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Sumito Estévez, lo chef che porta il fuoco dell’amicizia per il suo Venezuela

caterina giojelli sumito estévez tempi Sep 19, 2024

di Caterina Giojelli

«Avevo tutto, famiglia, fama, popolarità. Perché allora stavo cercando un prete?». Come accadde che il cuoco più amato del Sudamerica finì per chiedere il battesimo e, dalle Ande agli Appennini, dare tutto per i suoi amici.

«È l’8 di settembre e io sono lì, in prima fila, tra gli ospiti d’onore: ho 48 anni, una moglie, una famiglia e un lavoro che amo. Non mi manca nulla, non ho paura di nulla perché nulla ho da temere nella nostra Isla de Margarita. Ma non smetto di piangere da quando la processione mi è passata accanto con la Virgen del Valle. La Virgen che tutti i miei amici cristiani chiamano “la nostra Madonnina”. Piango così tanto che il giorno dopo devo trovare un prete. Mi conosce e lo sa anche lui: non sono un corrotto a caccia di redenzione né un uomo vecchio, malato, alla resa dei conti. Insomma non è una tragedia o una crisi di mezza età a portarmi in una chiesa a mendicare Cristo. Mi catechizza per quasi due anni e il giorno del mio cinquantesimo compleanno ricevo il battesimo. È il 22 ottobre 2015. Quel giorno in chiesa c’è anche mio padre: il mio anziano papà ateo ex comunista (senza il quale non mi sarei accorto delle vite degli altri fino a vederci una possibilità di conversione per la mia), ha preso un aereo per raggiungermi qui sull’isola dalle lontane montagne di Mérida».

Quella del venezuelano Sumito Estévez è una storia illuminata e che illumina altre storie. La sua fama iperbolica di chef pluristellato, scrittore, oratore, insegnante, direttore di programmi televisivi, speaker e imprenditore di successo lo precede da anni in America Latina, eppure Sumito Estévez è per tanti soprattutto il nome di un amico. Un uomo che non ha tenuto niente per sé, e anzi continua a dare tutto alla sua gente, dalla quale lo separa oggi un oceano e un tocco di Mediterraneo. Molte cose sono successe da quando Tempi lo ha incontrato nel 2017 e la sua Fondazione Fogones y Bandera aiutava già migliaia di donne, giovani cuochi e le loro famiglie a fare della cucina un «vehículo de emancipación y libertad», generando opportunità educative e socio-produttive locali. Tutte hanno dato frutto. Ma quello che abbiamo scoperto, tornando a incontrare Sumito Estévez, è che ad animare il suo impegno per un paese, oggi più che mai piagato da oltre un decennio di crisi economica e sociale, non è appena buon cuore, senso civico e spirito umanitario. Ad aver fatto di un mestiere un’opera per il bene comune è tuttora una inesauribile gratitudine.

Dalle Ande con Marx ai fuochi di Caracas

Tutto ha inizio in Venezuela, in una cittadina che di “venezuelano”, nel senso più turistico e tropicale del termine, ha pochissimo: cordigliera andina, clima di montagna, famiglie benestanti: «Papà ha conosciuto mia mamma a Mosca, nel 1960. Lei indiana, lui venezuelano, entrambi ventenni appartenenti a quella gioventù comunista di cui respiro le parole d’ordine in casa fin dall’infanzia: lotta di classe, giustizia sociale, ateismo. Ma anche incontro di culture diverse, libri, vivacità intellettuale. Le ideologie avrebbero presto presentato il conto al popolo, ma in quegli anni siamo felici: la nostra è una famiglia stupenda e valori come solidarietà, eguaglianza, attenzione all’altro, al più povero e vulnerabile, segnano il cammino di ciascuno di noi. Mi sto laureando in fisica come mio padre quando vado a vivere a Caracas, tra quattro milioni di persone: ho bisogno di qualche soldo e come molti studenti trovo lavoro in un ristorante. E lì accade l’imprevisto: mi innamoro perdutamente. Di fuoco e pentola».

In realtà non c’era una sola cosa che non commuovesse Sumito Estévez tra quelle mura brulicanti di persone, profumi e pietanze: la cucina, certo, ma anche la sala, il lavoro di squadra, servire gli altri, imparare dagli altri, «solo che siamo nel 1990: non c’è Masterchef, il mito del maestro ai fornelli o del ristorante stellato. “Cuoco” negli anni Novanta vuol dire una cosa sola: ragazzo spiantato che non ha finito, o iniziato, l’università. È la prima volta che vado in crisi: so benissimo cosa voglio fare e anche che non c’entra nulla con una laurea in fisica».

Dalle stelle all’isola. «Sumito, perché aspettare?»

La crisi venne risolta con una promessa ai suoi: Estévez avrebbe portato a casa il titolo accademico e solo dopo avrebbe indossato il grembiule per scoprire dove l’avrebbero portato pentole e fuoco. Il resto è storia: da allievo a maestro, nel 2003 il ragazzo aveva già fondato la sua prima scuola di cucina e iniziato a crescere una generazione di cuochi di primo livello, nel 2008 avrebbe dato vita all’Associazione Gastronomica Venezuelana, e via di premi e riconoscimenti ovunque (fino alla summa delle onorificenze, la forchetta d’oro premiata dall’Accademia Venezuelana della Gastronomia), diventando ambasciatore della cucina del Venezuela nel mondo. È nel 2003 che una tv argentina gli propone un programma televisivo, uno show cooking che sarebbe stato poi trasmesso quotidianamente per 10 anni in tutta l’America Latina. A questo si somma la conduzione di un programma radiofonico e una rubrica sul principale quotidiano del paese. Sumito Estévez è travolto dal successo, il suo nome diventa noto a tutti e non più solo tra gli addetti ai lavori: per i sudamericani Estévez ora è sinonimo di cucina stellata, fama e popolarità.

«Poi un giorno, è il 2008, sto guardano il tramonto con mia moglie Silvia sulla spiaggia davanti al nostro buen ritiro di Isla de Margarita. C’è così tanta bellezza e quiete in questo angolo di paradiso in cui ci rifugiamo per le vacanze che sospiro: “Quando sarò vecchio voglio abitare in un posto così”. Silvia parla poco ma quando parla dice sempre la cosa giusta. “Perché aspettare?”, risponde secca, “rimandare per cosa?”. È una piccola frase che inizia a scavare come la goccia nella pietra. Mi rendo contro che gli anni di popolarità hanno sepolto ciò che mi aveva fatto innamorare della cucina stessa: fare qualcosa per gli altri. E così per Silvia, per quella frase, nel giro di un anno vendo tutto: scuola, casa. Non sto scappando da niente: desidero solo un nuovo inizio all’Isla de Margarita».

Il fango, l’incontro con Marius, la conversione

C’è un aneddoto che Sumito Estévez racconta spesso del suo arrivo all’isola: mancava una sola settimana all’inaugurazione della sua nuova scuola quando una terribile alluvione seppellì sotto il fango un anno di sforzi. Stava seduto in silenzio con Silvia a fissare il disastro quando «cominciano ad arrivare i vicini. Non li conosco eppure sono lì a spalare il fango in venti con noi. Secchi e secchi di fango finché la scuola è ripulita. Li prego di fermarsi a cena, vorrei cucinare per loro ma mi dicono che devono andare via: devono ancora aiutare altre persone». È allora, tra quella gente semplice ma animata da una fede «profondissima, vera» che l’impresa di Estévez assume quella piega sociale che sarebbe in fretta diventata opera: e non solo grazie alle fiere, le feste gastronomiche per le strade, i diplomi e le borse di studio elargite dalla sua scuola e dalla sua fondazione che avrebbero cambiato la vita di migliaia di famiglie e generato microccupazione, insegnando un lavoro a tante mamme sole e senza un quattrino. Quell’anno, il 2010, è anche l’anno in cui Sumito Estévez conosce e comincia a lavorare con Alejandro Marius e la sua “Trabajo y Persona”: “non assistere ma formare”, è questa la stella polare dell’associazione di Caracas nata per promuovere dignità umana e valore del lavoro nella società venezuelana.

Anche Marius, ingegnere che ben conoscono i lettori di Tempi, ha lasciato “tutto”: un ruolo dirigenziale in una multinazionale per dedicarsi all’educazione di giovani e donne e aiutarli a diventare protagonisti del bene comune, protagonisti in un paese che ha tanto bisogno. E Dio sa quanto Marius riesca ad essere contagioso e coinvolgere istituzioni, aziende, opere della Chiesa, scuole, università locali nella sua impresa di ricostruzione con la sua fede semplice e la sua amicizia. «Io lo dico sempre: non sono stati i libri, i riti, le prediche, la paura o la mancanza: io non mi sono convertito per una serie di buone ragioni, mi sono convertito perché ho visto gente cristiana essere cristiana. Appassionata come Alejandro, animato da una certezza e da un desiderio da cui scaturiva anche un “metodo” nel fare impresa sociale: il mio amico era in cammino. E forse lo ero già anche io visto quello che sarebbe accaduto davanti alla “nostra Madonnina”».

Il Meeting, Giussani, il Cile. E ancora un nuovo inizio

Quello che Sumito Estévez non immaginava è dove lo avrebbe portato quel nuovo cammino e desiderio di incontrare l’altro non più solo come povero, allievo o dipendente: «Passa poco più di un anno e sono inquieto come mai prima d’ora. Chiamo Alejandro: anche questa volta non mi manca nulla, gli dico, nemmeno il battesimo, eppure sono in crisi, non c’entra l’età, il matrimonio. Cosa mi è chiesto?». Per tutta risposta Marius fece due cose: lo portò con sé al Meeting di Rimini perché raccontasse davanti a migliaia di persone la sua storia. Ma prima gli chiese di presentare un libro sulla storia del fondatore del suo movimento di Comunione e Liberazione, Luigi Giussani. Su vida, a Caracas. La presentazione è programmata a settembre del 2016, «quando poche settimane prima mi invia quel tomo da mille pagine penso sia impazzito. Poi inizio a leggerlo. Non ho più smesso di leggere Giussani né di trovare nei gesti degli amici di Cl quella forma, quel metodo di lavoro e sguardo sull’altro che avevo intuito e cercato per cinquant’anni».

Non è stato tutto facile. Soprattutto quando per salvare lavoro e impresa, ma più di tutto per poter aiutare il resto della famiglia e continuare ad inviare soldi nel poverissimo Venezuela, Estévez prese la sofferta decisione di trasferirsi con la moglie a Santiago del Cile. «Ancora una volta dobbiamo ricominciare tutto da capo e nonostante la presenza di tanti amici non siamo felici. Lavoriamo tutto il giorno e cerchiamo di assistere il nostro paese come possiamo. Ma formare, educare, a migliaia di chilometri di distanza è impossibile. Silvia lo sa ed è ancora una volta lei a farmi presente che stiamo perdendo tempo. Silvia è italiana, è nata a Latina e in Venezuela ha frequentato scuola e liceo italiani. Raggiungere l’Italia è la scelta più logica e percorribile sul piano burocratico. Ma non siamo più dei giovanotti. Le chiedo un anno di tempo per risparmiare, imparare l’italiano e arrivare con qualche buona idea e prospettiva in un paese dove non avevamo nemmeno un tetto. Finché, a 59 anni, sei dei quali trascorsi in Cile, siamo arrivati in Liguria. Siamo arrivati a casa».

L’arrivo a “casa”, in Italia. Tra gli Amici del Venezuela

“Casa”, letteralmente. Perché non c’è altro posto in cui Sumito Estévez oggi non voglia ritornare dopo ogni viaggio settimanale. Quando lo chiamiamo è appena tornato da Bogotà, la settimana prima era a Madrid, quella dopo lavorerà a un festival di cucina latina vegetariana. Ma è qui che sente di essere «quello che sono. Non solo uno chef pluristellato, scrittore, oratore, insegnante, direttore di programmi televisivi, speaker, imprenditore di successo e tutti quegli appellativi che negli anni mi hanno inseguito. Ma soprattutto un amico. Lo scorso anno è nata una fondazione, Amici del Venezuela, appunto, per continuare a sostenere l’attività e la speranza del mio popolo in collaborazione con “Trabajo y Persona”. Sono l’unico venezuelano a prendervi parte e so bene che raccogliere fondi oggi non è come dieci o quindici anni fa, quando grandissime aziende supportavano con gioia l’attività di Alejandro. Oggi è tutto più difficile. Ma oggi posso dirmi anche io certo della speranza dei miei amici. La stessa che ho riconosciuto al Meeting, quando decine di ragazzi e studenti italiani di medicina hanno raccontato la clamorosa storia del nostro medico e beato José Gregorio Hernández, o quando lo scorso dicembre ho visto quelli di Piazza di Mestieri lavorare commossi alla cena-evento organizzata con un mio menù per l’associazione. Ho visto il bene comune e la gratitudine nella loro passione e nel loro bisogno. Ho visto – conclude Estévez – la stessa cosa che desidero per la mia vita e solo avevo intuito quando, poco più grande di loro, mi avvicinai a fuoco e pentola».

Questo è solo un assaggio della storia del venezuelano Sumito Estévez, una storia illuminata e che illumina altre storie. C’è un popolo da aiutare e per farlo basta seguire la sua pagina Instagram (e il canale You Tube, per scoprire le sue ricette) e quelle degli Amici del Venezuela (trovate l’associazione anche su Facebook). Non c’è altro da dire, solo partecipare: il 23 ottobre Estévez cucinerà a Torino, al Ristorante Guarini, nell’ambito della rassegna che vede i migliori chef al mondo incontrare la cucina piemontese a Buonissima Torino. A Milano, dove lo scorso maggio erano andate a ruba le sue arepas cucinate per il food truck El Caminante, si potrà incontrare Estévez il 27 ottobre, nel corso di una degustazione di rum e cioccolato per gli Amici del Venezuela presso “Galdus Formazione” via Pompeo Leoni 2, e il 3 novembre, quando si presenterà alla diciannovesima edizione di Golosaria, quest’anno alla Fiera Milano Rho. Incontrare e ringraziare.

FONTE : TEMPI

 

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