Sorpresa: ogni cosa che esiste è buona!
Dec 09, 2022di Francesco Lamendola
La teodicea è un tipico atteggiamento moderno, e infatti l’ha formulato Leibniz: quello di conciliare la bontà e l’onnipotenza di Dio con la presenza evidente nel male nel mondo. Prima di Leibnitz il problema non sussisteva: le due cose, la bontà divina e la cattiveria del mondo, non erano viste come incompatibili e inconciliabili, e perciò non facevano scandalo.
Lo scandalo è venuto dopo, con l’ideologia del progresso e dunque con la modernità: se Dio è buono e se può tutto, perché lascia morire i bambini? Perché permette in terremoti (Voltaire ci ha costruito sopra uno dei suoi più fortunati e più insulsi romanzi filosofici)? Quella dei bambini è un’obiezione un po’ più seria, e infatti la formula Ivàn Karamazov, che quanto a intelligenza, può dare parecchi punti a François-Marie Arouet. Allolra, opina l’uomo moderno, o Dio non è buono, oppure non è onnipotente: o non sa o non vuole intervenire. sempre dando per scontata l’idea, comunque formulata, del “Dio tappabuchi” che tanto spiaceva ai teologi negativi e in particolare a Dietrich Bonhoffer. La ribellione contro l’idea di un “Dio tappabuchi” è uno di quei moti “istintivi” la cui sincerità parre provata dalla loro unanimismo.
Se non che, in filosofia, il ricorso all’argomento del consenso comune («lo dicono tutti») è la classica polpetta avvelenata, che può ammazzare il cane, ma anche chi si nutre del cane. Forse, dopotutto, lo dicono tutti per la semplice (e banalissima) ragione che, a loro voltas, l’hanno sentito dire infinite volte: dalla stampa, dalla televisione e da legioni di sedicenti esperti, che poi non sono affatto tali. Perciò, andiamoci piano prima di scartare con un sorrisetto di superiorità l’idea del “Dio tappabuchi”. Già l’espressione è costruita in modo da costruire il consenso intorno alla propria tesi, facendo apparire ridicoli e inadeguati gli eventuali dissidenti: in fin dei conti, l’umanità non ha sempre creduto che Dio, somma giustizia, è Colui che rimette i conti in ordine, dopo il disordine del peccato?
In realtà, nei tempi moderni non è che l’umanità sia diventata più sensibile, più altruista e più compassionevole: è semplicemente diventata più incredula, più disperata, e quindi più sospettosa e malfidente nei confronti di Dio. Non sei tu il Cristo? salva te stesso e noi! (Lc 23, 39). Ci si sente un po’ tutti come il cattivo ladrone: coscienti di aver speso male la propria vita, lontano da Lui, gli squaderniamo davanti lo spettacolo delle cattiveria e delle ingiustizie per rinfacciargli la sua impotenza o la sua indifferenza; ma è noi stessi che la parte più profonda della nostra anima vorrebbe accusare.
Del resto, non occorre fare grandi ragionamenti per capire che il modo d’impostare la riflessione sul male del mondo è profondamente sbagliato, perché selettivo e riduzionista. Isola alcuni fatti e li considera in assoluto, estrapolandoli arbitrariamente dal loro contesto. Non ha senso lamentarsi del fatto che il veleno del serpente è mortale, perché il veleno è la sola arma di difesa di cui la natura ha dotato il serpente, il quale, se ne fosse privo, sarebbe alla mercé di qualsiasi nemico. Inoltre, esso non si serve del dente del veleno per attaccare chiunque: il viandante che se ne va per la sua strada, e lo lascia tranquillo, non ha di che temere. Certo, se la sfortuna vuole che costui, camminando nell’erba alta, calpesti il serpente, questi, sentendosi offeso, reagisce: ma si può parlare di una sproporzione fra l’armonia e la bellezza del mondo, da una parte, e gli effetti spiacevoli che possono colpire talvolta questo o quell’altro? Se l’artigiano ha fabbricato con le sue mani, con somma abilità, duecento soldatini di stagno, e alla fine la materia prima gli viene a scarseggiare, è forse da disprezzare la sua opera perché ha dovuto modellare l’ultimo soldatino con una gamba sola, come nella fiaba di Andersen?
Prevediamo la prossima obiezione: se fosse tuo figlio a trovarsi con una gamba sola, o con qualche altro difetto, non saresti così tranquillo nel giustificare, come cosa di poco conto, gli “sbagli” della natura. Prendiamo atto che il principale imputato, a questo punto, è cambiato: non è più Dio, ma, a quanto pare, la natura. E sia pure. Non diremo che la natura è una realtà terribilmente complessa, che fa le cose in grande, e che qualche “difetto di fabbricazione” è statisticamente inevitabile. Non lo diremo, perché la natura non è uno stabilimento industriale: è una creazione di Dio, e quindi un riflesso della sua perfezione infinitamente amorevole. Dove c’è amore infinito, non si fanno sbagli: gli sbagli li fanno le creature, esseri limitati e imperfetti, imperfetti anche nell’amore; ma Dio, che è l’Amore stesso, no.
Ricordiamo piuttosto una grande verità, della quale tendiamo a scordarci: che la natura quale noi la vediamo, e della quale siamo parte noi medesimi, non è quella uscita perfetta e innocente dalla mano creatrice di Dio: è, purtroppo, la natura ferita e deturpata dalle conseguenze del Peccato originale. E perciò essa si porta dietro sempre quel retaggio, quel limite, quella tragica imperfezione, che un tempo le erano sconosciute. Ricordiamo il celebre aforisma di Nicolàs Gòmez Dàvila: Al mondo ci sono due categorie di persone: quelli che credono al Peccato originale, e gli stupidi.
Dobbiamo perciò fare chiarezza in noi stessi; con chi abbiamo voglia di prendercela, con Dio o con la natura? Col fatto che anche i bambini innocenti soffrono, o col fatto che una scossa di terremoto può far venir giù un’intera capitale, seppellendo sotto le macerie un numero incalcolabile di esseri umani? Bisognerebbe, in primo luogo, stabilire una differenza fra il male fisico (malattie, calamità e simili) e il male morale (delitti, guerre, persecuzioni). Il primo è dovuto alla nostra natura fisica. Il corpo umano è fatto di decine e decine di organi, muscoli, tessuti, ossa: onestamente non possiamo dare per scontato che funzionino tutti a meraviglia, e poi scandalizzarci e levare alte strida di protesta se uno di essi, l’ultimo, manifesta qualche pericolosa (e dolorosa) disfunzione. Non siamo angeli; abbiamo un corpo fisico: e il corpo è soggetto a siffatti inconvenienti. Ha anche fame, sete, freddo e caldo ed è sensibile alla stanchezza: per cui, se non gli diamo tali cose, soffre, si ammala e muore.
Quanto al male morale, è chiaro da dove esso viene: dal cattivo uso della libertà, o, per meglio dire, dal cattivo uso dell’intelligenza. Se la ragione naturale facesse buon uso degli strumenti che possiede, vedrebbe dove sta il vero e punterebbe in quella direzione, poiché l’uomo è fatto per essere felice, e la felicità sta nel vero, nel buono e nel bello. Ma poiché sovente s’inganna e fa cattivo uso delle sue facoltà razionali, essa indica alla volontà delle mete sbagliate: dei falsi beni, o dei beni di grado minore, scambiandoli però per i massimi beni desiderabili. Da ciò le delusioni, le frustrazioni, le cocenti amarezze; da ciò il senso di fallimento e la vaga e molesta sensazione di essere stati ingannati. Ma nessuno ci ha ingannati: le cose sono buone, tutte; tutto è grazia. Siamo noi che non sappiamo ordinare la giusta scala dei valori.
Di nuovo, prevediamo la classica obiezione: Dio ci ha dotati di una libertà eccessiva, della quale non sappiamo fare buon uso: la colpa è sua, perché, come Creatore, sapeva benissimo a quali inconvenienti saremmo andati incontro. Ci ha sopravvalutati, imponendoci un fardello sulle spalle che non siamo capaci di sostenere. Questo ragionamento, però, ha il difetto di essere a posteriori: noi ci lamentiamo perché vediamo, e constatiamo, che le nostre cose non vanno come dovrebbero, come ci farebbe piacere che andassero: eppure non c’è alcuna tavola della legge ove sta scritto che tale è il nostro ineluttabile destino. Di fatto, noi vediamo dei nostri simili, che ci piace immaginare come se fossero specialissimi ma che in realtà sono fatti in tutto e per tutto come noi, che non inciampano sui sentieri della vita, non prendono cantonate, non commettono errori di giudizio: vivono in tutta semplicità e serenità, confidando in Dio. Quest’ultima è la vera, decisiva differenza che si pone fra loro e noi: essi conoscono la virtù dell’umiltà; hanno in Sé l’amore e il timore di Dio: domandano la luce della grazia, perché sanno benissimo che con quella luce si arriva a salvamento, dolore o non dolore, circostanze fortunate o sfortunate; mentre senza di essa, brancolando e incespicando nelle tenebre fitte dell’orgoglio umano, si va a finir male, anzi malissino,
Rileggiamo il XII, il XIII e il XIV nel Settimo libro delle Confessioni di sant’Agostino (a cura di Mario Capodicasa, Edizioni Paoline, 7a edizione, 1961, pp. 228-229):
XII. Mi fu chiaro allora che le cose buone possono corrompersi; non lo potrebbero se fossero buone in sommo grado o altro non fossero che buone, perché se fossero buone in sommo grado sarebbero incorruttibili e se non esistessero, nulla ci sarebbe da corrompere. infatti la corruzione è difetto, e non sarebbe difetto se il bene non diminuisse. Dunque : o la corruzione non è difetto, il che è impossibile, oppure, ed è molto certo, ogni cosa che si corrompe viene privata di bene. Se sono poi private di tutto il bene più non potranno esistere. Se invece esistono, ma senza possibilità di corruzione, saranno migliori poiché rimanfgono incorruttibili. quale affermazione più mostruosa che l’affermare che quelle cose che sono state totalmente private del bene sono divenute migliori se dunque sono state totalmente private del bene sono divenute migliori. Se dunque sono state totalmente private di bene n on potranno più esistere, ma finché esistono sono buone. Quindi ogni cosa che esiste è buona. Il male quindi di cui cercavo l’origine non è una sostanza perché qualora fosse una sostanza sarebbe un bene e quindi e sarebbe o una sostanza incorruttibile e quindi un gran bene, o una sostanza corruttibile e perciò un bene, altrimenti non potrebbe irrompersi. Vidi percviò chiaramente che tu hai fatto tutte le cose e non c’è nessuna sostanza che tu non abbia fatta. E poiché non hai fatto tutte le cose uguali, esistono tutte in quanto sono singolarmente buone e nel complesso sono buonissime, poiché tu, o nostro Dio, hai fatto più che buona ogni cosa.
XIII. Per te non esiste il male, non solo per te, ma nemmeno per tutta la tua creazione, perché fuori di essa altra cosa non v’è che interrompa o sconvolga l’ordine che tu le hai fissato. Ma certe sue particolarità se non concordano con certe altre si ritengono per male, se invece si accordano costituiscono il bene e sono un bene anche in se stesse. Tutte queste cose che non combaciano tra loro, si accordano con la parte inferiore della natura che chiamiamo terra, e che ha il cielo adatto per sé con le nubi e con i venti. E mai sia che io dica: «Magari queste cose non esistessero!» poiché anche se non ne vedessi altre che queste ed io ne desiderassi ancora delle migliori, dovrei lodarti anche per queste sole cose. infatti degno di lode ti mostrano i dragoni della terra e tutti gli abissi, il fuoco, la grandine, la neve, il ghiaccio, il soffio delle tempeste che ubbidiscono alla tua parola, i monti ed i colli tutti, gli alberi fruttiferi e tutti i cedri, le belve e tutti gli animali, i rettili ed i volatili. I re e tutti i popoli, i principi e tutti i giudici della terra, giovani e fanciulle, vecchi e adolescenti lodino il tuo nome. Ti lodino anche dai cieli; esaltino, Dio nostro, il tuo nome nelle somme altitudini gli angeli tuoi, tutte le tue potenze, il sole, la luna, tutte le stelle, la luce, i cieli dei cieli e le acque che stanno sopra i cieli.
Io più non desideravo che le cose fossero migliori, perché, considerandole nel loro complesso, vedevo che quelle superiori erano migliori delle inferiori ma con giudizio più ponderato stimavo che tutte le cose prese nel loro insieme fossero migliori delle superiori.
XIV. Non sono di mente sana coloro ai quali dispiace qualcosa della tua creazione come non ero sano io quando molte cose da te create a me dispiacevano. E poiché la mia anima non osava ammettere che le dispiaceva il mio Dio, non voleva ammettere che era opera sua quello che le dispiaceva. Era di qui venuta fuori la teoria delle due sostanze, ma non vi trovavo sicurezza e dicevo delle stranezze.
Abbandonata quella teoria, si era creata in me quella di un Dio esteso per gl’infiniti spazi dell’universo ed avevo pensato che quel Dio fossi tu: l’avevo collocata nel cuore ed era di nuovo diventato tempio di un suo idolo abominevole ai tuoi occhi.
Ma dopo che tu, a mia insaputa, curasti il mio capo e chiudesti i miei occhi affinché non vedessero la vanità (Salmo 1218, 37) ebbi allora un po’ di pace e la mia stoltezza si assopì. E quando mi svegliai in te, vidi in altra maniera infinito e questa visione non era derivata dalla carne.
Tutto ciò che esiste, dunque, è bene in se stesso, Anche san Tommaso d’Aquino riprendere e rafforza questo concetto: l’atto di essere delle cose (actus essendi) è un magnifico trionfo sul nulla del non essere. Che le colse esistano, è meraviglioso; e ciascuna di esse è meravigliosa. Il Male è entrato a tradimento nel giardino dell’Eden: ma Gesù Cristo è venuto per estirparlo e ricacciarlo…
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