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Sarco, un sarcofago futurista

anna chialva universitari per la vita Oct 04, 2024

di Anna Chialva

«La nuova capsula di aiuto al suicidio Sarco ha suscitato in Svizzera un importante interesse mediatico». Fino alla scorsa settimana il giornale svizzero Swiss.ch si accontentava di iniziare così un articolo su Sarco. Una formula non troppo allarmante e addirittura allettante. Ma dopo gli ultimi eventi, la straordinaria navetta spaziale che suscitava interesse adesso suscita allarme. Questo, dopo che il 23 settembre Sarco è stata utilizzata per la prima volta nel cantone di Sciaffusa da una donna di 64 anni originaria del Midwest americano. Lo ha annunciato The Last Resort, l’associazione che promuove questo dispositivo. Dopo l’annuncio diverse persone sono state arrestate. 

Ma prima di venire all’attualità, torniamo a quest’estate quando l’allarme era una semplice notizia futurista. Sarco è il nome di una capsula abitabile stampata in 3D con un design futuristico, ideata per permettere a chi lo desidera di suicidarsi. Basta premere un pulsante per essere ucciso in pochi minuti, ma «in modo pacifico o con una leggera sensazione di euforia», spiega il suo progettista.  

Conosciuta anche come la “Tesla dell’eutanasia”, Sarco esiste già da cinque anni. I suoi progettisti hanno tenuto una conferenza stampa a Zurigo il 17 luglio scorso con un obiettivo preciso: correggere «le informazioni errate che stanno circolando». L’occasione è stata colta per annunciare la creazione dell’organizzazione The Last Resort. Diversi cantoni sono stati contattati per contribuire al progetto. 

La medicina e l’ingegneria a servizio della morte 

Sarco è il risultato di una collaborazione tra il medico australiano e attivista per l’eutanasia Philip Nitschke e l’ingegnere olandese Alex Bannink. Nel 1997, il primo ha fondato in Australia l’organizzazione per l’eutanasia volontaria Exit International (che non ha alcun legame con Exit in Svizzera) di cui fa parte anche la sua compagna Fiona Stewart. 

Tecnicamente, Sarco causa la morte per ipossia da azoto. Il funzionamento è semplice: dopo aver risposto a una serie di domande all’interno della capsula stessa, l’utente innesca il rilascio di un grande volume di azoto, facendo scendere il livello di ossigeno dal 21% allo 0.05% in meno di trenta secondi. Secondo Philip Nitschke, la persona perde conoscenza dopo due respiri e muore senza dolore entro cinque minuti. Il livello di ossigeno nella capsula e la frequenza cardiaca dell’individuo vengono controllati a distanza. 

Una morte quasi gratuita 

Lanciato nel 2012, il progetto Sarco sarebbe costato oltre 600.000 franchi svizzeri. La stampa in 3D di una capsula costerebbe 15.000 franchi. Poiché l’obiettivo è quello di rendere la capsula accessibile a tutti, indipendentemente dalla ricchezza, l’utilizzo è gratuito, sostiene Fiona Stewart. L’acquisto dell’azoto, tuttavia (18 franchi circa) è a carico dell’utente. 

Secondo l’organizzazione, Sarco dovrebbe essere disponibile per le persone di età superiore ai cinquant’anni che hanno una buona capacità di giudizio. Questo vale anche per i giovani affetti da malattie inguaribili. A differenza delle organizzazioni svizzere, non sono previste quote di iscrizione. 

Una Svizzera presumibilmente liberale 

L’attivista australiano non ha scelto la Svizzera per caso. Rispetto agli altri paesi, il sistema giuridico svizzero è liberale. Secondo il Codice penale, aiutare una persona a morire non è punibile, a meno che non ci sia un motivo egoistico. 

L’associazione delle società mediche svizzere ha redatto un “codice etico” sul suicidio assistito. Esso stabilisce che una persona sana non deve essere aiutata a morire e che un medico deve condurre due colloqui per fornire assistenza. Tuttavia, questo codice non è legalmente vincolante. In una conferenza stampa, il co-presidente di The Last Resort Florian Willet ha confermato che «la Svizzera è il posto migliore per utilizzare Sarco, dato il sistema giuridico liberale del Paese: Noi di The Last Resort non nascondiamo la nostra fiducia». Sarco «dovrebbe poter essere usato legalmente tra non molto». Secondo l’organizzazione, la capsula soddisfa le condizioni svizzere per l’eutanasia legale. «Negli ultimi due anni abbiamo ricevuto molte consulenze legali da vari specialisti – afferma Fiona Stewart. Dal nostro punto di vista, non ci sono ostacoli legali all’utilizzo di Sarco». 

Una zona grigia dal punto di vista legale 

In Vallese, il medico cantonale si è opposto. L’istituto Swissmedic, responsabile del monitoraggio del mercato degli agenti terapeutici, non ha mai rilasciato un’autorizzazione per la capsula, poiché non considera Sarco un dispositivo medico: «Siamo giunti alla conclusione che lo scopo di una capsula suicida non corrisponde ad alcun obiettivo medico specifico previsto dalla legge. Provocare la morte non è né un trattamento né un modo per alleviare malattie, lesioni o disabilità», ha dichiarato a swissinfo.ch il portavoce di Swissmedic, Lukas Jaggi. In precedenza, la Procura del Cantone di Sciaffusa aveva minacciato un’azione penale, sottolineando in particolare l’inadeguatezza delle informazioni sulla capsula. La risposta di Fiona Stewart? «Se ci sono divergenze legali, saranno i tribunali a decidere». 

Preoccupazione tra le organizzazioni 

Da parte loro, le organizzazioni svizzere riconosciute per il suicidio assistito rifiutano tutte la capsula. Da un lato, criticano The Last Resort per aver escluso i medici dal processo di suicidio assistito. Il modello svizzero di suicidio assistito, in uso dall’inizio degli anni ’80, prevede infatti l’intervento di un medico. Lo stesso vale per altri Paesi che consentono l’eutanasia. 

Inoltre, in Svizzera il farmaco che provoca la morte è il pentobarbital di sodio che può essere prescritto solo sulla base di una decisione medica, al contrario dell’azoto che invece può essere acquistato senza prescrizione. 

Secondo Dignitas, l’assistenza medica professionale al suicidio è fornita da personale qualificato. L’associazione, attiva in questo campo, ha dichiarato a swissinfo.ch che ogni suicidio assistito viene esaminato dalle autorità (pubblico ministero, polizia e autorità mediche): «Data questa prassi giuridicamente sicura, consolidata e comprovata, non possiamo immaginare che una capsula tecnologica progettata per un fine vita autonomo possa suscitare un’accettazione e/o un interesse diffuso in Svizzera». 

Erika Preisig, medico e presidente dell’organizzazione basilese Lifecircle, aggiunge che il coinvolgimento degli operatori sanitari fornisce un filtro che aiuta a evitare suicidi inutili: «Temo che le persone vengano accompagnate alla morte in modo spregiudicato, con informazioni insufficienti sulle alternative al suicidio e senza un’attenta considerazione delle loro volontà», afferma opponendosi a Sarco

Inoltre, Sarco è stata definita “disumana” dalle associazioni svizzere. Esse osservano che le persone sono condannate a morire separate dai loro cari, “da sole” in una capsula chiusa. 

In un documento di posizione, Exit, la più antica e grande associazione svizzera per il suicidio assistito, afferma che i suoi membri e i loro cari apprezzano «di non essere separati l’uno dall’altro al momento della morte, ma di potersi toccare e abbracciare durante gli ultimi minuti». La capsula, che non lo consente, è contraria a questo principio. 

Il Codice penale svizzero: un crimine nascosto in due parole 

Queste sono le informazioni che i media svizzeri hanno trasmesso durante l’estate. Sarco, insomma, non è stata accettata dalla Confederazione; ciò per motivi validi dal punto di vista della legislazione elvetica sul suicidio assistito, ma evidentemente non abbastanza forti per dissuadere le persone dal prendere in considerazione una tale ipotesi. 

Il problema non è tanto la legalizzazione o meno di Sarco, ma la legalizzazione del suicidio assistito. Infatti, per quanto le altre associazioni pro-eutanasia si oppongano a Sarco e alla sua legalizzazione per motivi cosiddetti “etici” o “umani”, l’obiettivo è lo stesso e non è assolutamente “etico” né “umano”. Sul sito di EXIT si può leggere: «Attualmente, il Codice penale svizzero (art. 114) vieta di aiutare attivamente qualcuno a morire (eutanasia attiva), anche se ciò avviene su espressa richiesta della persona interessata. Invece, per quanto riguarda il suicidio assistito, non solo il Codice penale non definisce il suicidio come un reato, ma la Svizzera è uno dei pochi Paesi al mondo in cui l’aiuto al suicidio non è punibile, a meno che il motivo non sia egoistico, secondo l’articolo 115 del Codice penale. Ciò significa che chiunque sia malato o sofferente e desideri controllare le ultime fasi della propria vita ha il diritto di ricorrere al suicidio assistito. L’associazione EXIT preferisce il termine “auto-eliminazione”. L’eutanasia attiva è dunque ancora vietata in Svizzera, anche se in alcuni casi è l’unica soluzione. Per questo motivo EXIT ADMD della Svizzera francese e altri gruppi si stanno impegnando per far modificare le disposizioni del Codice penale relative all’eutanasia attiva in seguito alla richiesta della popolazione». 

Osserviamo più da vicino queste affermazioni: la differenza tra eutanasia attiva e suicidio assistito è minima. Nel primo caso è un medico o un terzo che somministra direttamente la dose letale, nel secondo caso è il medico o un terzo che procura la sostanza letale alla persona che auspica suicidarsi. Il suicidio assistito in Svizzera non è illegale nel momento in cui colui che procura la sostanza non è spinto da “motivi egoistici”. Insomma, alla base dell’esistenza delle associazioni pro-eutanasia non c’è la legge bio-etica, ma due parole di un articolo del Codice penale. Se l’articolo 115 recitasse  «Chiunque (…) istiga alcuno al suicidio o gli presta aiuto è punito, se il suicidio è stato consumato o tentato, con una pena detentiva sino a cinque anni o con una pena pecuniaria», le associazioni come EXIT sarebbero illegali. Perché infondo, come mostrano le ultime derive a favore dell’eutanasia attiva, il suicidio assistito non è che una forma di omicidio: molto più subdola, indiretta e immorale in quanto appoggia l’“auto-eliminazione” della persona facendo passare il tutto per un “atto di umanità” verso chi soffre. Il peggio è che i costi di associazioni come EXIT sono abbastanza elevati. La quota associativa è di 45 franchi l’anno, ma per i nuovi soci la tassa è di 3.700 franchi. Ecco dove si nasconde il “motivo egoistico”. 

Sarco non si allontana troppo dall’obiettivo eutanasico fondatore di EXIT. È bene sottolineare che ultimamente EXIT nella Svizzera tedesca ha deciso di lanciare il dibattito sulla possibilità di estendere il suicidio assistito anche alle persone anziane senza problemi di salute, mentre finora la gravità della malattia era uno dei criteri per poter accedere al servizio. 

Sarco: una concorrente da allontanare 

Se il timore della Svizzera negli ultimi mesi era che la navetta mortale potesse minare la politica liberale sul suicidio assistito, ormai è tardi: si è creato un precedente e anche una concorrente. Sarco, introdotta in Svizzera, ha fatto una prima vittima. «Sarco ha funzionato come previsto» ha annunciato orgoglioso Nitschke. Insomma, è stata collaudata, adesso può essere venduta con la garanzia “a vita” e il caro Nitschke e i suoi amici americani potranno guadagnare un bel mucchietto di denaro a discapito della vita delle persone. Chi era infatti la sola persona che monitorava dalla Germania tutto il processo mentre questa donna premeva il pulsante per darsi la morte? Il copresidente di The Last Resort, Florian Willet. Non c’era nessun altro accanto a lei, né famigliari, né amici, c’era il promotore di una macchina che osservava attraverso una telecamera come si osserva una cavia da laboratorio. E come è stata collaudata? Willet ha affermato che il decesso della donna è stato “tranquillo, rapido e degno” e non solo, il tutto si è svolto “sotto gli alberi” in uno spazio verde privato. Una capsula ermetica con vista ampia sulla natura. Sembra lo spot pubblicitario di un’automobile. Peccato che il tasto di avvio della macchina è in questo caso quello che provoca la morte. Per quanto la Svizzera e il cantone di Sciaffusa si siano immediatamente mobilitati, la sfida è ormai lanciata. Se ognuno ha la “libertà di scegliere” la propria morte perché scegliere Exit piuttosto che The Last resort? Infondo, Sarco costa meno, è più rapido e poi il problema della condanna non si pone: chi viene condannato non è di certo la persona deceduta né i suoi famigliari, perché la decisione è personale ed irrevocabile. L’arrivo di Sarco ha infervorato le menti, uccidendo l’anima. 

La vita è un dono 

Forse alcune anime oseranno un giorno rispondere a questo vociare confuso e malato: perché non sta a noi decidere quando la nostra vita finisce, né a nessun altro. Perché la vita è un dono e accettarla per come ci viene data testimonia la più alta forma di intelligenza umana. Non si tratta di rimanere nel dolore senza curarlo o diminuirlo: le cure palliative aiutano il paziente a continuare il cammino verso la morte diminuendo il dolore fisico, senza però provocare la morte. Questo affinché, nonostante il corpo si indebolisca progressivamente, lo stato psichico, sociale e spirituale della persona possa accogliere il mistero della morte circondato dall’amore dei propri cari. 

Il modo di vivere si desidera, ma non si è padroni né della propria vita, né della propria morte, poiché la morte è davvero degna nel momento in cui oltrepassa l’umano e si abbandona al divino. Solo così potremo dire serenamente ai nostri cari prima della loro partenza un dolce “Arrivederci”. 

FONTE : Universitari per la Vita

 

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