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Sulla strada di don Oreste Benzi, il pazzo di Dio

caterina giojelli don oreste benzi tempi Nov 04, 2024

di Caterina Giojelli

Al cinema il docufilm sul formidabile apostolo della carità. Che in ogni povero cristo, dal tossico alla prostituta, ha visto Cristo in persona

Nessuna paura delle tenebre, scandaglia la nebbia con colbacco e corone del rosario in mano, chiama le prostitute nascoste come animali nel buio umido, «Sister! Dont’be afraid! Dont’be afraid! I’m father Oreste Benzi, father!», la sua voce è un’allegra risacca di inglese e accento romagnolo. E queste a sentirlo escono dalle tane nebbiose e gli corrono incontro con gioia e gran chiasso. «Non abbiate paura. La polizia non può farvi nulla se io sono qui. Siete cristiane o no? E a Gesù piace questo lavoro? E allora! Se voi uscite dalla strada io vi do: casa, permesso di soggiorno e lavoro. Ma un onesto lavoro».

Tutte sanno chi è, e che dice la verità, lo sanno i magnaccia, quelli del racket che gli hanno puntato la pistola alla tempia, la polizia, i tossici della stazione, lo sanno anche i bambini disabili, lo sanno in tv, dove va a suonarle ai politici («Mi fate paura») e ai giovani («Ma come fate a essere già vecchi spiritualmente, a non fare niente!»): è un folle di Dio, il parroco “dalla tonaca lisa”, quello che fa di ogni sgangherato una pietra angolare; ogni povero cristo è per lui Cristo in persona, ogni vita corrosa da male, vizio, peccato è una vita per la salvezza. Oreste Benzi, di Sant’Andrea in Casale, comune di San Clemente, campagna riminese. Servo di Dio. 

E ora lo sappiamo anche noi, caricati in macchina da Kristian Gianfreda, assessore al Welfare di Rimini ma soprattutto regista folgorato a 25 anni da don Benzi, una vita con la telecamera alle costole del “pazzo di Dio”. Qui non si può dire troppo del suo film documentario che esce oggi al cinema, in occasione dell’anniversario della scomparsa (2 novembre 2007), il rischio è dissipare con le parole un’opera formidabile: Il pazzo di Dio, la strada di Don Oreste Benzi è a tutti gli effetti un viaggio guidato dai “suoi” della Comunità Giovanni Papa XXIII, dai molti che lo hanno incontrato (da Zamagni a Vespa), e che fa tappa ovunque «l’infaticabile apostolo della carità» (così lo chiamava Papa Benedetto), che macinava chilometri in auto, si sia fermato per piantare croci, chiese e capanne, pescare uomini.

Un viaggio che inizia sulle strade di Rimini, tra le schiave della prostituzione, attraversa cinque continenti, e finisce in San Pietro, una radiosa mattina del Giubileo del 2000, quando don Benzi porta Anna, ex prostituta nigeriana consumata da Aids e anni di torture e sevizie, al cospetto di Giovanni Paolo II: «Papà, libera le ragazze sulla strada come me – lo prega lei in ginocchio piangendo commossa a pochi mesi dalla morte: le immagini del Papa che le accarezza i capelli e bacia le mani sarebbero diventate il simbolo dell’Anno Santo –. Io mi sono ammalata sulla strada. Papà, la vita sulla strada è schifosa. Ci sono molte giovani ma anche tante bambine. Papà libera le bambine sulla strada».

«Non mi ha chiesto “quanto costi?”, ma “quanto soffri?”»

La strada di don Benzi è attraversata da creature che razzolano tra fossa e miracolo. Le avevano promesso che in Italia avrebbe fatto i capelli, la badante, la babysitter, racconta una di loro. E invece era stata gettata per strada dalle sei di sera alle cinque e mezza del mattino, «durò anni, volevo morire. Poi una sera si è fermata una macchina, erano don Oreste e don Aldo Bonaiuto, e invece di “quanto costi?” mi hanno chiesto “quanto soffri?”». Centinaia di notti si era organizzata la fuga, centinaia i chilometri in auto per portare chi annuiva (“sì padre, aiutami a scappare”) in una casa-famiglia al sicuro, centinaia le telefonate di don Benzi che alle tre di notte svegliavano mezza Italia per trovare accoglienza.

Bello e terribile, zeppo di personaggi felliniani, Il pazzo di Dio restituisce un pezzo di storia del paese, unendo presente e passato in un unicum narrativo in cui si alternano dibattiti concitati dalle teche Rai sulla prostituzione, immagini delle folle in manifestazione per i diritti dei disabili negli anni 70, le interviste e gli affettuosissimi racconti di don Benzi sulla sua infanzia («povera eppure felice. Come eravamo contenti») trascorsa in una casa senza pavimento, in nove fratelli scalzi nella neve e la mamma che cantava sempre, anche quando non aveva nulla da mettere nel piatto. «Ma’, me am faz pret», le aveva detto in seconda elementare dopo che la maestra aveva parlato in classe di pionieri, scienziati e preti.

«Ba’, du tvè? E lui, zitto. Come Dio che mostra il suo disegno pezzo per pezzo»

Cardinale per tutto ciò che sarebbe venuto il ricordo del papà, lavoratore precario che dopo aver aiutato il proprietario terriero a disincagliare la sua auto da un fossato, era tornato a casa con due lire di mancia, raccontando stupito: «“E po’ u m’ha de’ la mena”, “E poi mi ha dato la mano”… e lì ho capito che mio papà apparteneva a quella massa di gente che crede talmente di non valere nulla, che quasi chiede scusa di esistere. E che volevo stare tutta la vita con loro». Oreste lo seguiva spesso nei suoi lavori saltuari, «mi metteva sul cannone della bicicletta. A volte lui cambiava strada e io: “Ba’, du tvè?”, “Babbo, dove vai?”. E lui, zitto, mi faceva arrabbiare, non mi diceva dove stava andando. Ero però contento, così contento perché ero con lui. E allora ho capito che io non posso entrare nella mente del Papà, di Dio, e capire il suo disegno. Però Lui me lo mostra pezzo per pezzo».

A sua volta Oscar, afferrato da cocaina ed eroina, non afferrava il disegno finale di quel padre che con cappottone, la faccia simpatica, bottiglia e panettone lo esortava: «Se vieni con me, facciamo tutto nuovo, assieme facciamo cose belle». Era l’ultimo dell’anno, lui aspettava solo un’amica in stazione, invece si era presentato don Benzi con una bottiglia, un panettone e una faccia simpatica, «vuoi brindare con me?». Oscar aveva detto sì a tutto, al brindisi, e poi al seguirlo, ad andare in India, ad aprire una missione e mandare a scuola più di 500 bambini, dare lavoro alle vedove. Mancato nel 2022, Oscar Baffoni, marito e padre, è stato lo storico responsabile delle missioni in Asia per la Comunità Papa Giovanni XXIII. E come Oscar, Luca, Giada, Anna, e i tanti che con le loro famiglie portano un pezzo della croce dei reietti accolti dal pazzo di Dio.

«Non esistono donne che vogliono fare le prostitute. Nessuna nasce prostituta»

Come aderì ai movimenti di liberazione, sfidando i giovani a fare davvero la rivoluzione per il prossimo e liberare dagli istituti migliaia e migliaia di disabili, don Benzi sfidò i cristiani ad accoglierli, si inventò le case-famiglia e la “condivisione diretta” (oggi l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII siede a tavola con oltre 41 mila persone nel mondo, grazie a più di 500 realtà tra case famiglia, mense per i poveri, centri di accoglienza, comunità terapeutiche, Capanne di Betlemme per i senzatetto, famiglie aperte e case di preghiera), mostrò a tutti il regno degli ultimi che i beati, seduti nei salotti televisivi, non volevano vedere.

Chi era e dove andava quel prete che non si faceva incasellare, matto da legare, che sfilava con i comunisti per i diritti ma era contro le droghe, l’aborto, le unioni omosessuali, la prostituzione? Memorabili le sue ospitate a Porta a Porta: «Non esistono donne che vogliono fare le prostitute. Nessuna nasce prostituta», ripeteva alle libertarie signore della politica, lui, che aveva testimoniato al fianco delle ragazze nigeriane nel primo processo per riduzione alla schiavitù (Rimini, 1996: le testimonianze portarono all’arresto di 120 sfruttatori e minacce di morte per il prete) sfidandole a punire sfruttatori e fiancheggiatori, i clienti, in tutte le 110 province d’Italia, «i poveri non possono aspettare».

«Chi è don Benzi? Quel cane, accanto al mio Dio»

Tuonava, quando una Alessandra Mussolini promuoveva la sua legge per togliere le donne dalla strada e creare “quartieri adibiti” alla prostituzione regolarizzata: «è osceno!». E tuonava quando una Livia Turco difendeva la libertà di prostituzione sostenendo che non fosse sempre questione di schiavitù (è la solfa sulle sex worker tanto cara anche oggi ai progressisti): «Voi politici mi fate paura, il governo dovrebbe dare cultura, lavoro, salute e ora state parlando di mettere queste donne nei recinti». Era stato fino a Lagos, Abuja e ancora da Gheddafi per fermare la tratta delle donne dall’Africa all’Italia. Lo aveva fatto perché in ogni povero Cristo vedeva Cristo, in quello dei bifolchi la strada del regno della misericordia per tutti.

Ed è esattamente quello che mostra Il pazzo di Dio: «Avete mai visto un uomo che ha un cane? Un cane da caccia. Quando torna a casa il cane gli salta addosso, corre con lui, si muove con lui. Cosa capisce quel cane del suo padrone? Nulla. Di quell’uomo legato al suo cane cosa c’è? Una relazione affettiva. Chi è don Benzi? Quel cane, accanto al mio Dio».

FONTE : TEMPI

 

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