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Stare sui social da cristiani

il timone raffaella frullone Dec 20, 2024

di Raffaella Frullone

Social croce e delizia. Leoni da tastiera, haters, followers, like, community e chi più ne ha più ne metta. Il mondo dei social è un mondo a parte, un universo parallelo. O forse no, per quanto virtuale questa resta una piazza in cui ciascuno porta se stesso, con la sua storia, la sua faccia e la sua voce e si apre a incontri che possono essere costruttivi o degenerare. Di questo e di molto altro parla Emiliano Fumaneri, giornalista e saggista, nella sua ultima fatica intitolata La cultura del disprezzo . Il rispetto ai tempi dei social edito da Berica Editrice per la collana UomoVivo, un viaggio che parte dalle piattaforme virtuali, passa dalla filosofia all’antropologia, perfino per la teologia ma approda nella nostra concretissima quotidianità. Un saggio ricco di spunti di riflessione, analisi e intuizioni su un mezzo che spesso usiamo – e di cui abusiamo –  senza conoscerne davvero a fondo i meccanismi e coglierne le potenzialità. Le insidie forse sono più di quelle che immaginiamo, e starci da cristiani sembra davvero un’impresa. Ne abbiamo parlato proprio con l’autore.

Fumaneri, il sottotitolo del libro è “il rispetto ai tempi dei social”, ma è davvero differente rispetto a quando i social non c’erano?

«I social, per come la vedo io, hanno proseguito e amplificato la logica di quello che Marshall McLuhan ha definito “villaggio globale”: un mondo strettamente intrecciato, unificato da media sempre più coinvolgenti che vanno soprattutto a toccare il lato pulsionale.  Non si tratta dunque di una rottura rispetto a un’età dell’oro, ma dello sviluppo coerente della logica che per McLuhan ha portato all’ascesa – o meglio al ritorno – dell’uomo tribale. Come ha mostrato Romano Guardini rispettare qualcuno equivale ad avere riguardo per la sua persona. Avere rispetto – parente stretto del pudore e della cortesia – significa mantenere una certa distanza di sicurezza affinché l’altro da noi possa respirare e dare sviluppo alla propria personalità. Ecco, questa “distanza di sicurezza” è messa in crisi dal villaggio globale. Dunque non mi stupisce che questi tre fattori protettivi dell’integrità personale (rispetto, pudore e cortesia) siano sotto attacco su più fronti».

Quando rispondere duramente ad un commento è “disprezzo” e quando è dialettica, anche molto accesa perché magari tocca temi cari alla vita di ciascuno?

«Il cristiano deve avere uno stile riconoscibile anche sui social. Anche nella dialettica più aspra ci sono linee rosse da non oltrepassare. Il grande Agostino dice: “Amate gli uomini e uccidete gli errori; confidate nella verità, senza presunzione; lottate per la verità, senza crudeltà; pregate per quelli che rimproverate e confutate”. Direi che è un ottimo manifesto dello stile del cristiano. La persona dell’errante non coincide con la somma dei suoi errori. Sant’Ignazio di Loyola ci invita poi a un “pregiudizio positivo” nei confronti delle affermazioni altrui che non sarebbe male seguire con più attenzione. Bisogna maneggiare con cura la parola: essa può diventare una spada che annienta o un filo che cuce. Ogni uso della parola per annientare simbolicamente il proprio avversario profana il Logos, la parola divina, che è parola di vita, non di morte. È uno dei tanti paradossi della fede cristiana: combattere l’errore senza aggredire la persona. Il cristiano non può disprezzare nessuno. «Ami tutti gli esseri e nulla disprezzi di ciò che hai creato; se avessi odiato qualche cosa non l’avresti neanche creata» leggiamo nel libro della Sapienza (11,24). Sarebbe una contraddizione in termini difendere Dio – il “biofilo” per eccellenza, essendo il Creatore della vita – con lo stile di Satana, il distruttore impegnato a separare ciò che Dio ha unito».

Quello descritto non è un quadro che, come si dice in questi casi, rispecchia la società?

«Indubbiamente. Ma un cristiano può rassegnarsi al male che dilaga nel mondo abdicando così alla sua vocazione di re, sacerdote e profeta? Scrive Nicolás Gómez Dávila che “il cristiano ha un doppio dovere: combattere per il cristianesimo e sapere che sarà sconfitto”. Siamo qui sulla terra in missione. La nostra vita è un teo-dramma. Certo: non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo. Non spetta a noi rendere giusto il mondo. Ma con l’aiuto della grazia (Grace first) possiamo e dobbiamo agire in modo giusto. Il realismo cristiano non è la Realpolitik. Siamo tutti cirenei chiamati a portare la croce del Signore».

Ma quindi si può stare sui social da cristiani? Magari essendo quel sale che mette sapore?

«Di più: nel mondo antico il sale era l’antenato del frigorifero. Il sale serviva a conservare i cibi. Senza la salatura gli alimenti deperivano e si guastavano. Altro che zucchero: senza un cristianesimo “salato” il mondo intero – anche quello digitale dei social e del cyberspazio – è destinato inesorabilmente alla rovina. I social non sono un terreno proibito per un cristiano. Piuttosto sono un terreno minato, da bonificare, da purificare, da tastare con attenzione… Il mio libro vuole essere una chiamata alle armi (prima di tutto spirituali), non un invito alla diserzione. Quando era ancora soltanto il cardinale Ratzinger,  Benedetto XVI affermò che “quando vien meno il cristianesimo, tornano a farsi avanti le antiche forze del male, che erano state bandite dal cristianesimo”, per poi aggiungere subito dopo che “con certezza empirica si può dire che se improvvisamente la forza morale, che la fede cristiana rappresenta, venisse sottratta all’umanità, essa vacillerebbe come una nave speronata da un iceberg e ci sarebbe un grave pericolo per la sopravvivenza dell’umanità”. C’è poco da fare: per dirla con le parole di san Paolo i cristiani devono tornare a fare il katéchon. Contro la cultura del disprezzo che minaccia la vita umana». (Foto: Pexels.com)

FONTE : IL TIMONE

 

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