Terapie domiciliari precoci anti Covid. Gli antinfiammatori funzionano. L’inchiesta di Report
Feb 03, 2022L’ultima inchiesta di Report andata in onda su Rai Tre ha rimesso in primo piano la questione delle cure anti Covid precoci, a domicilio. Gli inviati di Report hanno intervistato Fredy Suter, primario emerito dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, che insieme al collega Giuseppe Remuzzi, dell’Istituo Mario Negri di Milano, ha già pubblicato uno studio e ne farà partire un secondo, controllato, che certificherà in via definitiva l’efficacia dell’utilizzo degli antinfiammatori per la cura precoce del Covid, battaglia portata avanti anche da tanti medici, come quelli che fanno parte del Comitato cura domiciliare Covid-19, in contrasto con le indicazioni ministeriali su “paracetamolo e vigile attesa”.
È ormai evidente che il protocollo ministeriale ha indotto la maggior parte dei medici a spingere i pazienti ad assumere paracetamolo per la febbre e attendere l’evolvere dei sintomi: una linea che si è tradotta in migliaia di ricoveri in ospedale, spesso con esito nefasto.
Secondo quanto elaborato da Suter e Remuzzi, se la febbre non è l’unico sintomo presente, i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) così come anche l’acido acetilsalicilico (aspirina), sono da preferirsi al paracetamolo. Quest’ultimo, infatti, non solo ha una bassa attività antinfiammatoria ma, secondo alcuni esperti, diminuisce le scorte di glutatione, una sostanza che agisce come antiossidante. La carenza di glutatione potrebbe portare a un ulteriore peggioramento dei danni causati dalla risposta infiammatoria, che si verifica durante l’infezione Covid-19. Il beneficio offerto dai FANS nel ridurre l’infiammazione potrebbe, invece, tradursi in una minore progressione della malattia.
Durante la puntata si è parlato anche della decisione del Tar del Lazio, su istanza dell’avvocato Erich Grimaldi, presidente del Comitato cura domiciliare, di sospendere il protocollo ministeriale perché “impedisce ai medici di svolgere il proprio lavoro, ovvero curare i pazienti”, e della successiva decisione del presidente del Consiglio di Stato, Frattini, di sospendere la decisione del Tar in attesa della discussione nel merito, prevista per oggi, 3 febbraio 2022.
In un fuori onda, al termine dell’intervista, il professor Suter ha detto: “Purtroppo chi fa le regole, chi dirige, chi parla, chi va ai congressi non è spesso la gente che vede i malati. Personalmente penso, solo con questa norma [cioè con l’applicazione del protocollo a base di antiinfiammatori], io credo che avremmo risparmiato migliaia di morti”.
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Terapie domiciliari anti Covid: paracetamolo o antinfiammatori? L’inchiesta di Report
Due studi condotti dal professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto Mario Negri, dimostrano che, in caso di cure domiciliari, gli antinfiammatori sono una “valida arma precoce” per il trattamento dei sintomi lievi del Covid, ma il protocollo Aifa consiglia l’uso del paracetamolo (Tachipirina), nonostante gli effetti e i risultati evidenzino differenze nei risultati.
Ecco cosa si evince dagli studi e dalle esperienze di altri medici intervistati dalla trasmissione Report di Rai Tre andata in onda lunedì 31 gennaio 2022.
La vigile attesa
La circolare del ministero della Salute, aggiornata al 26 aprile 2021, in merito ai pazienti risultati positivi e in isolamento domiciliare, perché con sintomi lievi, sostiene il principio della “vigile attesa” e la somministrazione di farmaci Fans (antinfiammatori) e paracetamolo.
“Vigile attesa” è un’espressione che ha fatto molto discutere, tanto che il protocollo è stato prima sospeso dal Tar del Lazio perché “impedisce ai medici l’utilizzo di terapie ritenute idonee ed efficaci al contrasto con la malattia Covid-19” e poi ripristinato dal Consiglio di Stato in attesa del giudizio definitivo atteso per il 3 febbraio.
Silvestro Scotti, segretario generale della Federazione medici di medicina generale, a Report ha commentato così la questione: “Credo che la parola infelice di quella frase sia ‘attesa’ perché fa pensare che ci sia qualcuno che aspetta e non è così”.
Che cosa dice Remuzzi
Venendo alle cure domiciliari, il professor Remuzzi ha spiegato all’Adnkronos qualche giorno fa che “la capacità degli antinfiammatori di fermare la malattia Covid ai primi sintomi è ormai documentata in modo convincente nella letteratura. Noi abbiamo prodotto due studi al riguardo. E anche altri lavori condotti altrove nel mondo confermano i nostri risultati: indicano cioè che si può ottenere una riduzione molto importante della severità della malattia e dell’ospedalizzazione”.
“Noi – ha chiarito il direttore del Mario Negri – comunque pensiamo che anche gli antinfiammatori vadano presi sotto controllo medico, e riteniamo fondamentale che il medico vada a casa, visiti il paziente e poi lo tenga monitorato anche per telefono”.
Paracetamolo vs antinfiammatori
La sperimentazione condotta dall’Istituto Negri ha prodotto un primo studio pubblicato nel giugno 2021 in cui si osserva che su novanta pazienti trattati con le cure precoci si sono registrati due ricoveri, mentre nel gruppo di chi precedentemente aveva seguito il protocollo standard i ricoveri erano stati tredici. Adesso, ha annunciato Remuzzi, è in arrivo una seconda pubblicazione che conferma lo stesso trend.
“Noi utilizziamo nimesulide e ibuprofene, e aspirina per chi è intollerante ai primi due” ha spiegato il professore. “Poi c’è un altro studio pubblicato su The Lancet su uno spray nasale, un preparato anti-asma, che ottiene gli stessi risultati dei nostri lavori: una riduzione molto importante della severità della malattia e dell’ospedalizzazione. E, ancora, abbiamo studi indiani confermati anche da ricerche fatte in Italia, sull’indometacina, che è un altro antinfiammatorio”.
Le testimonianze di chi somministra antinfiammatori
Report ha intervistato alcuni medici che hanno prescritto ai propri pazienti Covid con sintomi lievi antinfiammatori invece che paracetamolo e hanno notato gli stessi effetti positivi di cui parla Remuzzi.
A Bergamo il professor Fredy Suter ha detto: “Abbiamo verificato che questi antinfiammatori non solo possono attenuare la sintomatologia della fase iniziale virale ma possono ridurre – e questo è un aspetto estremamente importante – le ospedalizzazioni e probabilmente anche i casi di morte. È essenziale che i farmaci siano somministrati dai primi sintomi”.
Il suo protocollo in questi mesi è stato applicato anche da diversi medici di base sul territorio. La dottoressa Katia Vezzana ha raccontato: “Il primo paziente Covid che ho trattato, gravissimo, fu mio padre, nella prima ondata. Diabetico, cardiopatico, iperteso, quasi allettato, l’abbiamo trattato con antinfiammatori. Mio padre si salvò. Da lì pensai: se sono riuscita a tirar fuori mio padre in queste condizioni, si può fare con qualsiasi altro paziente”.
E ha aggiunto che, con l’uso precoce degli antinfiammatori, i pazienti “rispondono e guariscono”. Nel suo caso, su 1.600 mutuati le “ospedalizzazioni sono state quasi nulle”.
Perché gli antinfiammatori funzionano?
Suter ha poi spiegato la differenza tra antinfiammatori e paracetamolo e perché quest’ultimo non è ugualmente efficace: “Con la tachipirina non si cura l’infiammazione. I farmaci antinfiammatori di cui abbiamo parlato, invece, vanno alla radice del problema, e riducono la probabilità di andare in una infiammazione grave. Oggi ci sono delle segnalazioni recenti che dicono che la tachipirina tende ad abbassare il glutatione, che è un antiossidante protettivo”.
Perché allora non si raccomanda di assumere subito gli antinfiammatori?
Pur ricordando che ci sono pazienti allergici ai farmaci Fans, antinfiammatori non steroidei, perché per gli altri non viene subito consigliato di assumere antinfiammatori?
“Gli enti regolatori, tipo Aifa, – ha spiegato Suter – possono dare delle indicazioni solo sulla base di studi scientifici estremamente rigorosi. Il nostro studio ha dei limiti e cercheremo di farne uno il più possibile corretto da tutti i punti di vista”.
“Il problema – gli fa eco Remuzzi – è che non c’è uno studio definitivo come quelli fatti dall’industria, che hanno tutte le caratteristiche degli studi controllati. E allora non si può pretendere che qualcosa di non definitivo venga suggerito dalle autorità regolatorie. Proprio per questo adesso siamo in contatto con l’agenzia italiana del farmaco, l’Aifa, per fare uno studio molto grande, che abbia tutte le caratteristiche necessarie per non avere poi obiezioni e per essere considerato come base per raccomandazioni future”.
Infine, Suter lancia una stoccata a chi prende le decisioni: “Purtroppo chi fa le regole, chi dirige, chi parla, chi va ai congressi non è spesso la gente che vede i malati. Personalmente, penso, solo con questa norma, io credo che avremmo risparmiato migliaia di morti”.
Fonti:
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