La verità del Manifesto di Ventotene
Mar 22, 2025
di Fabio Trevisan
Grande gazzarra in aula alla Camera ieri sul Manifesto di Ventotene al punto che il Presidente Fontana ha sospeso la seduta. La premier Giorgia Meloni è stata chiara e dura su quel documento, dissociandosene dicendo “nella manifestazione di sabato a piazza del Popolo e anche in quest’aula è stato richiamato da moltissimi partecipanti il Manifesto di Ventotene: spero non l’abbiano mai letto, perché l’alternativa sarebbe spaventosa”. Sul Manifesto proponiamo questa nostra valutazione.
“Il popolo europeista risponde numeroso alla chiamata di Michele Serra…davanti al palco in piazza del Popolo a Roma almeno 30 mila persone…”. Così titolava il quotidiano “Avvenire” all’indomani della cosiddetta “onda blu per l’Europa”, ove Corrado Augias ha evocato il luogo fondativo dell’unità europea: “Oggi questa piazza è di nuovo Ventotene”. Avvenire ha precisato che Ventotene è l’isola dove Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e altri elaborarono il manifesto fondativo dell’unità europea. Davvero le cose stanno così? Che cosa realmente fu il Manifesto di Ventotene? Perché, al contrario, quel Manifesto è incompatibile con i principi e i valori della Dottrina sociale della Chiesa?
Nell’agosto 1941 il testo di Ventotene venne scritto con il sottotitolo significativo “Per un’Europa libera e unita” e suddiviso in 4 parti, di cui la prima titolava: “La crisi della civiltà moderna”. Già dalle prime righe si evidenziava l’inconciliabilità con i principi della Dottrina sociale della Chiesa e, soprattutto, con una visione cristiana della persona e della vita. Ecco le prime righe del Manifesto: “La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita”. Sottolineando il “principio della libertà” e l’uomo quale “autonomo centro di vita”, il Manifesto di Ventotene escludeva ogni riferimento alla dignità trascendente della persona e alla presenza di Dio nel mondo e affidava alla sola “libertà” e “autonomia”, accentuate nella loro radicalità, i principi supremi della rinascita europea.
Pur essendo consapevoli del contesto in cui fu scritto, ossia nel clima della seconda guerra mondiale e nell’affermazione del totalitarismo e dello stato di isolamento in cui si trovarono gli estensori del Manifesto stesso, il documento rivela una visione diametralmente opposta a quella cristiana, quando nella seconda parte (“I compiti del dopo guerra – l’ unità europea”) si evidenziava il progressismo socialista quale rimedio dei mali: “I grandi proprietari fondiari e le alte gerarchie ecclesiastiche, che solo da una stabile società conservatrice possono vedere assicurate le loro entrate parassitarie…tutte queste forse reazionarie, già fin da oggi, sentono che l’edificio scricchiola e cercano di salvarsi”. Il rimedio, per i firmatari del Manifesto, era, testualmente, l’organizzazione razionale degli Stati Uniti d’Europa, ossia la federazione europea l’unica garanzia concepibile…in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo. Nel finale di questa seconda parte del documento si esortava con queste parole: “Occorre fin d’ora gettare tra le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovo organismo, che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa” (alla faccia dell’umiltà!) e, continuava, con evidenti richiami alla più stretta attualità: “Costituire un largo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni”.
Nella terza parte (“I compiti del dopo guerra. La riforma della società”) si esplicava senza alcun velo la trama del Manifesto: “La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita…il principio fondamentale del socialismo è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma -come avviene per forze naturali – essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime”. E ancora, tanto per precisare la contraddizione con i principi della Dottrina sociale della Chiesa, si legge: “La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio…non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un’attività necessariamente monopolistica, sono in grado di sfruttare la massa dei consumatori”. Un po’ più avanti si legge ancora: “Le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto di proprietà e il diritto di successione hanno permesso di accumulare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire, durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti parassitari”.
Nella quarta e ultima parte (“La situazione rivoluzionaria: vecchie e nuove correnti”) si inneggiava ideologicamente alla rivoluzione e alla libertà senza freni: “Sarà il trionfo delle tendenze democratiche. Esse hanno innumerevoli sfumature che vanno da un liberalismo molto conservatore, fino al socialismo e all’anarchia…auspicano la fine delle dittature immaginandola come la restituzione al popolo degli imprescrittibili diritti di autodeterminazione”. Credo sia doveroso sottolineare come, in nome di una rivoluzione libertaria, si affermi un principio, quello dell’autodeterminazione, che cozza contro la visione cristiana della persona e della vita. Abbiamo visto come, nel nostro tempo, il diritto all’autodeterminazione, concependosi come rigorosamente autonomo, slegato dal riconoscimento della presenza di Dio nel mondo, abbia perpetrato delitti contro la vita (aborto), contro il matrimonio (divorzio).
Ricordiamo qui, a beneficio della memoria storica, che Ernesto Rossi fu nel 1955, con Leo Valiani, tra i fondatori del Partito Radicale, nel quale militò per sette anni, condividendo successivamente con Marco Pannella e Gianfranco Spadaccia le battaglie anticlericali e per i cosiddetti “diritti civili”. Eugenio Colorni, altro firmatario di Ventotene, fu fondatore del PSIUP (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria) e Altiero Spinelli fu eletto eurodeputato nel gruppo comunista dal 1979 al 1986. Non va neppure dimenticato, per doverosa memoria storica, che nel 2016 Renzi, la Merkel e Hollande deposero “fiori europei” sulla tomba di Altiero Spinelli a Ventotene.
Questo richiamo al Manifesto di Ventotene del 15 marzo scorso ha fatto accorrere da tutta Italia appartenenze trasversali (anche dal mondo cattolico) e, a dire il vero, non so quanti di loro abbiano letto il contenuto di quel Manifesto del 1941, che chiudeva con queste righe: “Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso…la via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà”.
FONTE : Osservatorio Card. Van Thuan
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