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Pensierini...

giglio reduzzi Nov 13, 2023

di Giglio Reduzzi

1. Premierato. 

Così è stata definita la riforma costituzionale che il governo intende realizzare nel corso della legislatura. 

Non è la riforma che la Premier aveva in mente, ma è, per così dire, la “second best”. 

Infatti la sua idea originaria era che l’elezione di primo grado (cioè quella che viene direttamente dal popolo) dovesse riguardare il Capo dello Stato e non il Presidente del Consiglio (attualmente gli italiani non eleggono né l’uno né l’altro, per strano che ciò possa sembrare), ma poi, dopo essersi consultata con l’Opposizione (che certo non se l’aspettava), ripiegò sul Premierato, perché le pareva, cosi facendo, che il percorso di attuazione della riforma sarebbe stato meno faticoso. 

Per cui nei giorni scorsi il Consiglio dei Ministri ha deciso all’unanimità di battere questa strada. 

Come è stata accolta la decisione da parte della variegata opposizione? 

La risposta è: male. 

Il commento più benevolo è: tanto non se ne farà niente. 

Ma quello prevalente è che la riforma non va bene perché riduce i poteri del Capo dello Stato. 

Implicitamente ammettendo che il Capo dello Stato dovrebbe benissimo poter continuare, come ha fatto sinora, a conferire la carica di Premier a persona appartenente ad uno schieramento diverso da quello che ha vinto le elezioni, od anche a nessuno schieramento. 

Una pratica, questa, che, nonostante sia stata considerata compatibile con l’attuale ordinamento costituzionale (io ho espresso tutti i miei dubbi in proposito), è stata recentemente ripudiata dal maggior partito di opposizione (il PD), quando ha dichiarato solennemente (magno cum gaudio da parte nostra) che mai sarebbe andato al governo senza aver prima vinto le elezioni. 

Come si vede dalle prime reazioni, tanto valeva dar corso alla riforma originaria. 

La verità è che, qualunque cosa la signora Meloni faccia, o annunci di voler fare, la Sinistra non è mai d’acordo. 

Per esempio non le va bene neppure il Trattato che la  Meloni ha recentemente concluso con Tirana e che invece per me è una vera e propria genialata. 

La Sinistra è semplicemente gelosa dei consensi che la nostra Premier sta raccogliendo in giro per il mondo, a partire dagli USA, e che evidentemente non aveva né previsto né tanto meno auspicato

 

2. Due popoli, due Stati 

Ogni volta che raccontavo all’anziano direttore generale dell’azienda per cui lavoravo che le ultime notizie davano come imminente la pace tra israeliani e palestinesi, costui si metteva beffardamente a ridere e mi rispondeva che la cosa era impossibile. 

Egli infatti, buon conoscitore dell’area, riteneva che i due popoli fossero troppo diversi culturalmente per addivenire ad un qualsiasi accordo. 

Comincio a crederlo anch’io. 

Qualche anno fa ho partecipato ad un pellegrinaggio in quella che noi cattolici continuiamo a chiamare Terrasanta, anche se di cattolico ha ben poco, a parte la preziosa presenza del bergamasco card. Pizzaballa. 

Infatti la maggior parte della popolazione è, ovviamente, di religione ebraica, ma ci sono anche comunità a maggioranza musulmana. 

I pochi monumenti cristiani rimasti appartengono tutti alla variante ortodossa del Credo cristiano, i cui rappresentanti peraltro guardano i cattolici dall’alto in basso. 

L’edificio più importante (la Basilica del Santo Sepolcro) è solo un litigioso condominio, dove coabitano rappresentanti di diverse confessioni cristiane e le chiavi del portone sono in mano ad una famiglia musulmana. 

Poiché l’itinerario del pellegrinaggio comprendeva tutte le principali regioni di Israele (Giudea, Samaria, Galilea), abbiamo potuto constatare de visu le differenze culturali cui accennava il mio capo. 

Quando entravamo in una zona sottoposta a coltivazione intensiva, dotata di impianto d’irrigazione e con le piantine tutte ben allineate, voleva dire che stavamo attraversando una città abitata da ebrei. 

Quando il pullman entrava in un’area brulla, usata per il pascolo delle pecore, significava che stavamo attraversando un tipico villaggio palestinese, abitato da musulmani. 

Purtroppo questa varietà di paesaggi era continua: appena eri fuori da un’area del primo tipo entravi immediatamente in una del secondo tipo. 

Non era come percorrere la pianura padana, dove quel che stai vedendo dal finestrino è simile a quello che hai appena visto cinque minuti prima. 

Qui, dal punto di vista delle coltivazioni, era tutto un saltellare tra un pezzo di Alto Adige ed un pezzo di Africa sub-sahariana. 

Mi ricordava molto il Sud Africa ai tempi dell’Apartheid. 

Tutti conosciamo le ragioni per cui il paesaggio di Israele è così variegato. 

Le aree a coltivazione intensiva (rivelatrici di un alto tasso di industrializzazione), sono quelle i cui abitanti, tutti ebrei, sono arrivati freschi dall’Europa portandosi dietro la tecnologia dei luoghi d’origine, mentre le altre, quelle adibite a pascolo o coltivate all’antica, sono le zone abitate dai musulmani autoctoni, che non hanno mai vissuto un’esperienza di carattere occidentale. 

Non a caso nelle comunità ebraiche, oltre all’ebraico, si parlano anche diverse lingue europee, mentre in quelle islamiche si parla solo arabo. 

Ecco perché il direttore generale della mia società sorrideva quando sentiva parlare di pacifica convivenza tra i due popoli e, ancor più, di due Stati distinti. 

Ed anch’io sono orientato a condividere il suo pessimismo. 

Lo slogan dei “due popoli due Stati” è facile a dirsi, ma difficile, se non impossibile, da realizzare. 

Non siamo semplicemente difronte a due tipi di “colture”, ma a due diversi generi di “culture”, tra l’altro fortemente intersecate tra loro. 

Il paragone con il Sud Africa non è peregrino. Anche se forse sarebbe più appropriato fare riferimento alle città-Stato dell’antica Grecia, anche se più lontane nel tempo. 

Per evitare che i due “mondi” continuino a farsi la guerra bisognerebbe anzitutto che nessuno dei due negasse all’altro il diritto di esistere. 

Questa sarebbe la precondizione per ogni possibile soluzione, ammesso che ce ne siano. 

Soluzioni che, a ben riflettere, possono essere solo due: 

· due Stati separati, (uno per gli ebrei e l’altro per gli islamici), oppure 

· uno Stato ebraico con dentro delle enclave musulmane, vale a dire una situazione molto simile all’attuale. 

Non mi pare che esista una terza via. 

Ovviamente la soluzione dei due Stati presenta una difficoltà in più: quella di dover costringere alcuni milioni di cittadini a migrare da uno Stato all’altro. 

Come vedete la soluzione del problema, ammesso che ci sia,  è ancora lontana. 

 

 

 

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