Perché, da donna, dico no alle manifestazioni contro la violenza sulle donne.
Dec 01, 2023di Sara Sanna
25 novembre 2023, indetta la “Giornata contro la violenza sulle donne”. Un lungo corteo di manifestanti ha sfilato a Roma da Circo Massimo fino a San Giovanni in Laterano. Lungo corteo in cui io, donna, non ero inclusa. Anzi, diciamo meglio, ero esclusa. Comprendo benissimo quanto, per una società in cui vige il “dogma” dell’inclusione, l’essere esclusi sia cosa misera, deplorevole, degna di rammarico e commiserazione e anche, diciamolo, violenta: c’è qualcuno a cui piace essere escluso?
Io voglio essere esclusa. Voglio che si sappia che io, che pure sono di sesso femminile e quindi avrei voce in capitolo, coscientemente e fieramente voglio essere esclusa da questo tipo di ipocrite parate. Non solo perché preferisco dedicare il mio tempo ad attività migliori, ma anche perché non posso che escludermi dall’ideologia di fondo che smuove questa massa informe. E pur sapendo per certo che molti la pensano come me, continuerei a voler essere esclusa se pure fossi sola e avessi tutto il mondo contro.
Insomma, parliamoci chiaro. Io da una “giornata contro la violenza sulle donne” mi aspetterei come minimo che si vadano ad indagare le cause di tale violenza. Ancora il “patriarcato”? Possibile che la vostra immaginazione non sappia aggiungere altro alla narrazione trita e ritrita dell’uomo cattivo e bramoso di potere che a tutti i costi vuole rendere la donna sua schiava? Forse qualcuna qui è rimasta impressionata dall’orco di Pollicino? Eppure, persino il povero principe azzurro che, con tutte le buone intenzioni, bacia la principessa per svegliarla dal suo lungo sonno mortifero non sembra passi indenne dal vostro tribunale. Insomma tutti, ma proprio tutti gli uomini sono cattivi. Anche i vostri fidanzati e mariti, anzi compagni, che hanno marciato rispettosamente accanto a voi aiutandovi a portare i vostri striscioni e cartelloni; i vostri figli che vi hanno seguite in questa avventura, azzardando magari di tanto in tanto qualche lamento per la stanchezza; ma soprattutto i vostri padri (eh sì, “patriarcato” viene da padre) che magari hanno dato a voi piccole sedicenni i soldini per prendere il biglietto della metro e poter raggiungere la vostra agognata destinazione, dove finalmente avrete potuto dar sfogo alla vostra “libertà” gridando qualcosa come: “abbasso il patriarcato!”. Ah, ovviamente vanno esclusi dal mirino del vostro odio tutti quegli uomini che abbiano deciso di farsi evirare pur di somigliare a noi, bellissime e buonissime donne (invidia dell’utero?).
Ecco, io mi escludo da tutto ciò. Io non ho in odio tutti gli uomini. Io sono grata a mio padre che per tutta la vita si è svegliato ogni giorno prima dell’alba per sostenere la nostra famiglia e che soprattutto ha contribuito a darmi la vita. E lo escludo dal pubblico mea culpa che in quanto uomo dovrebbe a tutte le donne. È vero, ci sono uomini che uccidono le donne, ma ce ne sono tanti altri che valorosamente le proteggono. Il padre della piccola Indi Gregory è uno di questi, ma guai a proferir parola su lui o su quelli come lui. E come bisognerebbe definire allora il caso della piccola Indi? Rientra tra i femminicidi? In fondo il giudice che ha dato la sentenza di morte è un uomo e lei una piccola donna. Eppure non regge, c’è qualcos’altro. La verità è che Indi Gregory, una persona indifesa, fragile e bisognosa di cure, non è stata considerata degna di vivere. Qualcuno si è arrogato il diritto di poter decidere della sua vita come se fosse un suo possesso e da qui l’infausto verdetto che fosse inutile. In fondo, a cosa serve un individuo se non potrà mai lavorare, produrre e acquistare beni inutili da consumare e buttare prima di passare a consumarne altri?
Ecco, da una manifestazione contro la violenza sulle donne mi aspetterei che si lancino slogan contro la pornografia e il suo consumo, tanto per dirne una. Quella sì, è una vera violenza. Lo è in primis per chi, al pari di una bestia, uomo o donna che sia, vi partecipa attivamente. E no, il fatto che si venga pagati per simulare un atto sessuale da filmare non rende meno indegna questa pratica disumana perché non sono i soldi a dar valore alle cose. In secondo luogo è una violenza per coloro che, volenti o nolenti, ne sono destinatari. Adulti e bambini. Sì, perché il pubblico che considera normale la pornografia non è di soli adulti, ma ci sono anche bambini, figli di quello stesso mondo adulto, che vengono violati profondamente nella loro innocenza quando incappano per sbaglio o per volontà altrui in un certo tipo di immagini e video. Per non parlare del soft-porn dilagante per cui è assolutamente normale trovare donne spogliate dei loro vestiti e della loro dignità in video musicali o che pubblicizzano in ridicole tutine in latex la marca X di silicone. Come crediamo che cresceranno i nostri bambini, esposti continuamente a queste oscenità? E davvero dopo aver accettato con tanto chic menefreghismo queste porcherie osiamo meravigliarci che lo sguardo dell’uomo sulla donna sia di tipo pornografico? Ci stupisce che l’uomo guardi la donna con un desiderio erotico perverso che la rende un oggetto del proprio piacere personale? E le bambine? Quali sono gli standard di bellezza che la nostra società sta fornendo loro? Che per essere belle bisogna per forza apparire sexy, appetibili? Che in nome di una finta libertà sia giusto mostrare a cani e porci ciò che invece dovrebbe essere intimo e custodito? Insomma, basta fare le Polianna. Non è ammissibile che la domanda “che cosa indossava al momento dello stupro?” indigni le coscienze, se di pari passo non si vada a combattere contro un mondo mass-mediatico che non perde occasione perfar gridare alla donna: “sono un oggetto di piacere”. Ed è proprio questo “essere oggetto” a preoccuparmi, perché solo chi crede che l’altra persona sia un oggetto di cui poter disporre a proprio piacere può arrivare a uccidere quella persona, pensando che quella vita in fondo gli appartenga, allo stesso modo in cui può appartenergli un’automobile. Questo è successo a Indi Gregory. Questo è successo a Giulia Cecchettin.
Dunque, seguendo questo ragionamento, mi sarebbe sembrato logico che il corteo di manifestanti si fosse messo in cerca di un qualche studio pornografico e, tutti armati di piccone (come solo una donna sa fare), via a buttarlo giù. Questo sì che avrebbe dato un tocco di originalità e di brio all’intera manifestazione, avrebbe dato quel quid che l’avrebbe resa coerente col suo scopo dichiarato e, infine, l’avrebbe fatta degna di passare alla storia come una delle più belle pagine di cronaca nostrana. Avrei allora potuto dire: “sorelle femministe, sono con voi in questa dura, ma giusta battaglia!”, magari con tanto di pugno in alto come loro tanto amano fare. E invece, ahimè, la mia immaginazione è corsa troppo velocemente e troppo in là, perché le sorelle femministe, come era prevedibile, hanno invece preferito prendersela, armate, tra l’altro, di quelle loro inquinanti bombolette, con la già più volte bersagliata sede di Pro-Vita e Famiglia. Sarà forse che il feto rosa (colore peraltro del delizioso bavaglio con cui si fregiano il volto) è sembrato loro meno inoffensivo e più facilmente attaccabile rispetto ai grandi colossi della pornografia? Non saprei dire, ma dalla cieca ferocia con cui si sono scagliate contro la polizia posta a difesa dell’edificio, posso dedurre che abbiano trovato proprio in quel muto feto la ragione più profonda della violenza sulle donne. Spintoni, grida, insulti, fumogeni, slogan di “alto valore morale e filosofico” e perfino un ordigno esplosivo: le femministe hanno avuto liberamente modo di esprimere i propri disagi finora repressi. Al che mi sorge spontanea una domanda: ma dove sono finiti i fiori che avrebbero dovuto mettere nei loro cannoni?
Dulcis in fundo le scritte che capeggiano sulle saracinesche della sede. Mi fermerei in particolare su quella che recita “morite”, che credo voglia essere una minaccia, ma forse mi sbaglio e si tratta in realtà solo di un modo di manifestare pacatamente la propria opinione. Una cosa è certa però: noi pro-vita moriremo. Moriremo come è morta Indi, come è morta Giulia e come morirete voi, care femministe. Tra cento anni al più la nostra carne sarà in putrefazione e sarà mangiata dai vermi. Questo è un dato di fatto ed è vero come è vero che 2+2 fa 4. Moriremo tutti, ma mentre i vostri fumogeni si disperderanno nel vento e le vostre scritte balorde saranno cancellate da una passata di sapone, la mia testimonianza rimarrà. Per questo, prima di morire ci tengo a ripetere ancora, da donna, che io mi sono esclusa dalle farse di questa società e dagli stupidi cortei in cui propagandate le ideologie più becere sotto il manto ipocrita e ripugnante della non-violenza, dei diritti e dell’autodeterminazione. Non ho paura di dire che le varie parate del grottesco che hanno sfilato lungo le strade del nostro Bel Paese mi fanno schifo; e non ho paura di affermare che chi la pensa come me è semplicemente una persona normale e di buon senso, che agisce secondo retta morale. E no, non ho paura di usare queste violentissime parole contro chi considera diritto tirar fuori a pezzettini una creatura dal grembo di sua madre, ingannando sé stesso e gli altri. Non ho paura del muro di sabbia della vostra dittatura perbenista né della vostra retorica “anti-fascista” che per imporre le proprie idee ha bisogno di censurare quelle altrui. Lascio volentieri a voi il bavaglio, care femministe. Non ho paura nel dire che amo la violenza: quella di un temporale che feconda la terra; quella di un uomo armato di scalpello, che da un blocco di marmo tira fuori una Pietà; quella santa di un esercito crociato senza la quale io donna, qui e ora, non avrei potuto parlare senza veli della verità; quella dolcissima del parto che è generatrice di vita. La violenza che ogni uomo deve esercitare su sé stesso per dominare le proprie passioni e perseguire la strada delle virtù: solo così si può pensare davvero di vivere in pace. Io mi escludo da una società che non sa riconoscere la bellezza e che guarda tutto, uomini compresi, con l’occhio del cinismo e del guadagno. Io mi escludo da una società di cui provo profonda vergona, perché connivente con quello che è il più grande ed efferato dei crimini: l’omicidio dei bambini non nati, la cui vita ha valore universale in quanto tale e non è legata al sesso maschile o a quello femminile. Io mi escludo da una società che acconsente in silenzio al massacro di vittime innocenti immolate agli altari dei vostri falsi dèi e voglio che le generazioni future lo vengano a sapere. Io mi escludo da una società falsa e dalle sue menzogne perché amo la verità e il dolore che accettarla comporta e da cui traggo la mia vera libertà. Io mi escludo da una società che esclude Dio perché al mio e al vostro niente preferisco Colui che è tutto. E allora chiamatemi pure bigotta, medievale, oppressa, retrograda e fascista, magari anche maschilista, tanto a me non importa, perché perdendo voi io avrò in Lui la vita eterna.
FONTE : universitariperlavita.org
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