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La fede nelle poesie di Michelangelo

antonio tarallo la nuova bussola quotidiana michelangelo Feb 20, 2024

di Antonio Tarallo

Il 18 febbraio ricorrono i 460 anni dalla morte di Michelangelo Buonarroti. Oltre che per i suoi dipinti e le sue sculture, l’artista si distinse anche per le sue poesie, dove emerge la consapevolezza della propria miseria e il suo rapporto personale con Dio.

«Ma il libro aspetta l’immagine / È giusto. Aspettava il suo Michelangelo. (...) Nel Vaticano è posta una cappella, che aspetta il frutto della tua visione! / La visione aspetta l’immagine. (...) E proprio qui, ai piedi di questa stupenda policromia sistina, / si riuniscono i cardinali – / una comunità responsabile per il lascito delle chiavi del Regno. / Giunge proprio qui. / E Michelangelo li avvolge, tuttora, della sua visione». Sono versi di san Giovanni Paolo II, il pontefice poeta, contenuti nel Trittico Romano, libro di poesie del 2003, che potrebbe definirsi il testamento poetico del pontefice polacco.

La memoria di WojtyƂa, che ormai anziano e malato pensava al suo incontro con Dio, andava proprio all’autore di quella magnifica testimonianza di arte e fede che è la Cappella Sistina, dove colori e forme si condensano e si fondono in perfetta armonia e raccontano Dio. La mano che ha realizzato quei colori e quelle forme è più che nota. È la mano di Michelangelo Buonarroti (6 marzo 1475 – 18 febbraio 1564).

Sono trascorsi 460 anni dalla sua morte, eppure Michelangelo sembra che abbia qualcosa da dirci sempre di nuovo, non solo con le immagini ma anche con le parole, o meglio, con i versi. I suoi. Oltre alla famosa produzione pittorica e scultorea, infatti, l’artista rinascimentale non poche volte ha voluto narrare in versi il suo animo. Ma di cosa scriveva Michelangelo? Di tutto. Versi e dipinti, colori e parole, rappresentano il poliedrico mondo michelangiolesco che potrebbe sintetizzarsi così: un corpo radicato nel mondo ma un’anima rivolta al Cielo. Per quanto concerne l’opera pittorica e scultorea, quella tipica plasticità delle figure che ha reso nei personaggi ritratti, riesce a donarci una testimonianza visibile di cosa rappresenti la fede per Michelangelo: entrare nel mistero dell’uomo per scovare i tratti di Dio. E nelle sue rime avviene lo stesso processo perché in quelle parole, in quei versi, è incastonata la sua spiritualità. Ancora più intima.

Sfogliando le pagine delle sue poesie, ci troviamo davanti al racconto di alcune virtù cristiane quali la speranza e la carità fraterna. Ma non solo. Colpisce non poco come lo stesso artista, abituato alle corti papali, allo sfarzo dei palazzi di nobildonne e signori d’epoca, possa redigere meditazioni profonde sul peccato e sulla morte. In più occasioni Michelangelo sembra dirci: la mia anima vorrebbe spiccare il volo solamente verso il cielo, ma purtroppo è racchiusa in un corpo incline a sensazioni terrene. Tutto ciò è racchiuso in quelle parole che l’artista segna sul foglio e che conservano tutta la bellezza di una sorta di diario spirituale, un registro nel quale racchiudere questo anelito verso Dio.

Michelangelo si vede soprattutto peccatore, fragile e profondamente piccolo davanti alla grandezza di Dio che è soprattutto Misericordia. È il caso di questi versi: «Le favole del mondo mi ànno tolto / Il [t]empo dato a contemplare Dio / Né sol le gratie sue poste in oblio / Ma con lor, più che senza, a pechar volto / Quel c[h]’altri saggio me fa cieco e stolto / E tardo a riconoscer l’error mio; / manca la speme, e pur cresce ‘l desio / che da te sie dal [pro]prio amor disciolto». È una vera e propria confessione dei peccati: l’artista rinascimentale, dopo aver compreso di aver sprecato tempo nell’inseguire «le favole del mondo», chiede a Dio la possibilità di uscire fuori dal suo egoismo, da un amore rivolto solo a sé stesso.

«Ammezzami la strada c[h]’al ciel sale / Signore mio caro, e a quel mezzo solo / Salir m’è di bisogno la tua ‘ita. / Mectimi in odio quanto ‘l mondo vale / E quante sue bellezze onoro e colo, / c’hanzi morte caparri eterna vita. / Non è più bassa o vil cosa terrena / Quel che, senza te, mi sento e sono / Ond’a alto desir chiede perdono / La debile e mie propria stanca lena». In questi altri versi, ancora una volta, Michelangelo chiede aiuto a Dio affinché possa seguire «la strada c[h]’al ciel sale». E per fare ciò non vi è altro mezzo che sfuggire da tutto ciò che è mondanità: «Mectimi in odio quanto ‘l mondo vale / E quante sue bellezze onoro e colo». Solo in questa maniera sarà possibile poter acquisire l’«eterna vita».

La poesia di Michelangelo Buonarroti, inoltre, molto spesso diviene anche preghiera: «Deh, fammiTi vedere in ogni loco:/ se da mortal bellezza arder mi sento, / a presso al Tuo mi sarà foco ispento / e io nel Tuo sarò, com’ero, in foco. / Signor mie caro, i’ Te sol chiamo e ’nvoco / contra l’inutil mie cieco tormento: / Tu sol puo’ rinnovarmi fora e drento / le voglie e ’l senno e ’l valor lento e poco». In questi versi è possibile notare quanto la ricerca di Dio sia fondamentale per l’uomo Michelangelo: l’artista invoca Dio nel proprio tormento personale e l’aggettivo che usa per la parola «Signore» è «caro», testimonianza del suo filiale rapporto con Dio.

Ma anche l’epistolario è prova di un uomo di fede. Basterebbe scorrere le pagine de Le lettere di Michelangelo Buonarroti pubblicate coi ricordi ed i contratti artistici, volume curato da Gaetano Milanesi ed edito nel 1875 da Le Monnier, per rendersene conto. I riferimenti a Dio sono ben evidenti: tra le righe del voluminoso epistolario, la parola «Dio» compare 232 volte e la parola «Iddio» 23.

Michelangelo ha lasciato in eredità al mondo un insieme di opere che riescono a dimostrare come l’arte possa essere uno dei più validi strumenti per avvicinarci a Dio. La Pietà della basilica di San Pietro e il Giudizio Universale della Cappella Sistina sono molto probabilmente gli esempi più importanti. Nella scultura michelangiolesca, il volto della Vergine è colto nella sua incorruttibilità: è vergine, senza nessuna macchia. E Cristo, adagiato sulle gambe della Madre, sembra colto da un sonno profondo: non è morto, aspetta solo la Resurrezione. Volti, panneggi, corpi, espressioni del viso che rappresentano una delle pagine di teologia più belle e più immediate. L’arte, quando parla veramente del divino, non ha bisogno di tante parole perché arriva dritta al cuore di ogni spettatore-fedele. Nel caso della Pietà è tutto racchiuso in quel marmo: ancora oggi parla come ieri, con la stessa vitalità. Così come la fede.

FONTE : La Nuova Bussola Quotidiana

 

 

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