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Ora Pro Nobis. Laporta e gli ussari alati di Silvana De Mari

generale piero laporta marco tosatti ora pro nobis silvana de mari stilum curiae Jun 29, 2023

di Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, il generale Piero Laporta offre alla vostra attenzione la sua recensione di un libro molto bello, di cui Stilum Curiae si era occupato tempo fa. Buona lettura e condivisione.

È un bellissimo libro; è un avvincente romanzo. È un salto indietro nella storia di oltre cinque secoli fa, quando Vienna paventava le scimitarre musulmane e risuonava incessantemente la preghiera «Mater Dei Genetrix, Regina Poloniae, Ora Pro Nobis» dalle fila degli ussari alati: audaci, valorosi implacabili come l’ira di Dio.

Confesso. Prima di questo (Silvana De Mari «Ora Pro Nobis – Storia di Ussari Alati» ed. Picchi) lessi solo pochi romanzi italiani contemporanei: Leonardo Sciascia e, dopo molti anni, Elio Paoloni. I rimanenti autori italici, soprattutto quelli nell’empireo, li chiusi, gettandoli nella spazzatura dopo qualche pagina. Sono tesserati noiosi, scrivono male, berciano banali salse politico sentimentali. Vanno bene solo per chi ha disturbi del sonno. Le quattrocento pagine di Silvana De Mari si leggono invece d’un fiato, proiettandoti in un mondo che non esiste più sebbene non sia morto.

 

Gli ussari alati, leggendario corpo della cavalleria polacca. Armati di sciabola e di picca, quando le pistole e i fucili ebbero già un ruolo nella guerra. Le pesanti armature a proteggere se stessi e il cavallo; la stravagante struttura affine a due ali, legata sulle spalle, per la triplice funzione di decorare, disorientare il nemico col sibilo dell’aria fra le ali durante la carica e proteggere le spalle dai fendenti a tradimento nel cuore della mischia.

Il romanzo segue l’ussaro Jacob, dall’infanzia felice alla strage della sua famiglia, dalla schiavitù alla libertà riconquistata nella sofferenza, dall’incontro col frate Marco d’Aviano all’epopea della carica di cavalleria, il diadema della battaglia di Vienna.

«Non c’è nulla che possa essere paragonato a una carica di cavalleria». La terribile frase annuncia le pagine dell’ultima battaglia, quella che sconfigge il nemico ma non la morte. Essa, sempre in agguato, colpisce inesorabilmente ricchi e poveri, coraggiosi e codardi. Noi l’abbiamo rimossa, per stupirci a nove colonne se c’agguanta anche in fondo all’Oceano.

L’instancabile morte cavalca con l’infaticabile Jacob; chi resisterà più a lungo? Jacob non può lasciarla per strada, deve scatenarla sul nemico per placarne la fame di cadaveri, altrimenti la morte gli si rivolta contro. Jacob non ha scelta: deve combattere fino alla morte per poterla vincere. Chi vincerà?

“Ussaro”, ha lontane radici in tutte le lingue dei popoli combattenti, dai latini ai serbi, dagli ungheresi ai lituani, dai russi ai polacchi. È parola evocata anche da Tolstoj. Il libro va oltre, svelandone il peso nella storia e nell’arte militare antica. È molto piacevole la figurazione delle scaramucce e delle battaglie, della travolgente e immortale carica di cavalleria, un’opera d’arte. Il racconto è accurato, realistico, sostanziale com’è la narrazione d’un fatto militare.

L’essenzialità consente all’Autrice di collegare con tenaci fili sottili il sontuoso trapassato remoto degli ussari alati e il presente nostro, questo miserrimo e sconcio. I valori degli ussari (coraggio, lealtà, disciplina, rispetto per le donne, sacralità dell’amore familiare…) non ci appartengono più; ce li lasciammo sottrarre e non per mano islamica.

I valori degli ussari alati sono indispensabili per restare in sella al cavallo in battaglia, impugnare la sciabola e fronteggiare il nemico per batterlo quantunque numericamente superiore; per vincerlo ripetutamente. Il racconto si dipana nelle pianure ucraine, nasce nella Masseria delle Erbe Amare, più nota come Chernobyl, riverberando oggi nelle nostre strade che non possiamo difendere senza la capacità di combattere degli ussari alati, approssimandosi un disastro solo tecnologicamente differente da quanto insidiò Vienna a metà del 1500 e Chernobyl più tardi.

Il racconto persuade: la cristianità si salvò coi fendenti delle sciabole degli ussari alati e con la preghiera, insieme. Oggi sussistiamo di fronte a nuovi assalti e siamo di gran lunga più sguarniti dei cavalieri polacchi a settembre 1939, ai quali forse mancò la preghiera degli ussari alati «Mater Dei Genetrix, Regina Poloniae, Ora Pro Nobis», prima della carica contro i panzer di Hitler. Per combattere e vincere non bastano le armi e il valore, neppure il Pil né la cocaina, ancor meno abusare della Misericordia di Dio.

La preghiera risuonò invece incessante durante la battaglia di Vienna. E le campane suonarono di nuovo a festa dopo il lungo silenzio. La forma arabeggiante dei campanili e la mezzaluna dei cornetti sono ancora a testimoniarlo[1]. Abbiamo tuttavia dimenticato il pericolo, tuttora al di qua dell’orizzonte, mentre cicisbei e vescovi traditori spalancano al nemico le porte della fortezza.

La lettura di Ora Pro Nobis la infliggerei ai presbiteri sculettanti, a quanti invocano la pace senza chiedersi se ce la meritiamo o se dobbiamo farcela imporre a ogni costo. Occorre leggere questo libro, per farlo leggere ai vostri cari e ai vostri amici. È una carica della cavalleria della Fede.

Cristo Vince, Mater Dei Genetrix Ora Pro Nobis.

www.pierolaporta.it

 

 

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