Qual è il legame tra la manipolazione dei gameti e l’utero in affitto?
Jun 16, 2023di Fabio Fuiano
Il mese di Giugno, dedicato al Sacro Cuore, è stato diabolicamente designato come mese del “Pride”. Attenzione, non più del “Gay pride”, ma solo del “Pride”, a rimarcare come, ormai, non si tratti più di portare avanti la normalizzazione dell’omosessualità (e degli atti ad essa connessi), ma bensì la c.d. fluidità di genere: ciò significa che ognuno di noi non si inquadrerebbe più oggettivamente, grazie al dato biologico naturale, nel genere maschile o femminile, ma soggettivamente in virtù della propria volontà di auto-determinarsi all’interno di uno spettro di generi. Per approfondire le radici filosofiche di questo tema, si rimanda al libro “La teoria del gender: per l’uomo o contro l’uomo” (Edizioni Solfanelli) che raccoglie gli Atti di un Convegno, organizzato dall’Associazione Famiglia Domani e tenutosi a Verona il 21 settembre 2013.
È notizia del 6 giugno scorso che, a differenza degli anni passati, la Regione Lazio ha revocato il patrocinio al Roma Pride 2023, manifestazione tenutasi il 10 giugno. L’amministrazione regionale, capitanata da Francesco Rocca, ha ribadito che non può «né potrà mai, essere utilizzata a sostegno di manifestazioni volte a promuovere comportamenti illegali, con specifico riferimento alla pratica del cosiddetto utero in affitto».
Insomma, l’oggetto del contendere non è l’ostentazione del peccato pubblico, ma solo il fatto che, in una tale manifestazione, si dia sostegno ad una pratica che, almeno per il momento, risulta essere illegale. C’è da pensare che, qualora fosse legale, nessuno avrebbe nulla da obiettare. Ciononostante, ci si può rallegrare per questo piccolo gesto di lucidità, auspicando che duri almeno fino al momento in cui ci si renderà conto che l’errore è stato ab origine il permettere la diffusione capillare di idee perniciose.
In ogni caso, conviene ora focalizzarsi sulla questione relativa all’utero in affitto, nell’ottica di approfondirne le origini: senza questo passaggio, qualsiasi discussione, anche giustamente critica sull’utero in affitto, rischia di divenire fine a se stessa e a lungo termine completamente vana.
In un articolo, pubblicato su Corrispondenza Romana, si era spiegato come la pratica dell’utero in affitto nasce dalla fecondazione artificiale: senza la possibilità di manipolare i gameti maschile e femminile, l’utero in affitto non esisterebbe. Non è un caso che esso ha inizio negli Stati Uniti nel 1979, l’anno dopo la nascita della prima bimba in provetta (R. Lacayo, Is the womb a rentable space? An emotional court case centers on surrogate births, in Time Magazine, 22/09/1986). Esistono essenzialmente due tipologie di utero in affitto: (a) il c.d. “utero in affitto tradizionale” (traditional gestational carrier), in cui è la gestante che fornisce i propri ovuli, i quali verranno fecondati dal futuro padre (oppure da un donatore). In tal caso la surrogata è madre biologica del nascituro, contrattualmente tenuta a cederlo; (b) il c.d. “utero in affitto non tradizionale” (gestational carrier o gestational surrogate), in cui l’ovocita proviene dalla madre committente (intended mother) o da una donatrice ed è fecondato dal padre committente (intended father) o da un donatore. L’embrione è poi posto nell’utero della surrogata (che quindi non fornisce i propri ovuli) per recidere ogni legame genetico tra nascituro e gestante (G. Brambilla, Riscoprire la Bioetica, Rubbettino Editore, 2020, pp. 274-275).
L’Enciclopedia Treccani, alla voce “Riproduzione: tecniche di inseminazione artificiale” riferisce che la più antica applicazione documentata di una tecnica di riproduzione assistita risale al 1783 quando il fisiologo italiano Lazzaro Spallanzani inseminò artificialmente una cagna ottenendo una cucciolata. Intorno al 1900, I. I. Ivanov mise a punto tecniche di inseminazione per equini, bovini e ovini. La grande potenzialità dell’inseminazione artificiale negli animali da allevamento – afferma Treccani – dipende dal fatto che l’eiaculato maschile contiene diversi milioni di spermatozoi, sufficienti, in teoria, a fecondare centinaia di femmine.
Sempre su Treccani si riporta come «un decisivo passo avanti in questa direzione fu compiuto verso la fine degli anni quaranta, quando a Cambridge, il gruppo di ricercatori diretto da Christ Polge sviluppò tecniche di congelamento e di conservazione di spermatozoi animali. Quasi contemporaneamente furono messi a punto i metodi per isolare e manipolare i gameti femminili […]».
Dagli animali, si passò presto agli esseri umani e, in Italia, le tecniche di manipolazione dei gameti furono definitivamente sdoganate con l’avvento dell’iniqua legge 40 del 2004. Per i tecnici della fecondazione artificiale non esistono donna, uomo e bambino, ma piuttosto (a) una produttrice e fornitrice di ovociti, un contenitore di ovociti o di embrioni che può essere sostituita con un utero artificiale, utero in affitto o fecondazione eterologa, (b) un fornitore di seme che può essere sostituito con fecondazione eterologa, clonazione o seme artificiale, (c) un prodotto (tanto che la legge 40, all’art. 13, comma 3, e art. 14, fa riferimento espresso alla «produzione di embrioni umani»), la cui esistenza e le cui caratteristiche dipendono dalla volontà di produttore e committenti.
Inizialmente, la legge 40/04 prevedeva che fosse lecita solo la fecondazione omologa, ovvero quella in cui i gameti appartenessero alla sola coppia committente. Tuttavia, con la sentenza n. 162 del 2014, la Corte Costituzionale dichiarò illegittimo il divieto di fecondazione eterologa, dando così il via alla fecondazione artificiale con gameti esterni alla coppia e ripristinando quel “far west procreativo” che la legge 40 si proponeva idealmente di eliminare. All’estero esistono delle vere e proprie “banche del seme”, aziende dove viene acquistato lo sperma di donatori, talvolta anonimi, in cambio di denaro e da cui attingere ogni qualvolta si volesse ricorrere ad un “donatore esterno”. Questo ha ingenerato la violazione della legge naturale e divina in tre punti essenziali: (a) per la continua disgiunzione della procreazione dall’atto coniugale, (b) per la consumazione sistematica dell’adulterio nella fecondazione eterologa, (c) per il verificarsi – sempre più probabile man mano che tali pratiche fecondative si diffondono – di incesti tra persone concepite dal seme del medesimo donatore ma inconsapevoli della propria origine biologica comune. Tanto per fare un esempio dei paradossi che si possono creare, è notizia del 28 aprile scorso che il musicista olandese Jonathan Meijer, ha avuto la bellezza di 500 figli proprio grazie alla donazione seriale di liquido seminale.
Se non si avrà il coraggio di mettere in discussione le leggi ingiuste del nostro paese e le idee sulle quali si fondano, ogni possibile opposizione alla pratica dell’utero in affitto svanirà in una bolla di sapone. Se ci si ferma al trattamento del sintomo, senza intervenire sulla malattia che lo causa, quest’ultima si svilupperà fino alle sue estreme conseguenze.
Fonte: Corrispondenza Romana
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