UsAid, la prova che gli Stati Uniti sono il Paese che aiuta di più
Feb 19, 2025
di Anna Bono
Il coro di proteste circa le scelte di Trump legate all’assistenza all’estero e in particolare all’UsAid conferma che gli USA sono il Paese che finanzia più aiuti umanitari. E senza neanche un "grazie". La gestione impropria dell’UsAid, con progetti ideologici, mette a rischio anche i progetti buoni. Ma Rubio rassicura.
Fedele al suo programma politico, il presidente Donald Trump, poche ore dopo il suo insediamento, con uno dei suoi primi ordini esecutivi – “Rivalutare e riallineare gli aiuti esteri degli Stati Uniti” – ha sospeso i programmi di assistenza estera. Nella convinzione che non tutti gli aiuti internazionali siano allineati con gli interessi americani e in molti casi siano antitetici ai valori americani – spiega l’ordine esecutivo – è sospesa con effetto immediato l’assunzione di impegni con e l’erogazione di fondi a Paesi stranieri e a organizzazioni non governative per 90 giorni, al termine dei quali si deciderà quali programmi continuare, modificare o interrompere.
Le verifiche sono subito iniziate e, pochi giorni dopo, nel mirino degli ispettori è finita niente meno che l’UsAid, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale, il principale organo governativo preposto all’erogazione degli aiuti internazionali, che da sola provvede alla gestione di 40 dei quasi 70 miliardi che Washington stanzia ogni anno per la cooperazione. L’UsAid è stata fondata negli anni Sessanta del secolo scorso per gestire i programmi di aiuti umanitari del governo americano. Ha circa 10 mila dipendenti, tre quarti dei quali distaccati oltreoceano, ha sedi in oltre 60 Paesi ed è operativa in molti altri. Gran parte delle sue iniziative sono affidate ad altre organizzazioni che l’UsAid ingaggia e finanzia. Principalmente si tratta di aiuti umanitari e la gamma delle attività è molto vasta: va dagli interventi per sopperire a bisogni primari, ad esempio la distribuzione di generi alimentari a persone che rischiano di morire di fame, a quelli sanitari, come le campagne di vaccinazione contro la poliomielite e altre malattie, a quelli in campo scolastico, per favorire ad esempio l’accesso delle bambine all’istruzione.
È da tempo che si denuncia una gestione disinvolta e persino impropria dei fondi a disposizione dell’UsAid, destinati spesso a progetti incompatibili con le direttive dell’amministrazione USA. Sotto accusa sono ad esempio i finanziamenti a iniziative che promuovono le attività di organizzazioni Lgbtq e quelli per la salute riproduttiva e la pianificazione familiare che includono le pratiche abortive. E non solo. Dopo che il 7 febbraio si è diffusa la notizia che Trump intende chiudere l’agenzia fondendola con il Dipartimento di Stato, l’organo più potente dell’amministrazione USA, responsabile della politica estera, attualmente affidato a Marco Rubio, si stanno diffondendo notizie di finanziamenti che, se autentiche, aprono scenari che vanno ben oltre l’uso disinvolto e improprio. Ad esempio, l’UsAid avrebbe addirittura pagato 3,3 milioni di dollari a una organizzazione non governativa, la Tomorrow's Youth Organization, che aiuta i giovani palestinesi di Gaza e il cui direttore esecutivo, Raffoul Saadeh, è un rapper che usa la musica per promuovere l’odio per gli ebrei con canzoni antisemite. A rivelarlo è stato il repubblicano Mike Lawler, membro del Congresso.
Il timore adesso è che a fare le spese della discutibile gestione dell’UsAid siano le decine di milioni di persone che beneficiano dei progetti finanziati dagli Stati Uniti in tutto il mondo e soprattutto in Asia e nell’Africa subsahariana dove si concentra la stragrande maggioranza degli interventi americani. In Etiopia è a rischio l’attività dell’Organizzazione per il servizio sociale, la sanità e lo sviluppo che distribuisce aiuti alimentari e medicinali per la cura dell’Aids a oltre 30 mila persone nella regione del Tigré. «Ci hanno detto di fermare tutto, anche le attività in corso – spiega il direttore dell’Ong, Yirga Gebregziabher –. Non sappiamo neanche se potremo pagare gli stipendi di febbraio». In Zimbabwe, ZNNP+, la rete nazionale per le persone affette da HIV, si prepara all’eventualità di dover ridurre l’accesso ai servizi essenziali, con conseguenze a lungo termine sulla salute sia in termini di prevenzione che di cura e con un ulteriore danno costituito dalla perdita di fiducia, conquistata nel tempo e con difficoltà, da parte degli assistiti e delle loro comunità. Nella Repubblica democratica del Congo, lo scorso anno, il 70% delle operazioni umanitarie, dalle quali dipende tanta parte dell’assistenza alla popolazione, sono state finanziate dagli Stati Uniti. A rischio sono la gestione ordinaria dei progetti umanitari, ma anche la campagna di vaccinazione contro l’epidemia di Mpox (monkeypox) attualmente in corso. Nel Sudan in guerra la sospensione degli aiuti statunitensi lascia milioni di persone senza difese contro le epidemie di colera, malaria, morbillo. Africa a parte, tra le molte situazioni critiche, si segnalano quella di Haiti, dove generi alimentari per 340 milioni di dollari aspettano di ricevere dagli USA l’autorizzazione a essere distribuiti, e quella dei milioni di pakistani colpiti da inondazioni, assistiti finora dall’UsAid e da altri enti americani.
Il coro di proteste, le sollecitazioni al presidente Trump affinché riveda le sue decisioni, il grande numero di progetti e programmi in tutto il mondo rivela quello che finora non si era capito o si era voluto sottacere: gli Stati Uniti sono di gran lunga il principale e maggiore finanziatore di aiuti umanitari, assistenza e cooperazione in tutto il mondo. I numeri lo provano. A fronte dei 70 miliardi di dollari stanziati da Washington, il contributo del Regno Unito, anch’esso tra i principali erogatori di aiuti umanitari, supera di poco i 15 miliardi di dollari. UsAid a parte, gli Stati Uniti sono anche e di gran lunga i maggiori finanziatori dell’Organizzazione mondiale della sanità, ai fondi della quale contribuisce per oltre il 14%, e delle altre agenzie umanitarie delle Nazioni Unite. L’Alto commissariato Onu per i rifugiati, ad esempio, nel 2024 ha ricevuto dagli USA più di due miliardi di dollari. Il secondo maggior finanziatore è stata la Germania, con 332 milioni, seguita dall’Unione Europea con 270 milioni. Se ad esempio venissero meno i fondi americani al Programma Onu per l’Hiv/Aids, l’Onu ha dichiarato che i casi di Aids potrebbero aumentare di oltre sei volte entro il 2029.
Marco Rubio in realtà ha subito assicurato che, in deroga alle disposizioni generali e ferma restando la decisione di valutare caso per caso gli investimenti nell’ambito della cooperazione internazionale in funzione delle linee politiche dell’amministrazione Trump, gli Stati Uniti tengono conto dell’esistenza di situazioni che non possono essere private di assistenza. Programmi salvavita non sono stati e non saranno sospesi mentre sono in corso le verifiche. È presumibile inoltre che gran parte delle iniziative umanitarie alla fine saranno approvate eventualmente ponendo condizioni rigorose.
Dunque, gli Stati Uniti continueranno a salvare l’umanità sofferente, abbandonata alla sua sorte da governi irresponsabili. Meriterebbero almeno un “grazie” che finora è stato loro negato.
FONTE : La Nuova Bussola Quotidiana
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