Papa Francesco, Giorgio Napolitano e Matteo Messina Denaro
Oct 07, 2023di Roberto De Mattei
Il grande Juan Donoso Cortés (1809-1853) diceva che dietro ogni problema politico c’è un problema teologico e metafisico. Talvolta però dietro un problema teologico c’è un problema politico che lo spiega. E’ quello che bisogna tener presente per prevedere quanto accadrà nel prossimo Sinodo: un’assemblea religiosa, voluta e organizzata da un Papa, per il quale la politica prevale sulla dottrina teologica e morale. Alcuni episodi accaduti negli ultimi giorni ci aiutano a comprenderlo.
Il 22 settembre 2023 è morto, a 98 anni, Giorgio Napolitano, protagonista per molti decenni della vita politica italiana. Nella sua lunga vita Napolitano ha combinato una ferrea militanza comunista, che nel 1956 lo portò ad approvare l’invasione sovietica dell’Ungheria, con una altrettanto ferrea fedeltà alla fratellanza massonica a cui apparteneva, seguendo le orme del padre Giovanni (1883-1895), figura di spicco del Grande Oriente d’Italia. Il 10 maggio 2006, dopo l’elezione alla presidenza della Repubblica di Napolitano, l’avvocato Gustavo Raffi, Gran Maestro del Grande Oriente, indicava questa scelta come «uno dei momenti più alti nella vita democratica del paese» e il giorno della morte dell’ex-presidente il Grande Oriente ha esposto presso la propria sede nazionale al Gianicolo bandiere a mezz’asta in segno di cordoglio.
All’interno del Partito Comunista Italiano, se Enrico Berlinguer (1922-1984) capeggiava l’ala dei “catto-comunisti”, che cercavano di conciliare l’ostensorio con la falce e martello, Napolitano è stato, dopo Giorgio Amendola (1907-1980), l’esponente più illustre degli “ateo-comunisti”, sostenitori di un incontro tra comunismo e supercapitalismo sulla base del comune rifiuto della dimensione trascendente della vita. Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara, nel loro libro I panni sporchi della sinistra. I segreti di Napolitano e gli affari del Pd (Chiarelettere 2013), affermano che Napolitano sarebbe stato iniziato, in tempi lontani, alla massoneria anglosassone e ricordano vari momenti significativi della sua vita comprensibili a questa luce, dal «misterioso viaggio» negli Stati Uniti nel 1978, nei giorni del sequestro Moro, fino all’incontro, nel 2001, a Cernobbio, con Henry Kissinger, che lo salutò con le parole «My favourite communist».
Napolitano è stato un ateo-comunista coerente e i suoi funerali “laici”, si sono svolti il 26 settembre, per la prima volta della storia d’Italia, all’interno dell’aula di Montecitorio. Questo è il personaggio al quale, due giorni prima, papa Francesco ha voluto rendere omaggio, rimanendo per qualche minuto in piedi in silenzio, senza una benedizione o un segno di croce, davanti alla bara esposta nella camera ardente del Senato.
L’omaggio non è stato reso privatamente, ma pubblicamente, con un chiaro messaggio simbolico. Giorgio Napolitano, ha detto papa Francesco, è stato «un grande uomo, servitore della patria». La biografia politica di Napolitano documenta che in realtà egli non servì “la patria”, ma gli interessi dei “poteri forti”, come quando, nel novembre 2011, intervenne in prima persona per far dimettere Silvio Berlusconi e insediare al suo posto il prof. Mario Monti, gradito alle lobbies finanziarie internazionali. Né si comprende quale “grandezza” il Vicario di Cristo possa attribuire a un uomo che manifestò per tutta la sua vita una profonda avversione alla Chiesa cattolica. Ma ciò significa ragionare, in termini religiosi, mentre per papa Francesco sembra che la religione debba essere assorbita dalla politica, vista come la dimensione terrena della vita della Chiesa.
E’ difficile capire come l’ossequio politico che Francesco mostra verso i “potenti” si concili con l’appello a quella «accoglienza agli ultimi», che costituisce uno dei cardini del suo pontificato. Nei giorni immediatamente precedenti al suo omaggio a Napolitano, Francesco si è recato nella città di Marsiglia, specificando che la sua non era una visita alla nazione francese, ma alla capitale multiculturale dell’immigrazione. A Marsiglia, nel suo intervento agli Incontri mediterranei, davanti al presidente francese Emmanuel Macron, il Papa ha detto che non esiste «invasione» di migranti, né «emergenza», perché «chi rischia la vita in mare non invade, cerca accoglienza». Bisogna finire dunque con le «propagande allarmiste» per «alimentare la paura della gente». Il fenomeno della migrazione è «un dato di fatto dei nostri tempi» e «va governato con una responsabilità europea in grado di fronteggiare le obiettive difficoltà».
La stessa domenica 23 settembre, a Bologna, il cardinale Matteo Zuppi, presidente dei vescovi italiani ha tenuto, tra gli applausi, un comizio alla festa nazionale di Rifondazione Comunista, l’unico partito politico italiano che si richiama esplicitamente ai princìpi del marx-leninismo. Zuppi, un altro, proveniente dalla comunità di estrema sinistra di Sant’Egidio, è stato, negli ultimi mesi, a Pechino, Mosca e Kyiv, come latore personale, da parte del Papa, di un messaggio politico di “dialogo”, scavalcando l’arcivescovo Richard Gallagher, ministro degli Esteri della Santa Sede.
Questo attivismo politico, però, ha iniziato a produrre, inattese reazioni da parte dei vescovi cinesi, ucraini e polacchi, che contestano apertamente l’Ostpolitik di papa Francesco. Il presidente della Conferenza episcopale polacca (KEP), l’arcivescovo StanisĆaw GÄ decki, in un’intervista rilasciata al settimanale cattolico tedesco Die Tagespost (18 settembre 2023) (qui la versione in italiano) ha criticato la posizione del Vaticano sull’aggressione russa all’Ucraina., affermando che «trattare allo stesso modo l’aggressore e la vittima è un errore. Sembra una ripetizione degli errori della cosiddetta Ostpolitik Vaticana ai tempi del comunismo. Se la Russia vincesse la guerra, non rinuncerebbe alla sua ambizione di ripristinare la sfera di influenza dell’Unione Sovietica. Quindi presto avremo un’altra guerra in Europa».
Su questo sfondo tempestoso si svolgerà il “Sinodo sulla sinodalità”, un evento politico dal qual non c’è da aspettarsi novità teologiche, ma piuttosto un messaggio pastorale che “innovi” o meglio “rivoluzioni” la Chiesa sul piano della prassi. I temi dell’immigrazione, del lavoro, dell’ambiente, della povertà e dell’inclusione sociale, faranno parte del dibattito sinodale. E’ questo l’insegnamento trasmesso da Giovanni XXIII, nell’allocuzione Gaudet mater Ecclesia che l’11 ottobre 1962 aprì il Concilio Vaticano II. Ipotizzando che il suo successore si possa chiamare Giovanni XXIV, come ha detto lo scorso 4 settembre, tornando dalla Mongolia, papa Francesco indica con chiarezza un percorso. La Rivoluzione nella Chiesa non è una dottrina, ma un “metodo”, una prassi politica e pastorale che sbriciola la dottrina antica senza proporne una nuova.
Tuttavia, Donoso Cortés non aveva torto, quando affermava che anche quando si è immersi nelle discussioni politiche, non bisogna mai smettere di elevare lo sguardo alla dimensione soprannaturale, a cui tutto in ultima analisi si riconduce, perché il fine ultimo degli uomini non è su questa terra. Il 24 settembre, due giorni dopo Giorgio Napolitano, è morto in un carcere de L’Aquila Matteo Messina Denaro, capo storico di Cosa Nostra e responsabile di efferati episodi criminali. Messina Denaro, come Napolitano, ha rifiutato le esequie religiose. «Nessun funerale dalla Chiesa cattolica», ha detto: «Dio sarà la mia giustizia». Il mafioso e l’ateo-comunista si sono presentati negli stessi giorni al cospetto di Dio, supremo giudice di ogni nostra parola, atto od omissione. Le loro vite terrene sono state le più diverse. Ma sarà diverso il loro destino eterno?
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