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TRUTH

PER UNA COMPRENSIONE DEL VETUS ORDO MISSAE (parte seconda)

emanuele sinese libertĂ  e persona Feb 04, 2025

di Emanuele Sinese

Introibo 

Dopo aver messo in risalto gli elementi principali che hanno indotto la Chiesa a convocare il Concilio di Trento si pone l’attenzione sulle motivazioni che hanno indotto papa Pio V a costituire per la prima volta nella Chiesa il nuovo Messale Romano Universale 

Agli albori 

Il 14 luglio 1570 papa Pio V, mediante la costituzione Apostolica in forma di bolla pontificia Quo primum tempore, promulga l’entrata in vigore del nuovo Messale Romano. Si riporta il contenuto principale del suddetto documento: 

Ordiniamo che nelle chiese di tutte le Provincie dell’orbe Cristiano dove a norma di diritto o per consuetudine si celebra secondo il rito della Chiesa Romana, in avvenire e senza limiti di tempo, la Messa, sia quella Conventuale cantata presente il coro, sia quella semplicemente letta a bassa voce, non potrà essere cantata o recitata in altro modo da quello prescritto dall’ordinamento del Messale da Noi pubblicato; e ciò, anche se le summenzionate Chiese, comunque esenti, usufruissero di uno speciale indulto della Sede Apostolica, di una legittima consuetudine, di un privilegio fondato su dichiarazione giurata e confermato dall’Autorità Apostolica, e di qualsivoglia altra facoltà. 

  

Tra le differenti riforme proposte dai Padri Conciliari vi fu la ferma volontà di porre fine agli abusi liturgici che da tempo imperversavano nella Chiesa anche a causa della scarsità o assenza di formazione teologica presso il clero. Il Sommo Pontefice Pio V, proprio in riferimento agli aggiornamenti conciliari e alla volontà di costituire una nuova immagine per la Chiesa che realmente rispecchiasse la volontà divina, impose l’impiego del nuovo Messale Romano alla Chiesa latina. Ne erano dispensate quelle Chiese che avessero un ordo missae antecedente almeno duecento anni prima della promulgazione della bolla Quo primum tempore. In conseguenza ne fanno eccezione il rito Ambrosiano (Arcidiocesi di Milano) e il rito Patriarchino (patriarcato di Aquileia, Grado e Venezia). Lungo il corso della storia liturgica non vi furono sostanziali mutamenti all’ordo di papa Pio V se non da parte di papa Pio XII nel 1955 in riferimento al Triduo Pasquale. Il Romano Pontefice impose che i riti del Giovedì Santo, del Venerdì Santo e del Sabato Santo venissero celebrati nel tardo pomeriggio oppure a sera, per adattamenti pastorali. Nel 1962 San Giovanni XXIII papa compì aggiuntive riforme al Messale di Pio V. Egli eliminò dalla preghiera del Venerdì Santo l’aggettivo “perfidi” ebrei ed inserì nel canone della Messa il nome di San Giuseppe. 

Significato teologico dell’aggettivo “perfidi” ebrei 

Per esimersi da incomprensioni e definire la Chiesa antisemita, si afferma che la locuzione “perfidi ebrei” è esclusivamente teologica. Essa risale all’omelia di Melitone di Sardi (apologeta e Vescovo del IV secolo) il quale in occasione della Pasqua esortò gli Ebrei a riconoscere la natura divina di Cristo che porta a compimento l’incarnazione mediante il sacrificio della croce. Melitone esorta quindi ad accettare Gesù di Nazareth come il Messia atteso e annunciato dai profeti. Si riporta in riferimento l’omelia: 

Molte cose sono state predette dai profeti riguardanti il mistero della Pasqua, che è Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen » (Gal 1, 5, ecc.). Egli scese dai cieli sulla terra per l’umanità sofferente; si rivestì della nostra umanità nel grembo della Vergine e nacque come uomo. Prese su di sé le sofferenze dell’uomo sofferente attraverso il corpo soggetto alla sofferenza, e distrusse le passioni della carne. Con lo Spirito immortale distrusse la morte omicida. 

Egli infatti fu condotto e ucciso dai suoi carnefici come un agnello, ci liberò dal modo di vivere del mondo come dall’Egitto, e ci salvò dalla schiavitù del demonio come dalla mano del Faraone. Contrassegnò le nostre anime con il proprio Spirito e le membra del nostro corpo con il suo sangue. 

Egli è colui che coprì di confusione la morte e gettò nel pianto il diavolo, come Mosè il faraone. Egli è colui che percosse l’iniquità e l’ingiustizia, come Mosè condannò alla sterilità l’Egitto. 

Egli è colui che ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannia al regno eterno. Ha fatto di noi un sacerdozio nuovo e un popolo eletto per sempre. Egli è la Pasqua della nostra salvezza. 

Egli è colui che prese su di sé le sofferenze di tutti. Egli è colui che fu ucciso in Abele, e in Isacco fu legato ai piedi. Andò pellegrinando in Giacobbe, e in Giuseppe fu venduto. Fu esposto sulle acque in Mosè, e nell’agnello fu sgozzato. 

Fu perseguitato in Davide e nei profeti fu disonorato. 

Egli è colui che si incarnò nel seno della Vergine, fu appeso alla croce, fu sepolto nella terra e, risorgendo dai morti, salì alle altezze dei cieli. Egli è l’agnello che non apre bocca, egli è l’agnello ucciso, egli è nato da Maria, agnella senza macchia. Egli fu preso dal gregge, condotto all’uccisione, immolato verso sera, sepolto nella notte. Sulla croce non gli fu spezzato osso e sotto terra non fu soggetto alla decomposizione. 

Egli risuscitò dai morti e fece risorgere l’umanità dal profondo del sepolcro. 

 

L’errore consta nell’avere la presunzione che una traduzione dalla lingua latina alla lingua vernacola abbia il medesimo significato. La preghiera del Venerdì Santo tratta dal Vangelo della Passione di Cristo chiosa così:  

Orémus et pro Iudæis, ut, ad quos prius locútus est Dóminus Deus noster, eis tríbuat in sui nóminis amóre et in sui foderis fidelitáte profícere. 

Preghiamo per gli ebrei: il Signore Dio nostro, che li scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell’amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza. 

Caratteristiche del Vetus Ordo Missae 

Sovente si afferma che suddetta celebrazione eucaristica è la Messa in latino. E’ una locuzione errata in quanto anche il Novus Ordo Missa promulgato da San Paolo VI papa può essere celebrato in lingua latina. La peculiarità del rito di San Pio V non riguarda esclusivamente la lingua, esso è composto da differenti gesti che il celebrante come anche l’assemblea sono tenuti a compiere, differenziandosi così dal Novus Ordo Missae

Tipologie di celebrazioni Eucaristiche in rito Romano Antico: 

Esistono tre varianti di celebrazione: Messa bassa o letta, Messa cantata e Messa Pontificale. 

Messa bassa o letta 

E’ la forma più comune di celebrazione Eucaristica tridentina. Viene definita letta, in quanto il celebrante non canta alcuna parte della celebrazione. Suddetta Messa ha origini medioevali, essa almeno una volta al dì veniva celebrata nel monastero.  

Svolgimento: il celebrante accompagnato da un ministrante (non esistono i concelebranti secondo il rito di San Pio V) giunge all’altare portando il calice sul quale è posto il purificatoio e la patena con l’Ostia da consacrare. Dopo aver riposto i vasi sacri, il sacerdote ripone la berretta e in successione stende il corporale sul quale adagia il calice e la patena. Apre il messale al lato dell’epistola, scende i gradini dell’altare e dopo aver tracciato il segno di croce a voci alterne con il ministrante recita il salmo 43, preceduto dall’antifona Introibo ad altare Dei 

Judica me Deus, et discerne causam meam de gente non sancta: 

ab homine iniquo et doloso eripe me: 

quia tu es Deus meus, et fortitudo mea. 

Emitte lucem tuam, et veritatem tuam: 

ipsa me deduxerunt, et adduxerunt in montem sanctum tuum, 

et in tabernacula tua. 

Segue la proclamazione sempre da parte del celebrante della prece Adiutorum nostri in nomine Domini ove traccia per la seconda volta il segno di croce e in sequenza recita il Confiteor confessando i propri peccati, chiedendo l’ausilio dei presenti affinché con la loro preghiera possano sostenerlo nel celebrare il sacrificio Eucaristico. A conclusione il ministrante invoca la misericordia di Dio con la preghiera del Miseratur (Salmo 51 )di cui si riporta la parte iniziale: 

Miserère mei, Deus, secùndum magnam misericòrdiam tuam. Et secùndum multitùdinem miseratiònum tuàrum, dele iniquitàtem meam. Àmplius lava me ab iniquitàte mea, et a peccàto meo munda me. 

A conclusione il sacerdote risponde Amen, ossia avvenga Signore secondo la tua volontà. In sequenza in celebrante aggiunge la prece per l’indulgenza e per la terza volta traccia un segno di croce per la remissione dei peccati. Conclusasi suddetta fase compiuta ai piedi dell’altare, proferisce così: Dominus Vobiscum e Oremus e nel frattempo ascende all’altare pronunciando sotto voce l’orazione Aufer a nobis:  

Aufer a nobis, quaesumus, Domine, iniquitates nostras: ut ad Sancta sanctorum puris mereamur mentibus introire. Per Christum Dominum nostrum. Amen. 

Questa orazione è la richiesta di perdono a Dio affinché le menti e il cuore di tutti i presenti possano essere ben disposti a partecipare all’Eucaristia e quindi ad accogliere Cristo. Giunto all’altare il sacerdote lo bacia con devozione e legge l’introito, l’antifona d’ingresso e la centro di esso in alternanza con i ministri ripete tre volte Kyrie eleison, tre volte Christe eleison e nuovamente tre volte Kyrie eleison. Con le mani giunte recita il Gloria e al versetto Adoramus te. Glorificamus te. Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam. Domine Deus, Rex coelestis, Deus Pater omnipotens. Domine Fili unigenite, Jesu Christe. Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris. Qui tollis peccata mundi, miserere nobis. Qui tollis peccata mundi, suscipe deprecationem nostram china il capo rivolto verso il crocifisso e conclusa la recita del Gloria traccia su di sé il segno di croce. Seguono poi le preghiere della colletta, a conclusione delle quali il sacerdote bacia l’altare e voltandosi verso l’assemblea con gli occhi volti al basso allarga e ricongiunge le mani dinnanzi al petto pronunciando Dominus Vobiscum e volgendosi verso il messale afferma: Oremus e senza alcuna pausa recita le collette. 

Parte didattica  

Il Vetus Ordo Missae si suddivide in due parti: didattica e sacrificale. La parte didattica concerne le Sacre Scritture e l’annessa omelia. La parte sacrificale gli atti propri del sacrificio. La parte didattica definita anche dei catecumeni (a suddetta sezione vi potevano partecipare anche coloro che non avevano ricevuto il Battesimo) consiste nella lettura delle Epistole, del Graduale (Salmo) e dell’Alleluia. Il Graduale è il salmo letto dal celebrante, esso si definisce così in quanto fino al II secolo esso veniva cantato dai cantori ai gradini dell’altare, seguito dall’Alleluia quale inno di acclamazione alla maestà divina. A seguire il celebrante proclama il Vangelo in lingua latina. Terminata l’omelia, nelle domeniche e feste di precetto si recita il simbolo niceno – costantinopolitano.  

Parte sacrificale 

Il celebrante prima di procedere alla celebrazione del sacrificio, voltandosi nuovamente verso i fedeli, pronuncia: Dominus Vobiscum senza però aggiungere ulteriori preci. A seguire scopre il calice e tenendo all’altezza del petto l’Ostia a voce flebile prega Dio Padre di accettare l’offerta che è senza macchia a cagione dei suoi peccati, ma anche per i peccati dei presenti e per tutti i cristiani vivi e defunti. Depone l’Ostia sul corporale e pone la patena in modo parziale sotto il corporale e versando nel calice il vino diluito con l’acqua offre a Dio il calice della salvezza. Prosegue con il lavacro delle dita recitando i sette versetti del Salmo 25:  

Ad te, Domine, levavi animam meam, Deus meus, in te confido; non erubescam. Neque exsultent super me inimici mei, etenim universi, qui sustinent te, non confundentur. Confundantur infideliter agentes propter vanitatem.  Vias tuas, Domine, demonstra mihi et semitas tuas edoce me.  Dirige me in veritate tua et doce me, quia tu es Deus salutis meae,  et te sustinui tota die.  Reminiscere miserationum tuarum, Domine, et misericordiarum tuarum, quoniam a saeculo sunt. Peccata iuventutis meae et delicta mea ne memineris; secundum misericordiam tuam memento mei tu, propter bonitatem tuam, Domine  

Ritornato al centro dell’altare prega la Santissima Trinità di accettare l’oblazione, recitando differenti preci a voce bassa, definite secrete in quanto in relazione all’offerta. Si volta nuovamente verso i fedeli pronunciando le seguenti parole: Orate fratres e a voce alta pronuncia il prefazio seguito dal Sanctus. In successione ci si addentra a livello sempre sublime nella parte sacrificale, in quanto il sacerdote prosegue la recita del canone in modo silenzioso elevando solo di poco il tono della voce alle parole Nobis quoque peccatoribus. Mediante la preghiera del Te igitur (preghiera eucaristica) chiede a Dio di gradire l’offerta anzitempo per la Chiesa cattolica, affinchè le venga concessa la pace, la protezione e l’unita, anche per il Sommo Pontefice, il Vescovo locale e i fedeli tutti che si adoperano per il servizio della dottrina cristiana. A seguire prega per le intenzioni dei presenti in unione con i Santi(ne menziona 26). Giunto all’Hanc igitur (ulteriore preghiera eucaristica) stende le mani sopra l’Ostia, si inginocchia e ed eleva l’Ostia consacrata mostrandola ai fedeli. Si inginocchia nuovamente e consacra secondo le eguali modalità il calice. Segue l’Unde et memores prece in relazione alla Passione, morte, risurrezione e ascensione di Gesù al quale mediante l’Angelo Santo chiede di accogliere e gradire l’offerta. La dossologia si conclude con l’intonazione Per ipsum, et cum ipso, et in ipso, Est tibi Deo Patri omnipotent, In unitate Spiritus Sancti, Omnis honor et gloria Per omnia sæcula sæculorum. Amen durante l’intonazione il celebrante traccia ripetuti segni di croce e alle quattro parole Omnis honor et gloria eleva di poco in modo congiunto il calice e l’Ostia. Ad una sola voce recita il Pater Noster fino a et nos inducas in tentationem. Sed libera nos a malo è recitato dai fedeli. A conclusione il sacerdote estrae la patena da sotto il corporale e con essa traccia su di se un segno di croce. A seguire la ripone sotto l’Ostia che suddivide in tre parti, lasciando cadere il frammento più piccolo nel calice. Dopo aver proferito Pax Domini recita l’Agnus Dei e tre preci sotto voce: la prima per la pace della Chiesa e due per una adeguata preparazione alla comunione. Recita poi la preghiera Domine non sum dignus battendosi tre volte il petto con compunzione ed elevando la voce proferisce alcune preci, poi si comunica. A seguire in ginocchio si comunicano i fedeli. Al termine il sacerdote purifica la patena eliminando gli eventuali frammenti di Ostia al corporale, facendoli cadere nel calice, che purifica con il vino bevendone il contenuto. Giungendo al lato dell’epistola purifica sopra il calice anche il pollice e l’indice. Riposto il calice al centro dell’altare il sacerdote legge l’antifona di comunione, ritorna al centro dell’altare, lo bacia e voltandosi pronuncia: Domiuns Vobiscum. Recita le ultime preci dopo la comunione contenute nel messale, lo chiude e bacia nuovamente l’altare e posizionandosi al centro pronuncia Ite Missa Est. Si rivolge ancora una volta verso l’altare e inchinato recita la preghiera Placet tibi impartendo la benedizione. La celebrazione si conclude con la recita del Prologo del Vangelo di Giovanni e la preghiera in onore a San Michele Arcangelo. 

Nel prossimo articolo si indicheranno delucidazioni sui movimenti compiuti dal celebrante, il motivo per cui si recita al termine il Prologo dell’Evangelista Giovanni e l’orazione in riferimento a San Michele Arcangelo. Inoltre si metterà in evidenza il motivo per cui suddetto rito è stato esteso nuovamente alla Chiesa tutta da parte di papa Benedetto XVI. 

 

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