirinnà indicante la piena uguaglianza tra matrimonio e unione civile.
FONTE : La Nuova Bussola Quotidiana
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