Questioni escatologiche (seconda parte)
Apr 10, 2025
di Emanuele Sinese
(segue da “Questioni escatologiche – prima parte)
Il tempo
L’immortalità dell’anima è una tematica che soprattutto dall’epoca moderna ad oggi ha destato non poche preoccupazioni e soprattutto scetticismo, in quanto molti, a causa di una mentalità esclusivamente scientista, fondano la propria esistenza sull’esclusivo dato empirico. L’antropologia naturalista infatti propone una visione del corpo immanentista, ove l’anima non esiste. Sorge spontanea l’istanza: come conciliare anima e corpo? Cosa accadrà alla fine dei tempi?
Prima di addentrarmi nella questione è doveroso anzitutto porre una riflessione sul tempo. Il tempo è un periodo donato all’uomo, mediante il quale si realizza e realizza la vocazione che Dio gli ha affidato. Il tempo è il luogo della decisione, dell’azione attiva del soggetto, che essendo docile all’azione pneumatica attua già qui e ora il Regno di Dio.
La morte? Essa è atemporale, in virtù del fatto che una volta deceduti si è al di fuori del tempo. In teologia la materia della temporalità risultò fondamentale per definire il dogma dell’Assunzione di Maria al cielo. Codesto dogma ricorda il fine dell’uomo: entrare nel cielo nuovo, nella vita nuova, essere nella risurrezione. Gerhard Lohfink (teologo, filosofo e religioso tedesco), in riferimento a questo particolare aspetto, sostiene che la morte ci introduce in una nuova temporalità, che è propria dello Spirito creato. Egli offre una spiegazione in congiunzione alla Bibbia, circa la Parusia, di conseguenza la venuta finale di Cristo. Per Lohfink c’è una costante immanenza della Parusia, che all’atto della morte consente all’uomo di entrare nella particolarità dello Spirito e così nel compimento della storia. Nella morte avvengono contemporaneamente la Parusia e la Risurrezione ove fine e attesa si identificano.
E’ accettabile la posizione di Lohfink? Su un versante sì, perché egli mette in evidenza che in Cristo ogni verrà rinnovata, sull’altro versante no, in quanto non considera nell’effettività la Parusia. Egli sostenendo che di costante accade la Parusia, tende a far comprendere che la Scrittura ha adottato un linguaggio quasi leggendario affinché le genti, soprattutto più semplici, possano comprendere cosa sia la Risurrezione. La Parusia è promessa cristica, ritorno cristologico, ove definitivamente ogni essere così come creato dell’essente a lui si ricongiungerà in toto.
Dato biblico circa la Risurrezione e l’immortalità
La Risurrezione dei morti è uno degli elementi fondanti del Credo cristiano. Gesù è risorto dai morti e testimoni oculari, avendolo visto ne hanno tramandato l’accaduto. Il Risorto diviene così il vero canone, il criterio secondo cui anche la Tradizione interpreta l’integrale Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento). Il tormentato cammino del popolo d’Israele, narrato nell’Antico Testamento è apoteosi del Risorto, non scevro da incomprensioni, che lo stesso Gesù ebbe con alcuni uomini del suo tempo: i Sadducei. Essi riconoscevano il solo Pentateuco come unica norma di fede e in riferimento alla Risurrezione dai morti non era concordi. Costoro non credevano che il corpo dopo la morte potesse risorgere, in quanto Mosè non ne aveva parlato espressamente. Gesù citando Mosè al roveto ardente ricorda che Dio, presentandosi come il Dio dei vivi e dei morti, trascende la vita oltre la morte. Essere inclusi in Dio sta a indicare la volontà del soggetto di partecipare ai suoi voleri, al suo cammino di liberazione, che in Gesù raggiunge il culmine. Gesù in riferimento alla risurrezione dai morti ha una concezione farisaica, la quale riconosce e afferma la Risurrezione. Gesù non muta la fede semplice d’Israele, ma le dà compimento con quanto vivrà il Venerdì Santo, a cui tutti coloro che anelano a Dio ne sono chiamati a farvi parte. In ausilio su suddetto tema San Paolo nella Lettera ai Romani (6, 1 – 14) chiosa:
Che diremo dunque? Continuiamo a restare nel peccato perché abbondi la grazia? È assurdo! Noi che già siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere nel peccato? O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione. Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato. Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù. Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri; non offrite le vostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato, ma offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti e le vostre membra come strumenti di giustizia per Dio. Il peccato infatti non dominerà più su di voi poiché non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia.
Il battesimo sta a indicare l’inserimento nella morte di Cristo stesso; esso consente di entrare in comunione di vita con Gesù in attesa di partecipare al suo destino di morte. La morte è il fine del tutto? No! Essa ci apre verso la Risurrezione. Patire la morte con Cristo significa condividerne con Lui la speranza di risorgere. Partecipare alla Passione di Cristo indica la fatticità di aprirsi all’attesa della Risurrezione.
La Teologia della Risurrezione
La Risurrezione non è una questione scissa dall’esistenza umana. Come ben afferma Sant’Agostino Dio ti salva, ma non senza di te. La salvezza, quale elemento sostanziale e unico della Risurrezione, si fonda sulla vita sacramentale. I Sacramenti sono segno di appartenenza alla Chiesa di Cristo. I Sacramenti hanno un ruolo ecclesiologico, ma anche escatologico, ove la persona di Cristo si dispiega svelandosi a ogni uomo. Ecco quindi il senso della teologia della personalizzare della Risurrezione, da non riferirsi però nella realtà antropologica, bensì cristologica. Per personalizzazione si intende la figura di Cristo, che chiama a sé e di conseguenza al Padre l’intera umanità. Interpretazioni antropocentriche oppure liberali creano un’immagine fittizia di Dio. Non si comprende il mistero di Dio, se non lo si incontra nella fede della Chiesa.
La Risurrezione secondo San Paolo
Nella Seconda Lettera a Timoteo (2, 18) Paolo offre una spiegazione valida di Risurrezione. L’apostolo delle genti esorta a diffidare dai falsi maestri che sovvertono la loro fede affermando che la Risurrezione è già avvenuta e che pertanto possono concedersi a qualsiasi forma di dissolutezza. La Risurrezione non è solo un evento spirituale, che avviene con il battesimo, ma essa è una promessa per il cosmo, per l’uomo tutto in quanto nella Risurrezione di Cristo Dio mostra di essere il Signore del cosmo e della storia. Come afferma San Tommaso d’Aquino gli enti convergono all’essere sommo che è appunto Dio. La vita terrena è un agire costante per Dio. La ragione, che tanto l’epoca moderna ha esaltato, non può scindersi dal soprannaturale, in quanto non si auto genera, ma è posta da Dio. L’uomo è capace di razionalità perché Dio lo ha costituito tale. Chi scinde la ragione umana dal divino è irrazionale e va così contro una facoltà propria dell’essere che è la comprensione della verità.
L’immanentismo razionalista, che definisce il mondo e quanto esso contiene come esclusivo evento biologico o causale, compie atto di superbia, perché elude a priori la substanzia dell’essere: il divino.
La storia così come il cosmo non sono entità prive di senso, destinate a svanire nel caos, bensì luoghi di comunione con Dio. Da qui si può comprendere anche quanto affermava Sant’Ireneo di Lione circa l’Eucaristia: egli la definiva farmaco dell’immortalità. Farmaco dell’immortalità, perché chi ha fame del reale cibo della vita che è anche Parola donata (Dei Verbum) entra nella comunione con Dio. Ecco quindi che la Risurrezione diviene hic et nunc.
La fede nella Risurrezione è quindi la confessione cristologica di Dio, la possibilità sino all’ultimo istante di decidersi verso chi convergere. Con Dio non vi sono alternative. Egli tiene conto delle creature, ma dona loro di risorgere a vita nuova, se effettivamente lo accettano.
FONTE : Libertà e Persona
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