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L’invenzione del vero, romanzi antichi e nuovi – R.L. Stevenson: “Il Signore di Ballantrae”

paolo gulisano ricognizioni Dec 02, 2022

di Paolo Gulisano

Il 30 Novembre, sant’Andrea, la Scozia celebra il proprio Santo Patrono. Si tratta anche di una sorta di Indipendence Day, in cui il piccolo e glorioso Paese rimarca la propria identità (la Croce di sant’Andrea è la bandiera della Scozia) e il proprio anelito alla libertà. Per ricordare questa terra e questa causa, vogliamo proporre la rilettura di un’opera di uno dei più grandi scrittori scozzesi, Robert Louis Stevenson: The Master of Ballantrae. Forse non è l’opera più famosa dell’autore di Dottor Jekyll e Mister Hyde e dell’Isola del Tesoro, ma è un romanzo di avventura arricchito di profonde analisi psicologiche che è ambientato in uno dei periodi più drammatici della storia scozzese: la perdita – nel corso del XVIII secolo – dell’indipendenza.

È la storia di un lungo conflitto attraverso gli anni tra due fratelli eredi di una famiglia nobile scozzese divisa dalle scelte politiche. Quando infatti, nel 1745, sbarca l’ultimo erede della Casa Reale di Scozia, gli Stuart, per cercare di sollevare il Paese e riconquistare la libertà, si pone alla nobiltà un grave dilemma, che l’anziano Lord, il padre dei protagonisti James e Henry, cerca di risolvere con scaltra diplomazia. Da che parte schierarsi in un conflitto che non era solo una guerra d’indipendenza nei confronti della Gran Bretagna, ma anche uno scontro civile, dal momento che una buona parte degli scozzesi era schierata con gli inglesi, soprattutto per motivi religiosi, dato che gli Stuart erano cattolici?

Porsi dalla parte del Principe Charles Edward Stuart significava, se questi fosse stato sconfitto, rischiare la confisca da parte inglese delle proprie terre, che sarebbero state poi date in amministrazioni a rapaci rivali dei signori di Ballantrae. D’altra parte, schierarsi contro il Principe, in caso invece di vittoria di questi, avrebbe comportato che, nel nuovo ordine che avrebbe fatto seguito, sarebbero stati visti come dei nobili che non avevano dato il loro supporto alla giusta causa. Così, il vecchio Lord arriva a una decisione di compromesso: lui sarebbe stato assolutamente alla finestra, senza prendere alcuna posizione, mentre i suoi figli si sarebbero impegnati sui fronti contrapposti.

Così James – peraltro molto volentieri – si unisce ai ribelli giacobiti del Principe Charles, mentre Henry si schiera con la Corona inglese. Così, qualunque fosse stato l’esito della guerra, la Casa e tutte le sue proprietà si sarebbe trovata dalla parte del vincitore. Un pragmatismo politico moralmente disonesto, che finisce per porre i figli l’uno contro l’altro. Le ragioni economiche prevalgono sul cuore, sull’amore tra fratelli.

La storia è una sorta di rovesciamento della parabola del Figliol prodigo. James, che aveva scelto di mettere la sua spada al servizio della ribellione – una scelta voluta e dovuta, visto il suo carattere avventuroso – esce sconfitto e diventa un ricercato da parte delle autorità britanniche. Deve vivere sotto falso nome, e non può tornare a casa, dove sarebbe immediatamente arrestato. Henry diventa così erede della tenuta, anche se non può assumere per sé il titolo, spettante al fratello finché non ne sia stata accertata l’eventuale morte.

Passano alcuni anni, e il dolore continua a gravare sulla famiglia. Henry si sposa con una giovane che non lo ama veramente, dal momento che fin da ragazza era stata innamorata di James. I suoi concittadini non lo stimano, mentre il fratello James viene ricordato con crescente nostalgia e ammirazione. Il padre passa il suo tempo in lutto per il favorito figlio maggiore perduto.

Un giorno, tuttavia, giunge alla proprietà un ex militare irlandese, il colonnello Francis Burke, che aveva combattuto nella Rivolta Giacobita a fianco del Principe Charles ed era stato in contatto con James. Egli porta delle lettere del Master, che è ancora vivo e risiede in Francia. Dalle memorie del colonnello Burke vengono ricostruite le vicende di James dopo la disfatta giacobita e le sue disavventure in esilio. Un itinerario personale che lo porta ad allontanarsi sempre di più dagli ideali romantici della ribellione, e a diventare un pirata.

Prendono il via una serie di avventure nelle quali Stevenson torna ai temi e ai luoghi a lui consoni: navigazioni oltre l’Oceano, scontri, combattimenti. Le notizie che periodicamente giungono in Scozia, parlano dei viaggi per il mondo di James, la cui presenza viene segnalata perfino in India, finché nel 1756, dieci anni dopo la conclusione della Rivolta giacobita, il Master fa ritorno a casa.

È il momento decisivo dello scontro tra i due fratelli, che nel frattempo sono profondamente cambiati. James è divenuto crudele e senza scrupoli, mentre Henry ha subito una involuzione psicologica, diventando sempre più fragile e instabile. Lo scontro non termina in Scozia, ma si trasferisce di nuovo in America, dove James tenta di recuperare il tesoro che aveva nascosto a suo tempo. Henry prende la decisione di inseguirlo, di cacciarlo e, divorato dallo stesso odio che ha sempre animato il fratello nei suoi confronti Henry cerca di ucciderlo. Alla fine i due fratelli, che tanto si erano odiati, muoiono quasi nello stesso momento e vengono sepolti l’uno accanto. Un esito terribile, in un clima quasi da tragedia greca, dove incombe inesorabile l’ombra di un destino già segnato.

 

 

 

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