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TRUTH

Quella voce del Signore che mi chiede tutto

don luca civardi il blog di costanza miriano Apr 04, 2024

FONTE : Il Blog di Costanza Miriano

28 Marzo 2024

Nel giorno in cui Gesù istituisce il sacerdozio, condividiamo questa riflessione di don Luca Civardi, anche come segno di gratitudine verso i sacerdoti, tutti, quelli che lavorano sulla via della santità e anche gli altri, per i quali dobbiamo pregare ogni giorno, perché comunque alle loro mani benedette – povere e umane ma benedette – dobbiamo l’accesso al corpo e al mistero di Dio.

di don Luca Civardi

Nell’intimità del cenacolo, il Signore Gesù istituisce il ministero ordinato come strumento privilegiato di accesso al suo mistero, al suo amore infinito, alla grazia che sgorga da un cuore capace di amare oltre la morte. Si tratta di un sacramento, non di una modalità: c’è molto di più che la sola assegnazione di un ruolo. Proprio in questo giorno, ancora una volta meravigliato per quel che mi è stato chiesto nel mistero della vocazione sacerdotale, rifletto a voce alta e a parole scritte su che cosa significhi essere prete. 

Sono sacerdote da quasi sedici anni, ho celebrato circa 7000 Messe e un numero maggiore di confessioni, ho distribuito migliaia di volte la comunione, ho battezzato, ho celebrato le nozze, ho dato l’olio degli infermi, ho pregato ogni giorno il breviario, ho cercato di dare il massimo nelle attività pastorali, offrendo la brillantezza dell’amore più che lo scintillio dell’originalità. Mi accorgo che niente di questo assomiglia a un vanto. Non mi vanto per quello che ho fatto, ne sono semplicemente meravigliato: mi faccio volentieri da parte, fino a scomparire, perché resti soltanto Chi mi ha chiesto tutto questo. Il prete è come se non esistesse: fa ciò che Cristo gli chiede e scompare, senza lasciare traccia, senza occupare il posto, senza pretendere un microfono o un video, senza invocare un consenso o un’ammirazione che sono decisamente fuori luogo. La gioia della vocazione sacerdotale ha un sapore intimo, profondo al punto che difficilmente può essere spiegato a parole e gesti: se si vuole capire un prete, lo si può fare solo accentando che la maggior parte di lui resta indisponibile e viene totalmente annientata perché brilli solo il Signore. I preti non brillano per la propria virtù, per il proprio entusiasmo, per la propria abilità: se si accontentano di questo sono fuori strada. E lo sono stato anche io, molte volte. La Chiesa ha bisogno dei sacerdoti solo se essi hanno piena consapevolezza della loro inutile necessità, non se sono brillanti e affascinanti fino a distogliere dall’unico che è necessario.

Tra i molti aspetti che la vita del prete fa brillare c’è il celibato. Oggi lo si ossequia fino a farlo percepire come superato dai fatti, come se fosse un’antichità ammirevole, ma stonata e inutile, come se fosse un mobile barocco in una casa moderna. Il celibato è una forma di libertà, non una castrazione o un’imposizione. La Chiesa sceglie i preti tra i celibi, senza chiedere a quelli che sceglie di essere celibi. Il celibato, ben lungi dall’essere una forma meramente costrittiva dell’ambito affettivo-sessuale, è la chiamata a una libertà grande, forse troppo grande perché oggi possa essere compresa. I preti di oggi hanno molti legami: ne sono, per certi versi addirittura dipendenti. Si legano a molte cose, persino materiali, lasciando piano piano sullo sfondo l’unico legame che conta. Non è un giudizio, ma una sensazione: case, macchine, oggetti tecnologici, animali e, qualche volta, famiglie o persone. Abbiamo bisogno di legarci, ma non possiamo scegliere sempre e soltanto quali legami preferire. Questo è il punto del celibato che è difficile da comprendere. Sento già l’obiezione: “saremmo mutilati, così”. No. Proprio no. Saremmo donati a chi ci ha chiamato, senza curarci minimamente né del nostro valore né delle nostre miserie. La libertà del sacerdote è grande e assoluta solo in ragione di Colui al quale egli si è legato, non in relazione a ciò che potrebbe fare, nonostante il suo ministero.

Mi fermo ancora una volta ai piedi del Signore, oso porgere il capo sul suo petto, per ascoltare ancora una volta quella voce che mi chiede tutto. E non mi stanco di riascoltarla, neppure dopo sedici anni.

 

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