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La mancanza di fiducia e la paura di accogliere i bambini

human life international universitari per la vita Nov 07, 2024

da Universitari per la Vita

Per decenni, attivisti pro-life come il fondatore di Human Life International, p. Paul Marx, hanno avvertito che la vera minaccia che incombe sul mondo non è la sovrappopolazione, ma piuttosto lo spopolamento.

Nel fare questa affermazione, tali voci profetiche andavano controcorrente, per usare un eufemismo. Il loro punto di vista è stato soffocato da una cacofonia di voci che proclamavano una catastrofe imminente e apocalittica se le nazioni non avessero concentrato le loro risorse sulla riduzione del tasso di natalità.

I profeti pro-life vedevano l’enorme energia che veniva riversata nella diffusione di questa propaganda apocalittica sulla sovrappopolazione, insieme ai massicci investimenti nella contraccezione e nell’aborto e alla promozione di una nuova etica sessuale basata interamente sui concetti di “libertà” e piacere.  Sapevano che inculcare una mentalità anti-vita nel cuore della nostra cultura avrebbe prodotto il frutto marcio di una società senza speranza e di conseguenza senza figli (baby-less), una cultura che alla fine avrebbe avuto difficoltà a riprodursi.

I politici e i burocrati che si erano fatti prendere dall’isteria della sovrappopolazione erano così concentrati sull’apparente problema della sovrappopolazione da non riuscire a concepire la possibilità che, nel tentativo di “risolvere” questo problema, stessero di fatto creando le condizioni per un problema ben peggiore in futuro.

Come sono cambiate le cose negli ultimi anni! Ora si scopre che gli stessi media liberali, i politici e i burocrati che proclamavano a gran voce la fine di tutto a causa della sovrappopolazione, cominciano a preoccuparsi per i numerosi problemi economici e sociali posti dall’improvviso e scioccante (per loro) calo delle nascite e dall’imminente collasso demografico.

In tutto il mondo sviluppato, numerose nazioni hanno iniziato a lanciare costosi programmi sociali volti ad aumentare il tasso di natalità. Questi programmi offrono ogni sorta di incentivo alle coppie per accogliere più figli, tra cui generose agevolazioni fiscali, accesso a prestiti a basso interesse, veicoli sovvenzionati e pagamenti in contanti.

Questo avviene dopo decenni in cui molte di queste stesse nazioni hanno versato miliardi di dollari in contraccezione e aborto “gratuiti”. Alcune hanno finanziato programmi che hanno inondato le scuole di propaganda sulla sovrappopolazione e di un’educazione sessuale perversa che enfatizzava la sterilità piuttosto che l’importanza del matrimonio e della famiglia e il legame intrinseco tra sessualità e procreazione.

Tuttavia, un recente e preoccupante articolo del Wall Street Journal racconta come questi frenetici sforzi dei governi delle nazioni sviluppate stiano cadendo nel vuoto.

L’articolo esordisce così: «Immaginate se l’avere figli fosse accompagnato da più di 150.000 dollari di prestiti a basso tasso d’interesse, da un minivan sovvenzionato e da un’esenzione a vita dalle tasse sul reddito. La gente avrebbe più figli? La risposta, a quanto pare, è no».

L’articolo prosegue notando che il calo delle nascite «ha colpito l’Europa più duramente e più velocemente di quanto i demografi si aspettassero». In effetti, il calo è stato così forte che la popolazione europea ha già iniziato a diminuire e si prevede un crollo di circa 40 milioni di persone entro il 2050. 

A livello politico, la risposta al calo delle nascite è stata quella di seguire un approccio simile a quello utilizzato per combattere la sovrappopolazione. Si sta cercando di usare il potere dello Stato per incentivare i comportamenti che potrebbero risolvere il nuovo problema. Ma questi sforzi, finora, non hanno dato i risultati sperati.

Come riporta il Wall Street Journal: «L’Europa e altre economie asiatiche con problemi demografici, come la Corea del Sud e Singapore, hanno contrastato per una generazione il declino demografico con lauti sussidi parentali. Eppure, il calo della fertilità è persistito in quasi tutte le fasce d’età, i redditi e i livelli di istruzione. Chi ha molti figli spesso dice che li avrebbe avuti anche senza i sussidi. Chi non li ha dice che i sussidi non fanno la differenza».

Questo è vero anche nelle nazioni che hanno investito il maggior numero di risorse nell’aumento del tasso di natalità. L’Ungheria, ad esempio, viene spesso presentata come un caso esemplare di Nazione che prende sul serio la questione demografica e attua politiche a favore della famiglia che rendono attraente per le coppie avere più figli. Essa ha speso annualmente più del 5% del suo PIL – più delle spese militari – in programmi per aumentare le dimensioni delle famiglie. Eppure, nonostante tutto questo, il tasso di natalità è attualmente di circa 1.5 figli per donna, superiore a quello di molte altre nazioni europee, ma ben al di sotto del tasso di natalità di sostituzione, pari a 2.1 figli per donna.

Allora, perché i programmi estremamente generosi finanziati dal governo fanno così poca differenza nello spostare l’ago della bilancia dei tassi di natalità? Dopo tutto, nei sondaggi, un numero significativo di coppie indica le difficoltà economiche come una delle ragioni principali per cui esitano ad accogliere altri figli. Ridurre gli attriti economici legati all’avere figli non dovrebbe indurre queste coppie ad averne di più?

La risposta alla domanda è riassunta con sorprendente franchezza da una giovane donna ungherese intervistata per l’articolo del Wall Street Journal. Orsolya Kocsis, una ventottenne che vive a Budapest, ha raccontato al giornale di essersi resa conto che, se lei e suo marito mettessero al mondo due figli, sarebbero immediatamente in grado di acquistare una casa più grande, grazie a un generoso programma di prestiti sovvenzionati dal governo: «Se dicessimo che avremo due figli, potremmo praticamente comprare una nuova casa domani. Ma moralmente non mi sentirei a posto se avessi messo al mondo una vita per comprare una casa».

Sebbene abbia ragione sul fatto che la possibilità di comprare una casa non sia la migliore ragione possibile per accogliere dei bambini, ciò che il suo commento tradisce è la convinzione di fondo che accogliere dei bambini non sia una cosa buona e desiderabile in sé. Lo scopo del programma governativo non è quello di rendere facile l’acquisto di una casa. Il punto è facilitare l’accoglienza dei bambini (per i quali è necessaria una casa). Ma lei non vuole!

Dunque, l’ipotesi che le coppie spesso vogliano accogliere dei figli ma esitino a causa di ostacoli economici potrebbe essere semplicemente sbagliata.

Il problema fondamentale non è tanto economico quanto culturale (e, in ultima analisi, spirituale). Come si legge nel sottotitolo di un recente articolo di The Week, «il declino della fertilità in America non riguarda solo i soldi. Si tratta di una società che non ama i bambini».

L’autrice dell’articolo, una giovane mamma di un bambino, elenca una serie di aneddoti su come le persone che conosce abbiano espresso un’antipatia viscerale nei confronti dei bambini, che sembrano vedere semplicemente come destabilizzanti e sgradevoli. Il senso è quello di evidenziare che, come cultura, non vediamo più i bambini come normali e belli, ma piuttosto come un’invasione nel nostro stile di vita da adulti liberi e disinvolti.

Nelle nostre conversazioni quotidiane, l’intera discussione sui tassi di natalità si distingue per un’assenza evidente: un qualsiasi tipo di analisi più profonda e spirituale. Quando si tratta di qualcosa di così profondamente umano come la genitorialità, le analisi che si concentrano semplicemente su questioni estrinseche, come le tendenze economiche o ambientali, sono destinate a non cogliere il punto.

Leggendo molti articoli sull’inverno demografico, si percepisce un presupposto più profondo, spesso taciuto, a cui si accennava sopra. Molte coppie intervistate parleranno delle sfide economiche legate all’accoglienza dei figli o esprimeranno i loro timori per il degrado ambientale del pianeta e per l’impatto che l’accoglienza di un figlio potrebbe avere. Ma ciò che diventa subito evidente è che, alla base, semplicemente non vogliono accogliere bambini. Perché? Perché hanno paura.

In alcuni recenti commenti, il Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, ha colto la radice del problema. Rispondendo a una domanda dell’intervistatore sulla preoccupazione del Santo Padre per il basso tasso di natalità, il cardinale Parolin ha dapprima risposto esortando gli Stati a prendere misure pratiche e proattive per aumentare il tasso di natalità.

Successivamente, ha sottolineato l’urgente necessità di un approccio pastorale della Chiesa per inculcare la virtù della speranza nelle persone osservando che «senza la speranza, senza la profonda convinzione dell’aiuto della Provvidenza nella nostra vita, senza questa apertura all’aiuto che viene da Dio, ogni difficoltà, anche se reale, sembrerà ingigantita, e gli impulsi egoistici avranno maggiore libertà di imporsi».

Queste brevi osservazioni contengono una grande saggezza. La realtà è che molte coppie chiaramente non hanno speranza, in gran parte perché mancano di una visione trascendente. Per tutta la vita sono stati immersi nei presupposti fondamentalmente secolari e individualisti della nostra cultura, fino a non poter nemmeno immaginare che possa esistere un’alternativa.

Per loro, le relazioni sono fondamentalmente la ricerca dell’auto-realizzazione e di un senso superficiale di felicità. Inoltre, senza credere in un Dio o nella Provvidenza, presumono di dover pianificare perfettamente la propria vita per raggiungere questa felicità. Devono, per quanto possibile, espellere dalla loro vita qualsiasi accenno al non pianificato o all’inaspettato. Sicuramente devono evitare tutte le circostanze che potrebbero portare a una sofferenza inaspettata.

Per questo motivo, molte coppie non riescono a pensare di correre il rischio di accogliere dei figli, così come molte coppie non riescono più a correre il rischio di sposarsi. In entrambi i casi, sono terrorizzate dalle incognite. Sono terrorizzate dal fatto che, se dovessero incontrare circostanze difficili lungo la strada, non avrebbero la forza di affrontarle e superarle.

La speranza, in definitiva, è una virtù teologale. Ma senza credere in Dio, le giovani coppie non sono in grado di ricevere questa virtù. Nella loro visione manca la narrazione trascendente che ha permesso alle generazioni dei nostri antenati di accettare il rischio come parte inevitabile della vita, ma che, vista dal punto di vista del Divino, aggiunge solo un ulteriore significato alle nostre vite. Sì, la sofferenza può arrivare, ma “con Dio tutto è possibile”. Anche le peggiori sofferenze possono essere precursori di una nuova resurrezione, se vengono accettate con fede e coraggio.

Questa è l’energia che la visione religiosa del mondo e la grazia di Dio possono impartire. Ma nella nostra società spiritualmente priva di risorse, le coppie sono state private dell’accesso alle ricchezze spirituali che darebbero loro la speranza e il coraggio di abbracciare percorsi incerti, compreso quello più significativo di fondare una nuova famiglia. Finché non si affronteranno le radici spirituali di questo problema, è altamente improbabile che qualsiasi generoso programma di incentivi governativi possa scongelare il nostro inverno demografico.

Articolo pubblicato su Human Life International

 

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