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Vaccino, il nuovo idolo

covid paolo gulisano vaccini Apr 23, 2022

di Paolo Gulisano

La narrazione pandemica vigente da due anni come noto non ha trovato praticamente ostacoli. La potenza della propaganda mediatica ha soverchiato ogni voce critica. Inoltre, qualche voce che avrebbe potuto e dovuto farsi sentire, ha taciuto, quando addirittura non ha fatto da eco alla vulgata ufficiale. Una di queste voci è la Chiesa cattolica romana. Eppure almeno un motivo per esprimere qualche dubbio di tipo etico c’era, eccome. Ad esempio il fatto che i vaccini immessi in circolazione alla fine di dicembre 2020, e tutt’ora usati, sono stati preparati utilizzando linee cellulari di feti umani abortiti.

L’industria del vaccino peraltro non è nuova a tali ritrovati. Già da tempo sono in commercio vaccini ottenuti con questa metodica, e in passato la Chiesa cattolica aveva espresso un netto giudizio su queste pratiche. Nel documento Dignitas personae riguardo all’illiceità di ricorrere a linee cellulari che abbiano una qualche correlazione con aborti: si poteva leggere: “Una fattispecie diversa viene a configurarsi quando i ricercatori impiegano ‘materiale biologico’ di origine illecita che è stato prodotto fuori dal loro centro di ricerca o che si trova in commercio. L’Istruzione Donum vitae ha formulato il principio generale che in questi casi deve essere osservato: ‘I cadaveri di embrioni o feti umani, volontariamente abortiti o non, devono essere rispettati come le spoglie degli altri esseri umani. In particolare non possono essere oggetto di mutilazioni o autopsie se la loro morte non è stata accertata e senza il consenso dei genitori o della madre. Inoltre va sempre fatta salva l’esigenza morale che non vi sia stata complicità alcuna con l’aborto volontario e che sia evitato il pericolo di scandalo’”.

Come mai questo criterio scientifico e teologico è scomparso dal pensiero e dalla prassi della Chiesa? Lo spiega molto bene Luisella Scrosati in un libro dal titolo molto esplicito: L’idolatria dei vaccini. Il problema morale degli esperimenti sui feti abortiti (Editrice Fede&Cultura). In effetti, oltre a diversi aspetti prettamente medico-scientifici, la questione dei vaccini è anche teologica, ed è dall’evidenza che il vaccino sta assumendo prerogative addirittura divine (nell’omelia del Natale 2020, mentre i vaccini stavano per essere messi in commercio, Jorge Mario Bergoglio li definì “luce e speranza” ) che la Scrosati identifica in questa visione un fenomeno di vera e propria idolatria.

Non solo il vaccino è visto come un’entità salvifica, una sorta di “liberatore” dai lacci dei provvedimenti dell’emergenza sanitaria (peraltro emanati dagli stessi che poi promuovono il vaccino come unica soluzione al problema) oggetto quindi di un culto idolatrico, ma si tratta inoltre di una divinità che è uscita da laboratori dove per realizzarla sono state utilizzate cellule di feti umani abortiti. L’aborto è l’abominevole uccisione di un bambino nell’utero della mamma. Uno dei peccati più gravi che esistano.

Il silenzio della gerarchia cattolica, quindi, che ha voluto dire l’accettazione passiva della presenza di cellule di feti abortiti nei vaccini, ha contribuito all’approvazione sempre più diffusa non solo dell’aborto, ma anche della ricerca sulle cellule staminali embrionali, ripetutamente condannata dalla Chiesa. A questo si aggiunga che la ricerca sui tessuti di feti abortiti è degenerata in una serie di pratiche barbare e grottesche che richiedono un continuo rifornimento di tessuti freschi.

Spesso la giustificazione per il proseguimento di simili pratiche, che comportano la creazione e l’immediata distruzione di vite umane, è che dopo tutto i vaccini di cui ci serviamo sono stati sviluppati in tessuti fetali. Non si tratta di una questione di poco conto, ma di un aspetto grandemente sottovalutato di una battaglia che va combattuta su più fronti per sconfiggere l’anticultura della morte e ripristinare la dignità della persona umana.

L’idolatria dei vaccini demolisce sistematicamente quelle tesi uscite da ambienti teocon, dove docenti di storia si sono riciclati in bioeticisti pur di dare il proprio endorsement alle politiche vaccinali, in nome di un machiavellismo inaccettabile.

Una volta stabilita l’origine illecita delle linee cellulari e l’inammissibilità del loro impiego da parte dei ricercatori, il discorso avrebbe dovuto essere chiuso. Invece qualche cattoconservatore si è arrampicato sugli specchi di concetti quali “cooperazione al male”, “evento remoto” e altri gesuitismi di questo tipo. Ma è evidentemente vano ogni tentativo di dimostrare che “il fine giustifica i mezzi”. Non esistono ragioni sufficienti per giustificare l’utilizzo del cosiddetto “materiale biologico” di origine fetale umana.

Nel caso della SARS-CoV-2 non si può parlare di circostanze gravi che permettano di usare vaccini connessi a pratiche abortive. Non sono disponibili dispositivi terapeutici moralmente irreprensibili atti a scongiurare il pericolo per la salute che si va prospettando. Purtroppo la questione della “causa grave” non è nuova per quanti seguono da vicino le discussioni su vaccini, aborto e cooperazione al male.

Viene ricordato che usando questo tipo di vaccini non si può evitare ciò che i teologi moralisti chiamano “appropriazione del male”. Si tratta di una precisazione importante in riferimento agli attuali vaccini anticovid. “La natura degli atti afferenti alla fattispecie della cooperazione e a quella dell’appropriazione è fondamentalmente la stessa. In entrambi i casi, un attore compie un’azione ausiliaria che facilita in qualche misura o rende possibile il compimento dell’azione principale da parte di un altro attore. La differenza risiede nell’identità di chi deve decidere se compiere o meno un atto moralmente discutibile e di chi ha già risolto di procedere in tal senso. Dal punto di vista degli effetti esteriori dell’azione umana, il problema della cooperazione è palese: l’atto di chi coopera fomenta chiaramente quello orientato al male di un altro attore. Ma in questa prospettiva il rischio morale dell’appropriazione passa inosservato. Chi si appropria dei frutti o dei sottoprodotti di un’azione immorale non contribuisce sul piano causale alla sua esecuzione”.

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