“Piano Scuola 4.0″… Vogliamo proprio questo per i nostri figli?
Dec 19, 2022di Elisabetta Frezza
Il “Piano Scuola 4.0” è la tabella di marcia che segna le progressive tappe da spuntare, da qui al 2025, nel processo di digitalizzazione della didattica e della organizzazione scolastica italiana – dagli asili nido alle università – secondo le linee di investimento previste da PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Si suddivide in quattro sezioni, denominate rispettivamente: la prima “Background”; la seconda e la terza “Framework”; la quarta “Roadmap”. Uno poco avvezzo alle produzioni letterarie dei nostri apparati burocratici si potrebbe chiedere se davvero si parli di scuola italiana: ebbene sì, siamo in Italia, e lo scempio linguistico rientra nell’ordinario sfoggio di compiuta colonizzazione “culturale” di cui troppi vanno fieri come fosse una medaglia al valore.
Il documento offre la puntuale descrizione della palingenesi tecnologica che deve investire in modo assorbente le nuove generazioni attraverso la formazione scolastica; e che implica, com’è ovvio, il previo addestramento dei docenti chiamati ad assisterle in questa incalzante fase di transizione – in attesa della sostituzione del personale umano con una adeguata dotazione di più efficienti e resistenti robot.
In base alle proprie “competenze digitali”, i docenti sono suddivisi in sei livelli: A1 Novizio, A2 Esploratore, B1 Sperimentatore, B2 Esperto, C1 Leader, C2 Pioniere. Proprio così. Una classifica da far invidia alle Giovani Marmotte e che, insieme a tutto il degradante malloppo nel quale si trova inscritta, dovrebbe quantomeno accendere nella categoria interessata una scintilla di orgoglio e suscitare un moto di ribellione. In chi poi abbia presente l’epilogo della operazione – che poggia sul presupposto della fungibilità della manovalanza umana – dovrebbe muovere pure il più elementare istinto di sopravvivenza. Ma chissà.
In prima battuta, la lettura del prontuario può produrre nel lettore ignaro un effetto esilarante, perché la veste formale e lessicale del testo – l’italiano, questo sconosciuto – si spinge oltre la parodia, arriva dritta all’insulto del senso estetico e del senso comune, ammesso che, in barlume, esistano ancora. Ma si tratta di una reazione effimera, che non può non tramutarsi ben presto in sdegno, incredulità, preoccupazione. Vero è, infatti, che tutto quanto vi si legge si trovava già scritto in agenda, da tempo. Tuttavia, dentro queste trentanove cartelle si tocca con mano lo iato che passa tra l’esposizione di un generico programma politico-ideologico e la sua reale applicazione forzata secondo una scansione temporale precisa quanto stringente. Il ricatto economico – il cappio brandito da Bruxelles – funge da garanzia dell’adempimento, del quale si percepisce tutta l’incombente prossimità. Ed è una sensazione raccapricciante.
A partire dalle pagine introduttive, è spiegato come il primo fondamentale passaggio sulla strada della innovazione integrale della scuola riguardi l’ambiente dell’apprendimento. Si legge che, mentre «fin dalla nascita della scuola, lo spazio di apprendimento tradizionale è stato configurato secondo il rigido modello di un’aula di forma quadrata o rettangolare, con le file di banchi disposti di fronte alla cattedra del docente», oggi questo modello va urgentemente smantellato. Infatti, «la ricerca nazionale e internazionale» (!!!) avrebbe mostrato come esso, tuttora prevalente, «non sia più in linea con le esigenze didattiche e formative delle studentesse e degli studenti rispetto alle sfide poste dai cambiamenti culturali, sociali, economici, scientifici e tecnologici del mondo contemporaneo». Ecco quindi che – secondo le menti del Piano – è necessario ridisegnare gli «ecosistemi di apprendimento» con «arredi e tecnologie a un livello più avanzato rispetto a quelli oggi in uso, al fine di rendere sostenibile il processo di transizione digitale».
Vale qui la pena di riportare testualmente qualche altro pezzo del Piano, per farsi un’idea di dove andremo a parare. Tipo: «Gli ambienti fisici di apprendimento non possono essere oggi progettati senza tener conto anche degli ambienti digitali (ambiention line tramite piattaforme cloud di e-learning e ambienti immersivi in realtà virtuale) per configurare nuove dimensioni di apprendimento ibrido. L’utilizzo del metaverso in ambito educativo costituisce un recente campo di esplorazione, l’eduverso, che offre la possibilità di ottenere nuovi “spazi” di comunicazione sociale, maggiore libertà di creare e condividere, offerta di nuove esperienze didattiche immersive attraverso la virtualizzazione, creando un continuum educativo e scolastico fra lo spazio fisico e lo spazio virtuale per l’apprendimento, ovvero un ambiente di apprendimento onlife» (i grassetti sono originali). Sottolineiamo l’orwelliana novità del lemma onlife, evidente calco di online, assurto quest’ultimo a entità primaria da cui derivare il resto della esperienza umana.
La cosa bella è che, subito dopo l’esibizione di tanto estremismo cibernetico, funzionale allo straniamento e alla alienazione assoluti, si precisa come, beninteso, debbano essere garantiti «i requisiti comuni di sicurezza, di benessere, di privacy…anche con la previsione di specifiche azioni didattiche circa i rischi connessi all’utilizzo improprio delle tecnologie». Al che, davvero, non si sa se ridere o se piangere: a questi scolari mettono in testa un casco che li estrania dalla realtà, li “immergono” e annegano nel nulla, nel frattempo fanno finta di munirli di un boccaglio di gomma per prendere un refolo d’aria che non c’è. Nella bisca delle parole truccate, vale tutto.
In concreto, l’obiettivo dell’azione “Next Generation Classrooms”è quello di trasformare, grazie ai finanziamenti del PNRR, almeno 100.000 aule delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado. Deve avvenire insomma una totale metamorfosi delle aule: fondamentale, come abbiamo visto sopra, che esse non siano più uno spazio quadrato o rettangolare (quindi? rotondo? ovale? ottagonale?) e non abbiano più sedie, banchi e cattedra, tutti attrezzi pedagogicamente obsoleti (il pavimento può starci? e il soffitto?). Sicché, «sulla base di un format comune reso disponibile dall’Unità di missione del PNRR», ciascuna istituzione scolastica dovrà adottare un documento chiamato “Strategia Scuola 4.0” dove vengano declinati «il programma e i processi che la scuola seguirà per tutto il periodo di attuazione del PNRR con la trasformazione degli spazi fisici e virtuali di apprendimento, le dotazioni digitali, la innovazioni della didattica, i traguardi di competenza in coerenza con il quadro di riferimento DigComp 2.2, l’aggiornamento del curricolo e del piano dell’offerta formativa, gli obiettivi e le azioni di educazione civica digitale, la definizione dei ruoli guida interni alla scuola per la gestione della transizione digitale, le misure di accompagnamento dei docenti e la formazione del personale».
Dovrà farlo ciascuna istituzione scolastica. Affinché l’imperativo categorico sia chiaro, si ribadisce: «È necessario che la progettazione didattica, disciplinare e interdisciplinare, adotti il cambiamento progressivo del processo di insegnamento e declini la pluralità delle pedagogie innovative (ad esempio, apprendimento ibrido, pensiero computazionale, apprendimento esperienziale, insegnamento delle multiliteracies e debate, gamification, etc.)». E ancora. «Le nuove classi, oltre ad avere uno schermo digitale, dispositivi per la fruizione delle lezioni anche in videoconferenza e dispositivi digitali individuali o di gruppo (notebook, tablet, etc.), dovranno avere a disposizione, anche in rete tra più aule, dispositivi per la comunicazione digitale, per la promozione della scrittura e della lettura con le tecnologie digitali, per lo studio delle STEM, per la creatività digitale, per l’apprendimento del pensiero computazionale, dell’intelligenza artificiale e della robotica, per la fruizione dei contenuti attraverso la realtà virtuale e aumentata». Eccetera eccetera.
Benvenuti dunque nel mondo che non c’è, ma in cui i nostri figli dovranno evaporare, fluttuare, intripparsi e rimbambirsi, per volere delle istituzioni. Sarà tutto bellissimo perché modernissimo e bisogna scrollarsi di dosso qualsiasi residua remora gretta e senile. A beneficio dell’”utenza”, chiamata a salutare festante l’avvento della propria schiavitù, della propria sostituzione e del proprio annientamento programmato, gli apparati di cui sopra hanno pure la delicatezza di fornire una pezza giustificativa alla operazione – così, per tacitare qualche resto di coscienza – e mettono lì un elenco di parole a caso, usate all’incontrario (tanto, si sa, basta il suono).
Gioite dunque, o genti, delle magnifiche sorti vostre e dei vostri figli, poiché: «Le Next Gen Classrooms favoriscono l’apprendimento attivo di studentesse e studenti con una pluralità di percorsi e di approcci, l’apprendimento collaborativo, l’interazione sociale fra studenti e docenti, la motivazione ad apprendere e il benessere emotivo, il peer learning, il problem solving, la co-progettazione, l’inclusione e la personalizzazione della didattica, il prendersi cura dello spazio della propria classe. Contribuiscono a consolidare le abilità cognitive e metacognitive (pensiero critico, pensiero creativo, imparare a imparare e autoregolazione), le abilità sociali ed emotive (empatia, autoefficacia, responsabilità e collaborazione), le abilità pratiche e fisiche (uso di nuove informazioni e dispositivi di comunicazione digitale)».
Straordinario. Straordinario tutto, ma in particolare laddove si dice che il vuoto pneumatico, lo spazio ormai totalmente sterilizzato, smaterializzato e devitalizzato, favorirebbe «l’interazione sociale tra studenti e docenti». Capolavoro di bipensiero.
Quanto ai Next Generation Labs, da istituire con urgenza presso gli istituti superiori, essi mirano «allo svolgimento di attività autentiche e di effettiva simulazione dei contesti, degli strumenti e dei processi legati alle professioni digitali, di esperienze di job shadowing,… di azioni secondo l’approccio work based learning, e possono consistere in un unico grande spazio aperto, articolato in zone e strutturato per fasi di lavoro, oppure in spazi comunicanti e integrati, che valorizzano il lavoro di gruppo all’interno del ciclo di vita del progetto (project based learning)… Essi si caratterizzano per essere coperti da una connettività diffusa in banda ultra larga, e sono aperti alla sperimentazione della tecnologia 5G».
Praticamente, occorre allestire delle basi spaziali. E non pensi, qualche preside antiquato di qualche scuola antiquata, di poterla fare franca, perché «la Roadmap del Piano Scuola 4.0 prevede una procedura di assegnazione delle risorse sulla base di un piano di riparto nazionale dei fondi a tutte le istituzioni scolastiche italiane e di un sistema informativo di monitoraggio e di rendicontazione online. Le scuole gestiranno le azioni di progettazione, allestimento e utilizzo dei nuovi ambienti e dei laboratori secondo un cronoprogramma nazionale». Ripetiamo: un cronoprogramma nazionale. Da lustri ci martellano in testa la cosiddetta autonomia scolastica, strumento effettivamente servito per polverizzare e deprimere il sistema italiano di istruzione; ma, quando si tratta di applicare l’agenda, l’autonomia puf, si azzera, per cedere il passo al controllo più penetrante e più invasivo che c’è.
A margine, sorge spontanea una constatazione: in questo fantasmagorico panorama, è evidente che il liceo classico è un morto che cammina, una dead school walking. Si blatera solo di STEM (acronimo per: Science, Technology, Engineering and Mathematics). Per lorsignori, la formazione umanistica è una spina nel fianco, una la piccola brace ancora viva da soffocare definitivamente, inghiottendola nel silenzio senza nemmeno nominarla, perché capace di emettere qua e là qualche segnale di fumo. Fine della constatazione.
Ora, i virgolettati qui sopra sono solo dei piccoli stralci, presi a campione, per capire qual è la musica. Lo spartito è lungo 39 cartelle e verrà suonato nelle scuole italiane a partire da oggi. Anzi, da ieri. Perché nel documento si dice espressamente che questi lavori di demolizione di tutto ciò che di reale, umano, materiale e insieme spirituale (ché le due cose viaggiano inseparate) resiste nella scuola – quel che insomma ne costituisce l’essenza, e il perché – hanno subito un significativo impulso grazie alla pandemia.
«La pandemia – ci informa infatti il nostro documento – ha avuto un rilevante impatto nell’accelerazione dell’utilizzo di tecnologie basate sulla intelligenza artificiale, la robotica, l’automazione, e-commerce e blockchain, la realtà virtuale e aumentata, la stampa 3D/4D, cloud computing, internet delle cose, etc.». Acquisire competenze digitali specialistiche – secondo gli innovatori – è il prerequisito inderogabile per «ottenere posti di lavoro di qualità e intraprendere percorsi professionali gratificanti». Lo hanno deciso loro. Studiosi, contemplativi, poeti, artisti, artigiani, contadini, manovali, si attacchino: sono per definizione una manica di falliti.
Del resto, a chi non si fosse ancora convinto della strumentalità della “emergenza” ai fini di un cambio epocale di paradigma, andrebbe una volta di più ricordato che si era ancora agli albori dell’era pandemica – primavera del 2020 – quando l’UNESCO annunciava in gran pompa l’avvio dell’«esperimento di più vasta scala nella storia dell’istruzione»; ovvero, un esperimento nell’esperimento, pensato ad hoc per il luogo privilegiato in cui si forgiano le generazioni future.
Ed eccoci qui. Esperimento riuscitissimo. Dopo aver disintegrato i più giovani, nel fisico e nella psiche; dopo averli portati a forza al condizionamento interiorizzato; dopo aver depresso il grado di istruzione fino all’analfabetismo manifesto; dopo avere inibito sul nascere ogni potenzialità logica e creativa; insomma, dopo questo trattamento d’urto inflitto a coronamento di un lungo logorio pregresso, era maturo il tempo di organizzare finalmente la transumanza nel metaverso: vale a dire l’immersione in apnea in un universo onirico funzionale al controllo totale sui corpi e sulle menti.
La Scuola 4.0 è la metascuola. Il 4 non si sa bene da dove venga, ma evoca la cifra ricorrente della rivoluzione progettata da noti consessi filantropici, tipo per esempio quello del signor Schwab e dei suoi compagni di merende, coronati e no. L’edizione italiana del manuale di istruzioni scritto da Schwab per il bene dell’umanità è casualmente prefatto da John Elkann. Sempre casualmente, la Fondazione Agnelli, col suo osservatorio Eduscopio e tutti i satelliti intorno, da decenni ospita la cabina di regia del sistema scolastico italiano. Come si legge nel suo sito, la fondazione «ha concentrato attività e risorse sull’education (scuola, università, apprendimento permanente) come fattore decisivo per il progresso economico e l’innovazione…» eccetera eccetera. Il titolo del nuovo manifesto rivoluzionario sulla nostra scuola parrebbe quindi, ma potremmo sbagliarci, un omaggio allo Schwab e al suo illuminato programma di Quarta Rivoluzione Industriale. Un salto quantico verso la coltivazione differenziata della popolazione: da una parte i piani alti, che si istruiscono alla maniera di sempre (probabilmente persino in aule quadrate o rettangolari); dall’altra le masse subalterne, piazzate davanti agli schermi a galleggiare nella fiction, a premere tastini ed emettere suoni disarticolati, come tante scimmie ammaestrate, preda di automatismi indotti da stimoli diramati dalla centrale, sottratte all’esperienza, al contatto con le cose, alla vista, all’udito, al gusto, al tatto e all’olfatto. Destinate alla atrofia cerebrale.
Sguardi, suoni, movimento, tutta quella fisicità e sensorialità che è parte integrante del processo di apprendimento, e che lo nutre, lo sostanzia e lo vivifica, nel disegno dei manovratori devono sparire. Deve sparire il “corpo a corpo” della lezione, deve sparire la palestra di vita che ogni classe rappresenta, e ha rappresentato per ognuno di noi. Deve sparire la penna, così come la carta, il libro e tutte le operazioni, a partire dalla calligrafia che, si sa, non si esauriscono nell’esercizio della manualità fine, che è già parecchio, ma sono collegate allo sviluppo di una serie infinita di attitudini superiori. Soprattutto, deve sparire l’umanità, fatta di carne e spirito, di pensiero e di creatività.
Gli adulti sedotti dall’avanguardia digitale non ne comprendono appieno il grado di distruttività, perché nella loro esistenza hanno beneficiato del confronto con la realtà vera, nel suo bene e nel suo male, anche se ne sono dimentichi. In qualche modo, nella loro inconsapevole memoria immunitaria, possiedono ancora gli ultimi strumenti per padroneggiare i meccanismi della macchina. Non sarà così per quei figli che si vorrebbero far crescere nella landa gelida e desolata del nulla.
A chiunque senta il rumore dell’onda di piena che sta travolgendo tutto quel patrimonio di bellezza e di senso che ci fa ancora da sfondo lontano, spetta il compito non procrastinabile di mettere in salvo il seme.
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