Malefica presenza di Spinoza nel pensiero moderno
Aug 23, 2022di Francesco Lamendola
Quanto è ancora vivo e operante della (pessima) filosofia panteista di Baruch Spinoza nella cultura, e particolarmente nel pensiero moderno?
Citiamo una pagina dedicata a questo tema tratta dal classico manuale di Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero Il “nuovo” Protagonisti e testi della Filosofia, Paravia, 2007, vol. 2A, Dall’Umanesimo all’empirismo, pp. 274-276):
All’inizio le reazioni sono per lo più negative, perché l’immagine di Spinoza risulta condizionata dagli anatemi delle gerarchie ecclesiastiche ebraico-cristiane e dalla nomea di “miserabile” giudeo apostata, portatore di un ”ateismo” radicale. Più tardi, con Bayle e il suo “Dizionario storico e critico” (1697) si comincia a distinguere tra l’uomo e la dottrina e si diffonde la figura di uno Spinoza mite e saggio, dagli esemplari costumi di vita, anche se teorico, secondo le stesse parole di Bayle, della «più mostruosa ipotesi che si possa immaginare: l’identità tra Dio e la natura».
Nell’illuminismo del XVIII secolo, in particolare quello francese, da un lato Spinoza viene bersagliato come tipico esponente del “sistema metafisico”, con tutte le sue presunzioni e oscurità, ma dall’altro viene considerato un punto di riferimento positivo del “filone materialistico” (La Mettrie, Diderot, D’Holbach ecc.), che vede in lui il primo rappresentante moderno di una concezione materialistica e atea.
Tuttavia, la riabilitazione filosofica di Spinoza, il definitivo rifiuto, come dirà Lessing, di considerarlo “un cane morto”, si ha solo nella cultura tedesca di fine secolo, in cui assiste a una vera e propria “Spinoza-Renaissance”, a opera soprattutto di Mendelssohn, di Lessing, di Jacobi, di Goethe e di Herder. SE Jacobi, nelle sue famose “Lettere sulla dottrina di Spinoza” (1785), che rappresentano l’epicentro della riscoperta del filosofo olandese, vede ancora in lui l’araldo più coerente del razionalismo e dell’ateismo, agli occhi di Herder l’identificazione spinoziana della divinità con il cosmo e l’assorbimento del finito nell’infinito, appaiono invece fortemente religiosi.
Questa interpretazione dello spinozismo come una forma di panteismo miticizzante è destinata ad avere grande fortuna nel nascente Romanticismo, che vede in Spinoza il filosofo della vita infinita ed eterna della Natura, di cui le cose finite non sono che transeunti manifestazioni: il «sublime Spirito del mondo, come scrive Scheiermacher, lo penetrava L’Infinito era il suo principio e il suo fine. L’Universo, il suo unico eterno amore». E Novalis parla di lui come «un uomo ebbro di Dio».
Questo modo di rapportarsi a Spinoza ha presa anche sui poeti. Significativo, a questo proposito, il caso di Goethe, che fu uno dei più illustri estimatori del filosofo. (…)
Con l’idealismo di Fichte, Schelling ed Hegel, Spinoza celebra i suoi maggiori trionfi filosofici, poiché viene considerato come il filosofo dell’infinito per eccellenza, che tuttavia, avendo identificato l’Assoluto con la Natura, è costretto a dibattersi in difficoltà inestricabili, che solo l’idealismo, con il suo concetto di Spirito, riuscirebbe a risolvere. In ogni caso, lo spinozismo appare il vestibolo obbligato della metafisica, poiché, come giunge a sostenere Hegel, «spinozist sein», l’essere in qualche modo spinoziani, è la premessa indispensabile per filosofare veramente. (…) Nell’ambito della filosofia ottocentesca e novecentesca Sinoza è presente, più di quanto si potrebbe pensare, anche ai marxisti. Visto dai “classici” (Marx ed Engels) sotto un’angolatura per lo più storica, ossia come un naturalista e prematerialista che avrebbe emancipato il pensiero moderno dalla trascendenza e dalla religione, Spinoza viene letto in chiave teoretica anche da alcuni critici neomarxisti, che nelle sue istanze materialistiche vedono uno strumento di dissoluzione critica del materialismo dialettico. Althusser, ad esempio, scrive che «abbiamo fatto la svolta attraverso Spinoza per vedere un po’ più chiaro in quella di Marx attraverso Hegel» (“Elementi di autocritica”). E Negri sostiene che il materialismo spinoziano può servire a liberare il comunismo dall’«imbroglio dialettico»(“L’anomalia selvaggia”). Questo gruppo di studiosi, al quale appartiene anche Deleuze, tende inoltre a vedere in Spinoza un “critico delle ideologie” – e n primo luogo dell’ideologia del soggetto – e un demistificatore del’immaginario religioso, filosofico, politico ecc., capace di offrire tuttora validi spunti per una teoria globale dell’ideologia.
Ma, forse al di là di qualsiasi “moda culturale” del momento, la presenza di Spinoza nel mondo moderno è legata a un motivo più profondo e duraturo. La sua filosofia rappresenta infatti una delle grandi alternative metafisiche del pensiero umano, particolarmente attraente per quel tipo di individui che, assetati di Assoluto, ma restii a identificare Dio in una delle tante figure delle fedi positive, sentono il fascino di quella “religione cosmica”, senza dogmi e senza chiese, che è il panteismo. Ed è proprio in questo senso che Einstein, per esempio, ha dichiarato talora che il Dio degli uomini di scienza non può essere che il Dio di Spinoza, cioè l’ordine razionale e matematico del Tutto (…)
Crediamo opportuno puntare l’attenzione sulla fine di questa pagina, partendo da quest’ultima osservazione su Einstein. È significativo che dopo la ricognizione storica sulla fortuna del pensiero di Spinoza nel corso dei secoli, nel complesso obiettiva oltre che esaustiva pur nella sua necessaria sinteticità, arrivino lo scoperto elogio ed il compiacimento per la diffusione raggiunta da quella filosofia, accompagnati dalla scrupolosa descrizione del tipo psicologico che è portato ad apprezzarla, e infine la citazione di Albert Einstein, quale ammiratore dichiarato del panteismo spinoziano. Vediamo dunque sia come è fatto codesto tipo psicologico, sia per quali ragioni Einstein trovi così di suo gusto il pensiero di Spinoza.
Primo punto: sono naturalmente attratti dalla filosofia di Spinoza quegli individui i quali, assetati di Assoluto, sono però recalcitranti all’idea di identificarlo con il Dio di cui parlano le varie fedi religiose. In altre parole, recandosi al supermercato dello spiritualismo, preferiscono acquistare un “dio” che è la Natura stessa, che è il Mondo, e dunque un dio totalmente, radicalmente immanente, piuttosto che un dio trascendente, il quale, in fin dei conti, a causa delle differenza ontologica, crea sempre un po’ di disagio, un po’ d’imbarazzo, un po’ di rammarico nelle nature orgogliose, che non amano sentire qualcuno sopra di sé. Per non parlare di quelle cose sgradevolissime e alquanto oscurantiste che sono i dogmi e le chiese: laddove l’uomo moderno, come è ben noto, non sa che farsene degli uni, né ha bisogno delle altre. Se invece Dio e il mondo sono una sola ed unica cosa, allora anche noi umani siamo parte di quel Dio, proprio perché abitanti di questo mondo: e allora perché mettersi sulle spalle il giogo di un Dio trascendente, che si aspetta qualcosa da noi, e con ciò stesso limita la nostra libertà assoluta, la condiziona, la vanifica, quando ci si può compiacere di essere Dio, e dunque di non aver bisogno di alcuno, anzi semmai si può imporre il proprio volere al mondo, alla natura stessa?
Quanto ad Einstein, non pare trattarsi di una mera simpatia personale: è lo stesso Einstein a dirci, in prima persona, che egli ammira Spinoza proprio da scienziato; né si limita a esprimere un parere privato: va assai oltre e afferma, con straordinaria sicumera, che il dio degli scienziati, dunque di tutti gli scienziati in quanto tali – egli adesso parla a loro nome, è il loro portavoce – non può essere che il dio di Spinoza; né potrebbe essere un altro. Lui solo possiede i requisiti necessari a ricevere l’approvazione degli scienziati, vale a dire l’ordine razionale e matematico che si manifesta nell’universo. A dire il vero questa argomentazione appare alquanto debole, se si pensa, per esempio, che quanto a ordine e a razionalità né il dio pagano di Aristotele, né il Dio cristiano di san Tommaso d’Aquino, la cedono ad alcuno. Ma tant’è: Albert Einstein, che non è un filosofo ma si picca di filosofare e ritiene cosa utile e necessaria comunicare all’umanità la propria concezione filosofica (con lo smilzo e pretenzioso libretto intitolato Come io vedo il mondo, che comprende alcuni scritti fino al 1933, nonché una sua introduzione al De rerum natura di Tito Lucrezio Caro, tradotto in tedesco nel 1924 da Hermann Diels), immodesto già nel titolo, nel quale il celebre fisico spende la propria notorietà e la propria autorevolezza per dire la parola definitiva in fatto di religione, della sola religione che si addice a quegli esseri umani, evidentemente superiori alla massa, che sono gli scienziati moderni, debitamente materialisti o comunque immanentisti. Per lui, il Dio personale dell’ebraismo e del cristianesimo è un’assurdità, una pia credenza, o meglio una superstizione vera e propria, da lasciare ai bambini. Per lui, splendido esempio di uomo adulto e maturo, per di più grande scienziato e addirittura Premio Nobel per la Fisica nel 1921, grande amico di Sigmund Freud e grande ammiratore di David Hume, del quale si considera idealmente un discepolo, ci vuole ben altro dio, e ben altra specie di fede religiosa. In una lettera personale del 1954, dunque un anno prima della morte, che su questo punto si può considerare come il suo testamento spirituale (riportata su Repubblica del 14 maggio 2008), scrive testualmente:
Io non credo in un Dio personale e non ho mai negato questo fatto., anzi, ho sempre espresso le mie convinzioni chiaramente. Se qualcosa in me può essere chiamato religioso è la mia sconfinata ammirazione per la struttura del mondo che la scienza ha fin qui potuto rivelare.
È degno d’interesse quante banalità e superficialità possa dire un famoso scienziato in un così breve spazio di carta. Effettivamente, come si era già compreso dalla breve citazione del suo pensiero fatta dagli autori sopra riportati, qui è lo scienziato che parla da scienziato: parla di credenze religiose e ritiene di avere ogni diritto a esprimere la sua opinione scientifica in proposito, senza essere neanche sfiorato dal dubbio che la scienza e la religione sono due cose diverse e che si può essere dei grandi scienziati senza capire nulla della problematica religiosa, specie se la si affronta foderati di rocciosi pregiudizi scettici e positivisti (le due cose peraltro, scetticismo e positivismo, sono parecchio distanti fra loro: ma qui è Einstein che non sa mettersi d’accordo con se stesso, dichiarandosi un fervido ammiratore sia di Hume che dei positivisti). C’è da chiedesi cosa avrebbe pensato Einstein, e cosa penserebbero tutti quelli che ragionano alla sua maniera, se un credente avanzasse la pretesa di giudicare la scienza in se stessa, unicamente in base alle proprie convinzioni religiose. Crediamo che costoro si metterebbero prontamente a parlare d’invasione di campo e accuserebbero i credenti di non aver perso l’antico vizio di voler mettere il becco, magari per imbrigliarla e controllarla, nella ricerca scientifica, come ai tempi fortunatamente lontani del processo a Galilei.
Va notato peraltro che il credente ne avrebbe maggior titolo di quanto ne abbia lo scienziato che vuol giudicare la fede: perché la scienza, come ogni altra forma del conoscere, interroga direttamente la fede, mentre la fede non interroga direttamente la scienza. Di fatto, però, anche per il credente, l’autonomia della scienza dalla sfera religiosa esiste, né va discussa: e gli scienziati che sono anche dei credenti, come Enrico Medi, non hanno mai preteso di giudicare che gli scienziati non possano avere altro Dio che Gesù Cristo, mentre Einstein e tutti quelli come lui trovano normalissimo che lo scienziato non possa avere altro dio che il mondo materiale. Non solo il mondo in quanto tale, come voleva Spinoza, ma proprio il mondo in quanto realtà materiale. Infatti che altro significa l’affermazione che egli, Einstein, prova una sconfinata ammirazione, simile in qualche modo al sentimento religioso, per la struttura del mondo che la scienza ha fin qui potuto rivelare? Egli dunque non si limita a dire che il solo “dio” che può adorare è il mondo, ma precisa quel mondo che la scienza ha fin qui potuto rivelare (e si noti il vero “rivelare”, che, in un amico di Freud, tradisce l’afflato mistico assai vicino al concetto della fede rivelata, che però coscientemente viene respinta nel regno delle favole). Si noti anche la specificazione temporale: fin qui; come dire che, se un domani le ”rivelazioni “ della scienza dovessero darne titolo allo scienziato, francamente non sapremmo dire come, allora anche le opinioni spirituali, mistiche o religiose, ciascuno scelga il vocabolo che preferisce, potrebbero, anzi dovrebbero, secondo logica, cambiare. Se infatti è la scienza a dirci tutto del mondo, è chiaro che sarà ancora e sempre la scienza a dirci in che cosa credere, in che cosa è ragionevole che un uomo di scienza creda.
Nessun sospetto, in Einstein, che la scienza (e lasciamo perdere il fatto che gli non ne dà una definizione, per cui chiunque può mettervi dentro i contenuti che preferisce), dopotutto, possa darci l’immagine del mondo in un certo ambito e sotto un certo aspetto, non una visione assoluta e totale. Se pretende di farlo non è più scienza, ma filosofia: una cattiva filosofia che si traveste da scienza.
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