Propaganda eutanasica nei cinema italiani: che pensarne?
Dec 16, 2024Lo scorso 5 dicembre è uscito ufficialmente nelle sale cinematografiche il film La stanza accanto del registra Pedro Almodóvar. Una pellicola che esalta l’eutanasia e alla quale dedicammo un commento quando, lo scorso settembre, è stata insignita del Leone d’oro.
Tale uscita arriva a pochi giorni dall’intervento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione dell’incontro, il 28 novembre scorso al Quirinale, con una delegazione del mondo delle cure palliative in cui ha sottolineato l’importanza della centralità della persona, «quella che fa sì che ci si renda conto, che il malato non ha diritto alle cure soltanto se vi sono prospettive di guarigione. Ma che ha diritto alle cure fino al momento estremo». Gli hanno fatto eco due giorni più tardi le parole del Papa che, rivolgendosi ad alcuni deputati francesi in visita al Vaticano, ha ricordato come «il dibattito sulla questione essenziale della fine della vita possa essere condotto nella verità. Si tratta di accompagnare la vita al suo termine naturale attraverso uno sviluppo più ampio delle cure palliative. Come sapete, le persone alla fine della vita hanno bisogno di essere sostenute da assistenti che siano fedeli alla loro vocazione, che è quella di fornire assistenza e sollievo pur non potendo sempre guarire. Le parole non sempre servono, ma prendere per mano un ammalato, prendere per mano, questo fa tanto bene e non solo all’ammalato, anche a noi».
La propaganda del film va in una direzione nettamente contraria. Il prof. Mario Palmaro, nel suo libro Eutanasia, diritto o delitto? (Giappichelli, Torino 2012, pp. 1-8) spiegò in modo chiaro qual è il fattore trainante di ogni istanza eutanasica, ovvero «la fuga dell’uomo contemporaneo di fronte al tema del senso della vita e della morte». Il ragionamento, sottofondo del film, come di ogni difesa della pratica eutanasica, è il seguente: «poiché ogni uomo decide se e come rispondere alle questioni esistenziali e poiché la caratteristica essenziale dello stato laico e secolarizzato è il rifiuto di prendere posizione intorno a simili questioni, che appartengono alla sfera privatissima ed invalicabile del singolo, allora se ne ricava che il diritto di farsi togliere la vita rientri a pieno titolo tra le facoltà da mettere a disposizione di ogni cittadino, fermo restando che nessuno dovrà essere obbligato a tale decisione e fermo restando che lo Stato non potrà esprimere alcun giudizio su qualunque decisione, inerente tali questioni».
Ma, sottolineava Palmaro, esso presenta numerose falle concettuali di cui, la più clamorosa, «riguarda la pretesa neutralità dello Stato, vero assunto di carattere mitologico, che è contraddetto da ogni manifestazione della voluntas del potere politico. Ogni norma giuridica, per quanto laica, contiene infatti una presa di posizione implicita sulla vita, sulla morte, sulla sofferenza. Lo Stato esprime un giudizio di valore quando impone, con la forza del diritto, l’obbligo di soccorrere un ferito o l’obbligo di prendersi cura di un malato […] o il dovere di non agevolare una persona che si vuole suicidare, e perfino di compiere atti coercitivi per impedirglielo».
Di conseguenza, se uno Stato decide di legalizzare l’eutanasia, «ciò non significa che abbia deciso di assumere un atteggiamento neutrale sulla questione; al contrario, si deve ritenere che per lo Stato la vita umana non sia più degna di essere protetta in presenza di determinate condizioni: la volontà di morire del soggetto, l’esistenza di una patologia, la prossimità del morire, la cronicità di una malattia, l’”indegnità” della vita, ritenuta tale dal soggetto stesso o da un’equipe di esperti, dotati di tale potere».
È praticamente certo che un ordinamento giuridico che legalizzi l’eutanasia «comunicherà alle generazioni successive un’idea di “valore della persona umana” notevolmente indebolita, fino alla sua totale evaporazione, rispetto a un sistema classico di norme giuridiche che vieta e punisce l’eutanasia».
Continuava il filosofo del diritto, affermando che «i temi filosofici preliminari alle scelte giuridiche in materia di eutanasia sono spesso utilizzati con maestria dialettica da parte dei fautori del diritto alla “buona morte”». Per introdurre tali trasformazioni, è necessario poter godere dell’appoggio di ampi settori della società e, di conseguenza, che «l’opinione pubblica sia adeguatamente sensibilizzata, allo scopo di modificarne i valori di riferimento, sulla base di un crescente consenso diffuso, che non di rado si alimenta di sé stesso. In questo meccanismo, non è tanto decisiva la fondatezza razionale delle tesi che vengono sostenute, quanto piuttosto la forza persuasiva che le argomentazioni riescono ad esercitare sullo strato più emotivo che caratterizza l’opinione pubblica». Il film di Almodóvar è un esempio eclatante di tale “sensibilizzazione”, essendo il cinema un veicolo potentissimo di idee che penetrano, praticamente indisturbate, nelle anime.
Nel caso dell’eutanasia, si sono rivelati decisivi tre temi ricorrenti: (a) il rispetto della volontà del soggetto (principio di autodeterminazione), (b) la rimozione della natura omicidiaria di ogni atto eutanasico (occultamento dell’inevitabile terzietà della condotta eutanasica, tradizionalmente inquadrata come “omicidio del consenziente”) e (c) il problema del dolore (principio del “diritto alla salute” inteso come diritto a non soffrire). Per quanto concerne il primo punto, «l’idea voluntas aegroti suprema lex possiede una straordinaria forza rassicurante: in fondo, lasciano intendere i fautori della legalizzazione, si vuole assegnare a ciascun soggetto consapevole una fetta di potere decisionale in più, che per giunta ha per oggetto “solo” la propria vita e non quella altrui. Per l’opinione pubblica è davvero molto difficile, se non impossibile, resistere alle sirene di questa idea di libertà come “volontà di potenza”, rivestita dal mantello innocente di una decisione personalissima e limitata alla coscienza individuale».
Relativamente al secondo punto, Palmaro puntualizzava come l’elemento più ostativo sul piano giuridico per ottenere un “diritto” all’eutanasia è che il soggetto debba ricorrere necessariamente ad un’altra persona. Perciò, «tale elemento viene abilmente occultato, nel dibattito pubblico, mettendo in primissimo piano il paziente con la sua volontà di morire e, al limite, affiancandolo con l’immagine di alcuni medici o paramedici, che si offrono come “coraggiosi” e “disinteressati” esecutori della medesima volontà, quasi volontari pronti ad assolvere un compito caritatevole».
Ma è sul terzo punto che si possono sollevare gli interrogativi più cocenti. Infatti, è praticamente impossibile circoscrivere il concetto di sofferenza in modo dettagliato e “misurarla” in termini quantitativi universalmente validi. E, agli elusivi sostenitori dell’eutanasia, stretti all’angolo, bisognerebbe chiedere «che cosa è “sofferenza”? Riterremo giuridicamente rilevante solo il dolore fisico? Oppure riterremo significativo ai fini della richiesta eutanasica anche il dolore psichico? E con quali criteri verrà definita la qualità e la quantità di sofferenza, che obbliga lo Stato a concedere il diritto all’eutanasia?». Per di più, «la sofferenza, di cui si parla in questo dibattito, è spesso non percepita dal soggetto ammalato: essa è semmai vividamente patita da coloro che assistono il paziente. Dunque, quali soggetti dovranno essere rilevanti ai fini del dolore “riflesso” non più sopportabile?».
E ancora, «come si deve correlare la questione del dolore/sofferenza con la questione “volontà del soggetto”? Sono, infatti, possibili una serie di combinazioni, molto differenti tra loro, che vanno dal paziente cosciente, che soffre dolori fisici e chiede l’eutanasia, al soggetto incapace di intendere e di volere con grafi deficit mentali, che soffre dolori per una malattia ma che non può decidere, al soggetto, che ha perso conoscenza, che forse soffre per la sua patologia, che fa soffrire i suoi parenti ed amici, ma che non può essere direttamente interpellato. A quali di queste combinazioni particolari si dovrà riconoscere il possesso dei requisiti per avviare la procedura eutanasica?».
Domande scomode, perché scaturite da una logica ferrea, antitesi di quella emotività alla quale i fautori dell’omicidio del consenziente come “diritto” riducono costantemente l’intero dibattito. Essi ben sanno che, in un confronto razionale, verrebbe mostrato il vero, mostruoso volto di quest’ideologia. A chi ancora gode del ben dell’intelletto, il compito di ragionare e far emergere le contraddizioni di questa propaganda mortifera.
Fonte: CR
ENTRA ANCHE TU NELLA BRIGATA PER LA DIFESA DELL'OVVIO!
Partecipa attivamente nella Battaglia per la difesa della libertà e dell'ovvio!
Iscriviti alla Newsletter!
Rimani aggiornato su tutte le nostre iniziative e novità!
Nessuna spam garantita. Disiscriviti quando vuoi!