Pandemia, clima e gas: tre crisi create dall'Occidente
Sep 06, 2022di Eugenio Capozzi
Il lockdown a fronte di un virus spacciato per peste nera, la rinuncia ai combustibili fossili per contrastare un'indimostrabile emergenza climatica, le sanzioni alla Russia che danneggiano soltanto i nostri popoli: così si sta distruggendo la nostra economia e il nostro vivere sociale. Ma non sono crisi piovute dal cielo, si tratta di scelte ideologiche che portano a una verticalizzazione autoritaria.
Un legame strettissimo di continuità logica e causale connette la gravissima crisi energetica nella quale oggi ci troviamo con le politiche di "transizione ecologica", le restrizioni/coercizioni "pandemiche", la guerra russo-ucraina.
La massiccia e accelerata riduzione dei combustibili fossili - non compensata da fonti alternative e competitive - e la strozzatura drammatica della domanda generata da lockdown, chiusure, lasciapassare vaccinali, seguita da una improvvisa ripresa a partire dal 2021, hanno prodotto una sproporzione colossale, innaturale tra le materie prime disponibili e le esigenze dei paesi industrializzati.
Le sanzioni adottate da G7 e Ue verso il gas russo, sebbene da esso quasi tutta l'Europa continuerà a essere dipendente ancora per anni, hanno dato il colpo di grazia a una situazione già difficilissima, mettendo bruscamente i paesi del Vecchio Continente davanti allo spettro del razionamento, della paralisi economica, di una recessione catastrofica.
Ma cosa hanno in comune questi tre fenomeni - "decarbonizzazione", lockdown, sanzioni a Mosca? Il fatto di non essere calamità piovute dal cielo, eventi naturali o imposti da circostanze esterne, bensì al contrario decisioni consapevoli delle classi politiche, da loro assunte in piena responsabilità. Decisioni prese come se fossero ineluttabili, come se non ci fossero alternative. Ma non era e non è vero. Si tratta invece di scelte fondate su dogmi ideologici.
Se i governi occidentali (più altri, che però nella pratica si comportano diversamente) hanno deliberato di tagliare drasticamente i combustibili fossili a rischio di lasciare i loro popoli senza energia, industria, collegamenti ciò è avvenuto esclusivamente perché quei governi hanno propugnato come una verità apodittica la tesi - indimostrata, indimostrabile, largamente confutata da teorie e fatti - di una "crisi climatica" catastrofica in corso, causata dalla civilizzazione umana, e più in particolare dalle emissioni di anidride carbonica.
Se i governi occidentali e quelli di altre nazioni industrializzate e popolose (in particolare la Cina) hanno costretto per mesi e mesi le popolazioni a limitare ogni interazione sociale, hanno costretto alla chiusura gran parte degli esercizi commerciali e del terziario, hanno impedito la circolazione delle persone, hanno tagliato fuori dalla vita sociale chiunque non accettasse terapie di dubbia efficacia e sicurezza imposte dai poteri statali e dalle grandi multinazionali farmaceutiche ciò è avvenuto esclusivamente perché essi hanno sposato ciecamente la tesi secondo cui un virus della famiglia influenzale rappresentasse una minaccia pari a quella delle pestilenze dei secoli scorsi, e potesse essere bloccato soltanto attraverso la clausura, l'isolamento, il "congelamento" della vita collettiva, la coazione all'inoculazione più o meno universale con vaccini mai usati prima nella storia.
Se, infine, i governi dell'Ue hanno deciso, su pressione degli Stati Uniti, di adottare severissime sanzioni economiche verso la Russia e di ridurre bruscamente da un giorno all'altro i loro acquisti di gas russo, al quale per decenni si erano sempre più affidati, ciò è avvenuto unicamente perché essi hanno fatto propria, senza quasi fiatare, la linea dell'amministrazione Biden e dei vertici Nato secondo cui la Russia putiniana è il pericolo pubblico numero uno per le democrazie occidentali, la rottura dei rapporti commerciali con esso è uno strumento necessario per fermarne le mire imperialistiche, e tale rottura in breve tempo avrebbe mandato all'aria la sua economia.
Naturalmente, come molti osservatori di economia avevano visto fin dall'inizio, l'economia russa non è andata gambe all'aria, perché le materie prime che essa non vende all'Occidente può tranquillamente venderle ad altri (Cina e India in primis) a cui Mosca, tra l'altro, si è legata sempre più, mentre quelle europee (molto meno gli Usa, che almeno riguardo all'energia sono autosufficienti, anzi esportatori) stanno andando sempre più velocemente verso il baratro: tanto più quando, come l'Italia, rifiutano di adottare anche le valide alternative che avrebbero (o avrebbero già avuto) a disposizione (rigassificatori, centrali nucleari, estrazione di petrolio e gas sul proprio territorio).
Eppure politica, istituzioni, media a canali praticamente unificati continuano imperterriti a negare l'evidenza, a descrivere penuria e razionamento come fossero un fato determinato dagli astri per affrontare il quale si può ricorrere solo al risparmio, alla riduzione dei consumi, a una diversificazione delle forniture nel medio-lungo periodo; e continuano a proclamare stentorei che grazie a questi sacrifici "spezzeremo le reni" al brutale invasore, tacciando chiunque esprima scetticismo o critiche in proposito di essere un agente del nemico.
Siamo di fronte dunque, in tutti e tre i casi, a crisi create artificialmente dalle classi politiche, derivanti pressoché integralmente da assiomi imposti alle opinioni pubbliche volenti o nolenti, pretendendo che in merito a essi non vi sia discussione e delegittimando radicalmente chi osa intraprenderla: con una tendenza sempre più marcata, in quelle che ancora vengono definite democrazie, all'abolizione del pluralismo, del government by discussion, appunto, e alla verticalizzazione autoritaria del potere. In tutti e tre i casi, con effetti che si sommano e amplificano dall'uno all'altro, si tratta di scelte che comportano impoverimento, decrescita (infelice per definizione, perché la tesi che esista una decrescita felice è uno dei peggiori inganni dei nostri tempi), recessione.
Soprattutto, in tutti e tre i casi i governi tendono non soltanto a presentare crisi e restrizioni come un dato indiscutibile, ma a investire fortemente di responsabilità etica in merito a esse i cittadini da loro governati, cercando di convincerli che la radice delle crisi stesse e la condizione primaria per la loro risoluzione risiedono nei loro comportamenti privati individuali. La tendenza crescente alla verticalizzazione del potere cerca di trovare un fondamento di consenso popolare culturale attraverso una propaganda eticizzante che fa leva sul senso di colpa incombente sugli individui, e sull'aspirazione di questi ultimi a "espiare" loro "peccati" conformandosi a "penitenze" imposte dall'alto da autorità indiscutibili (una classe politica sempre più intrisa di pretese scientistiche e tecnocratiche), fino a essere, in virtù di tali sacrifici, "purificati" e redenti.
È chiaro, insomma, che in Occidente (altro discorso vale per società più continuativamente gerarchiche e fondate sul dovere individuale come quella cinese) la verticalizzazione autoritaria, coercitiva, decrescitista viene innescata innanzitutto da una diffusa domanda etico-religiosa, che prende la forma di ossessioni e sensi di colpa legati alle conseguenze materiali di comportamenti e stili di vita, perché nasce per colmare il gigantesco vuoto lasciato dell'eclissi di un autentico sentimento religioso, quello fondato sul Dio creatore e trascendente proprio della civiltà ebraico-cristiana.
Il dibattito democratico deperisce, i comandi dei governi vengono subìti sempre più passivamente, le crisi artificialmente provocate da miti ideologici si succedono a catena e vengono troppo poco messe in discussione perché quanto più avanza una secolarizzazione radicale, relativista, nichilista tanto più il bisogno fondativo di senso, salvezza, di connessione all'origine e al destino della vita, deviato dal suo oggetto proprio - il Dio trascendente che fonda la razionalità del mondo - si scarica in un pervasivo, irrazionalistico sentimento apocalittico segnato da colpe oscure e irredimibili, in superstizioni sempre più paradossali, nella credulità diffusa, in un atteggiamento ossessivo/compulsivo fondato sull'ansia di salvarsi osservando "regole" minuziose, sulla cui fondatezza si rinuncia ormai a porsi domande.
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