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«Un Fatto ci rende lieti nelle tribolazioni». La prefazione di Pizzaballa a “Sulle tracce di Cristo”

cardinale pierbattista pizzaballa don luigi giussani luigi amicone tempi Jun 21, 2024

di Pierbattista Pizzaballa

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo la prefazione integrale del cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, alla nuova edizione di “Sulle tracce di Cristo. Viaggio in Terrasanta con Luigi Giussani” di Luigi Amicone (Bur Rizzoli).

Era il 1986 quando don Giussani si mise “sulle tracce di Cristo” con un gruppo di amici pellegrini. Anche allora la situazione in Terra Santa non era semplice, eppure il suo sguardo era fissato su altro. Meglio, guardava quei luoghi da un altro punto di vista. A Betlemme, dopo aver fatto leggere il Prologo del vangelo di Giovanni – «In principio era il Verbo […]. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» –, Giussani commenta: «È il metodo che in fondo Dio ha sempre seguito […] in tutte le circostanze in cui ha voluto dimostrare che era la sua potenza che dava consistenza alla realtà delle cose. […] Il Signore usa questo metodo per dimostrare che la potenza non è nostra, non sta nella nostra intelligenza, non è una nostra forza, ma è Suo Potere» (pp. 132-133).

Questo sentimento riempiva il suo cuore calpestando la terra di Gesù: «Tutto è avvenuto senza alcun clamore umano. Tutto il popolo ebraico e il grande Giovanni Battista […] aspettavano il Messia come qualcosa di clamoroso. Come qualcosa di eccezionale che avrebbe realizzato la giustizia nel mondo». E invece è accaduto come «un seme vivo che prorompe nella terra a dispetto di tutti i passaggi delle stagioni. E dapprima sembra una cosa di cui si può benissimo non tenere conto. Così come hanno fatto tutti gli annalisti del I secolo, compresi gli scrittori romani che, come Tacito o Svetonio, riferiscono di quella “setta il cui fondatore Cristo fu suppliziato sotto l’impero di Tiberio”. Questo seme prorompe dapprima in modo apparentemente insensibile, ma poi, dopo duemila anni, ne siamo investiti umanamente, ragionevolmente, affettivamente» (pp. 131-132).

Anche oggi, in mezzo alla guerra e al male che gli uomini si procurano con le loro stesse mani, Dio non cambia metodo. E anche oggi ci troviamo nella situazione dei discepoli sulla barca sballottata dalle onde, tutti presi dalla paura. «Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”. Si destò, minacciò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”» (Mc 4,37-40). Sono parole dette anche a noi oggi, quando ci lasciamo assalire dal panico pensando di essere alla fine. Ma il Signore è presente ed è Lui che rende sicura la nostra navigazione nel mare in tempesta. Sempre e solo Lui ha la forza di placare le acque. E questo ci riempie di stupore. Lo ricorda don Giussani proprio nella tappa al Lago di Tiberiade: «Quegli uomini erano con lui da mesi, da anni. Conoscevano suo padre e sua madre, sapevano dove abitava eppure di fronte a lui arrivano a chiedersi: “Ma chi è Costui? Ma tu chi sei?”. […] Quell’Uomo aveva una tale potenza, così sproporzionata all’immaginazione dell’uomo, che sono stati costretti a porsi quelle domande» (p. 95).

Ogni giorno siamo investiti da notizie sempre più tragiche e da analisi sempre più disperanti; sembra non ci sia via d’uscita, che la pace sia impossibile. E anche noi cristiani possiamo cedere a questo clima e perdere la speranza. Anche noi possiamo diventare come i discepoli di Emmaus, con i quali don Giussani invita a immedesimarci: «Noi camminiamo come cristiani tristi. La tristezza non viene dalla prova e dal dolore, la tristezza viene sempre dall’assenza di significato o dalla fragilità della ragione. La tristezza è sempre un interrogativo sul “vale la pena”, “vale proprio la pena?”, “sarà proprio così?”. In fondo la tristezza nasce da un’ultima scetticità. […] Ma il Signore che comprende la nostra situazione, la nostra umanità, non ci abbandona in questa tristezza. […] Il Signore, anche non riconosciuto, ci accompagna nei nostri passi sulla via» (pp. 169-170).

Quando ci lasciamo sopraffare dalla tristezza e dalla disperazione, trascuriamo un particolare essenziale, che cioè tutta la nostra speranza è in un uomo che è salito sulla croce per noi ed è risorto per liberarci dal male. La Chiesa è nata sotto la croce, dove il Figlio di Dio, coronato di spine, è diventato il re del mondo. Il suo cuore trafitto, per la potenza di Dio, ha trasformato un fallimento in vittoria.

Lungo la Via Dolorosa don Giussani pensa: «La vita di ognuno ha un destino di Via Crucis: Cristo. […] Tutti a quel tempo aspettavano il Redentore. Ma il Redentore […] è diverso da ciò che ci aspettiamo. E questa diversità, che dovrebbe farci piegare il cuore di fronte al Mistero, diventa la ragione di affermazione di noi stessi di fronte a Dio. La Via Crucis […] è in questa ribellione o in questo tradimento […], nell’adesione alla mentalità comune. […] Così Cristo deve passare attraverso la situazione che in noi è generata dalla mentalità comune a cui aderiamo» (p. 163). Lasciamo che Cristo attraversi la terra arida del nostro cuore e la faccia germogliare della vita nuova che ci ha promesso, così che i nostri fratelli e le nostre sorelle, in Terra Santa e nel mondo, ritrovino speranza. È questa la nostra sicurezza, non saranno le nostre imprese a cambiare le sorti della guerra e dell’odio tra i popoli. Cristo in croce ce lo ricorda costantemente.

Il male del mondo ci interroga come cristiani. E Dio ci chiama a vivere la nostra vocazione in questa circostanza drammatica senza fuggire. Non ci spaventa il male, e non perché noi siamo forti, ma perché è forte Colui che è tra noi.

Non saranno le nostre strategie a cambiare il corso degli eventi. Dio opera la sua salvezza diversamente: attraverso la testimonianza dei cristiani, di noi poveri peccatori, fino al dono di sé. Lo ricorda don Giussani sostando in preghiera davanti alla grotta dei Santi Innocenti: «La prima testimonianza è quella dei bambini uccisi per Lui senza che loro potessero saperlo: i Santi Innocenti ci aiutino in questa semplicità grandiosa e, dalla pochezza di quello che siamo, una grande ricchezza per il mondo noi aspiriamo a diventare e a essere. Dobbiamo essere una testimonianza, semplicemente un’offerta senza fondo a Colui che è padre e madre della nostra vita, al padre e alla madre che non ha simili, perché siamo completamente e totalmente suoi, tutti suoi» (pp. 134-135).

Mettersi sulle tracce di Cristo in compagnia di don Giussani – attraverso questa cronaca di viaggio – ci farà bene. Lasciamoci prendere per mano e riviviamo insieme a lui l’avventura più entusiasmante che potesse accadere nella vita degli uomini e delle donne di ogni tempo: «Vedendo quei luoghi dove soltanto un’umanità viva, sia pure determinata così embrionalmente e seminalmente, ha potuto attecchire e avere la forza di resistere, di comunicarsi e di travolgere il mondo, risulta chiaro che nella vita della Chiesa di oggi quello che conta è la vivezza di una fede rinnovata e non un potere derivato da una storia, da una istituzione che si è affermata, o da un ordinamento intellettuale teologico. Ciò che conta è realmente che la vita incominciata in Maria e Giuseppe, in Giovanni e Andrea, sia come riaccesa nel cuore della gente e la folla sia aiutata a un incontro incidente sulla vita così come avvenne alle origini del cristianesimo» (pp. 192-193).

Ascoltiamo ancora don Giussani: «Quello che ci si porta via da quei luoghi è il desiderio, lo struggimento che la gente si accorga di quanto è accaduto. E invece quello che è accaduto sembra che oggi sia possibile cancellarlo così come si cancella con un piede una lettera sulla sabbia, una lettera sulla sabbia del mondo. Ma questo avviene proprio perché ciò che è accaduto è una proposta alla libertà dell’uomo e perché sia chiaro che la potenza è di Dio. Oggi sembra più grande e più importante tutto il resto – la politica, l’economia… – che questo avvenimento così facilmente e a buon mercato identificabile con una fiaba. Ma la concretezza di quell’avvenimento è così umana vedendo quei luoghi che non si può tornare dalla Palestina col dubbio che il cristianesimo sia una favola. Mettersi nelle condizioni naturali, logistiche in cui Cristo si è venuto a trovare, il paesaggio che ha visto, le rocce che ha calpestato, le distanze che ha camminato, tutto collabora e ti costringe a capire la verità di quello che è accaduto» (pp. 193-194).

È questo Fatto accaduto che ci rende lieti nelle tribolazioni. Tutto guardiamo con lo sguardo redento che nasce guardando Gesù, vivendo come Gesù, attraversando ogni circostanza, ogni avversità senza che ci possa travolgere.

Sono convinto che senza uno sguardo religioso tutto si complica e la confusione prende il sopravvento, nessuna analisi geopolitica – per quanto seria – può sciogliere i nodi di una situazione così complessa. Noi cristiani non confidiamo nelle nostre forze, ma in una Persona, come ci ricorda sempre papa Francesco: «Capisco le persone che inclinano alla tristezza per le gravi difficoltà che devono patire, però poco alla volta bisogna permettere che la gioia della fede cominci a destarsi, come una segreta ma ferma fiducia, anche in mezzo alle peggiori angustie. […] Non mi stancherò di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva”» (Evangelii gaudium, 6 e 7). È questa la nostra speranza, di piccoli discepoli sulle tracce di Cristo.

Gerusalemme, 7 maggio 2024

FONTE : TEMPI

 

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