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TRAGEDIA GRECA: origine e struttura

andrea di napoli cultura e bellezza Apr 26, 2024

di Andrea Di Napoli

Cari amici lettori,

oggi intendo approfondire una tematica assai nobile ed a me altrettanto assai cara: la tragedia greca, ovvero la forma prototipica di teatro. Il teatro, tragico e comico, è l’espressione più caratteristica della cultura ateniese del secolo V a.C. e al tempo stesso un genere letterario per il quale non esistono eguali in nessuna civiltà precedente ai Greci. Nella galassia delle forme culturali che l’antichità ha trasmesso alle epoche successive, dunque, il teatro costituisce un modello fondamentale con cui tutta la tradizione occidentale ha dovuto inevitabilmente fare i conti. Da certi punti di vista, la tragedia si colloca all’interno della tradizione poetica precedente, sia epica che lirica, non solo perché ne deriva alcuni strumenti espressivi, ma soprattutto perché sfrutta lo stesso materiale della poesia epica, vale a dire il mito.

Tuttavia, rispetto all’epica, la tragedia esperisce un’inaspettata novità: i personaggi si staccano dalla trama del racconto per agire autonomamente sulla scena, mostrandosi così al pubblico come distinte individualità, dotate ciascuna di un proprio profilo psicologico. L’epica, difatti, è una narrazione (ἔπος, “parola”), il teatro invece è un’azione (δρᾶμα, da δράω, “agire”). La tragedia, dunque, diviene uno spettacolo assai complesso: il coro canta e danza, l’attore recita e declama, il testo è accompagnato dalla musica, l’apparato scenico (macchine, maschere, costumi, scenografie) acquisisce un ruolo determinante. Il passaggio dall’epica (racconto) alla tragedia (azione) cagiona una riduzione delle possibilità espressive, per cui la tragedia stessa, diversamente dalla poesia, è obbligata a rispettare tre fattori, noti anche come tre unità aristoteliche: unità d’azione, di tempo e di luogo. Aristotele, infatti, nella sua Poetica riferisce che: la tragedia debba ritagliare un solo momento del mito (unità d’azione); il fatto debba svilupparsi in un’unica giornata, dall’alba al tramonto (unità di tempo); il fatto debba svolgersi in un unico luogo (unità di luogo).

Questo limite espressivo è però compensato da un elemento intrinseco della tragedia stessa: l’azione drammatica permette la possibilità di scavare nei personaggi, nella loro psicologia, nelle loro motivazioni, nelle loro emozioni, nei loro affetti, dando così in sostanza profondità introspettiva a quelle piatte figure del mito. In Grecia, dunque, l’esperienza teatrale diventa un’occasione per una sorta di psicodramma collettivo, in cui è coinvolta tutta la città. Nell’Atene classica, il teatro è inteso come “liturgia”, ovvero come un pubblico servizio, fondamentale nella vita cittadina. Inoltre, la tragedia conserva anche i caratteri di un’esperienza rituale, dato che si svolge all’interno di una festa religiosa in onore di Dioniso. Il teatro è così da ritenersi un fenomeno di massa, un fenomeno cioè la cui funzione è quella di indurre alla riflessione circa le idee, i problemi e in generale la vita civile e culturale dell’Atene democratica. Lo spettacolo tragico nella Grecia classica è un’esperienza capace di coinvolgere l’intera popolazione in una riflessione collettiva sulla cultura della πόλις (città). La strutturazione formale della tragedia poggia su tre elementi cardini: il dolore, la scelta, il destino. La tragedia mette sulla scena la sofferenza (πάθος) di un eroe, la cui sorte lo conduce a misurarsi con le prove della vita. È tipico dell’intreccio tragico, inoltre, mostrare l’eroe davanti a due possibilità, entrambe dolorose: la decisione, qualunque essa sia, non lo porta alla salvezza, bensì a nuove sofferenze.

La tragedia così propone contestualmente il tema della libertà dell’uomo e quello della sua limitatezza. Infine, i personaggi del mito tragico sono sovradeterminati, nel senso che, seppur liberi di scegliere e di agire, patiscono comunque la presenza di forze esterne, con cui si scontrano: gli dei, il fato.  L’origine della tragedia costituisce uno dei problemi tradizionali della filologia classica. Ogni tentativo esegetico deve confrontarsi con la Poetica di Aristotele, che fu il primo a partorire una teoria complessiva sul genere tragico. Aristotele scrive (Poetica 1449a) che: “La tragedia nasce da origini improvvisate [...] da coloro che intonano il ditirambo”. Il ditirambo era un canto culturale in onore di Dioniso. Dunque, vi era un coro che cantava in una festa per Dioniso, poi il capocoro (corifeo) si staccava dal gruppo ed iniziava a dialogare con il coro, finché diventava un vero e proprio personaggio. L’etimologia del termine tragedia non è molto chiara. Si distinguono chiaramente le radici di “canto” (ᾠδή) e “capro” (τράγος): sarebbe quindi “il canto del capro”. Gli antichi ignoravano il valore esatto di quest’espressione ed immaginavano che si riferisse ai satiri camuffati da demoni caprini, oppure al capro assegnato come premio al vincitore (l’espressione “canto per il capro” compare nell’Ars poetica di Orazio, v.220). Un’altra etimologa collega invece tragedia al vocabolo τραγὶζειν, che significa “cambiare voce”, “assumere una voce belante come i capretti”; si tratterebbe in questo caso di un possibile riferimento agli attori, i quali recitando con maschere dovevano mutare tono di voce.

La maschera conserva uno specifico valore rituale. Essa consente ad una persona di alienarsi da sé, assumendo agli occhi degli altri una natura differente. Gli spettacoli teatrali di Atene si svolgevano in occasione delle Grandi Dionisie, celebrate nei giorni 9-13 del mese di Elafebolione, corrispondenti alla fine di Marzo. In quanto festa cittadina, le Dionisie erano organizzate dallo Stato e godevano del patrocinio della sovrintendenza dell’arconte eponimo il quale, appena assunta la carica, si preoccupava di scegliere tre cittadini fra i più ricchi ai quali affidare la “coregía”, ossia l’allestimento degli spettacoli di cui dovevano sostenere le spese. La coregía era dunque una liturgia, ossia uno degli obblighi cui l’Atene democratica sottoponeva i cittadini più abbienti, che erano così tenuti a finanziare i servizi pubblici. Le rappresentazioni tragiche in occasione delle Dionisie avevano un carattere agonale, erano cioè un festival, al termine del quale si attribuivano premi ai migliori (coro, attore, poeta). Alla gara partecipavano ogni anno tre poeti, ciascuno dei quali presentava una tetralogia composta da tre tragedie e un dramma satiresco; ogni tetralogia era recitata nello stesso giorno a partire dal primo mattino. Dunque, le rappresentazioni tragiche occupavano tre giorni, mentre un quarto giorno era dedicato alla messa in scena di tre commedie, presentate ciascuna da un poeta diverso. Agli spettacoli partecipava la grande massa della popolazione. La πόλις provvedeva a versare a tutti i cittadini non abbienti un contributo (θεωρικόν) perché potessero pagarsi il biglietto d’ingresso.

La tragedia inizia generalmente con un prologo, che può essere monologico o dialogico. In Eschilo e Sofocle il prologo è spesso dialogico e coincide di solito con l’inizio dell’azione drammatica vera e propria. Il prologo monologico è invece caratteristico del teatro di Euripide: egli tende a trasferirgli una funzione extradrammaturgica, facendo ricapitolare l’antefatto da un personaggio che poi non ricopre più nessuna parte nella tragedia e ha soltanto il compito di introdurre il dramma. L’entrata in scena del coro costituiva originariamente il momento iniziale della tragedia. Il coro arrivava attraverso i corridoi laterali (πάροδοι) e si disponeva al centro dell’orchestra. Solo dopo l’entrata del coro inizia a svilupparsi l’azione scenica vera e propria, attraverso tre o più episodi recitati. Secondo la tradizione, l’attore era in origine uno solo, che dialogava con il coro; sarebbe stato Eschilo ad introdurre il secondo attore (deuteragonista) e Sofocle il terzo (tritagonista). Il dialogo tragico si sviluppa in forme tipiche: la ῥῆσις (discorso), la στιχομυθία (battuta di un verso solo), la μονῳδία (canto a solo). La ῥῆσις è un lungo brano recitato da parte di un personaggio; si tratta di una modalità espressiva con cui ciascuno sosteneva le proprie ragioni. La στιχομυθία si verifica nei momenti più concitati, quando i personaggi si scambiano una serie di battute di un verso ciascuna. La μονῳδία è un brano cantato da un attore in metri lirici, generalmente nei momenti di forte tensione patetica.

Dopo la fine dell’episodio, gli attori escono di scena; il coro riprende allora la sua funzione di protagonista, intonando una melodia corale (στάσιμον). Lo stasimo rappresenta una sorta di intermezzo in cui, ad azione sospesa, il coro commenta, illustra, analizza la situazione che si sta svolgendo sulla scena. L’ἔξοδος è la parte finale della tragedia, che si conclude con l’uscita di scena del coro.

 

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