L’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche
Jun 07, 2024Cari amici della Brigata vi proponiamo la lettura di questo interessante saggio.
L’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche
La storia. Il significato. Le obiezioni. Le indicazioni civili e pastorali
Nella storia della Chiesa l’immagine del Crocifisso si trova inserita in periodi diversi collegati alle vicende del tempo. Agli inizi del Cristianesimo, non si mise in evidenza la figura del Signore Gesù che moriva in Croce perché questo tipo di condanna era riservato ai peggiori malfattori. Da qui un silenzio dei primi Cristiani. Tale orientamento espresse un rispetto verso Dio che salva, ma anche un’attenzione ad ambienti ove si faticava a comprendere il significato della Passione e Morte di Cristo. Malgrado ciò, i riferimenti al Messia agonizzante sono ben presenti nei Vangeli, e lo stesso San Paolo affermerà con molta chiarezza: «Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio».[1]
In seguito, con l’apporto della Patristica e di diversi scrittori cristiani venne valorizzato sempre più il senso salvifico della morte del Redentore in croce. Di conseguenza, il «signum crucis» assumerà dei significati sempre più profondi, seguendo una precisa idea teologica: la Chiesa nasce dal costato trafitto di Cristo, e Maria, sotto la Croce, diventa la Madre della Chiesa.
Con il trascorrere del tempo, e con le diverse politiche che hanno segnato (e che segnano) la vita di molteplici Paesi, si è arrivati all’epoca moderna nella quale sono diverse le correnti di pensiero e le posizioni di confessioni religiose che reclamano una più aperta valorizzazione dei propri simboli, o che chiedono esplicitamente l’abolizione dei crocifissi dai pubblici ambienti. In tale contesto, può essere utile, allora, evidenziare il significato del Crocifisso, unitamente a taluni aspetti dell’attuale dialogo inter-religioso.
Quando in epoca antica le autorità ecclesiastiche vollero evidenziare la centralità della Crocifissione di Cristo, intesero con tale scelta far memoria di una «Passio» che si concludeva però con la Risurrezione del Signore. La croce, quindi, non era segno di un fallimento ma di un passaggio verso la vittoria. Tale evento di gloria, di trionfo, proprio perché libera ogni persona dalla morte e dal peccato, ricevette un posto centrale nelle chiese. Nel corso dei secoli, poi, la «lectio Crucis» venne anche inserita nella catechesi. Essa indicava (e indica) un itinerario di conversione, di scelta radicale a favore dell’unico Dio Padre e Creatore, di impegno nella Chiesa, di donazione gratuita, di sacrificio, di fraternità quotidiana. In tal senso, ogni corrente spirituale, meditando sulla «Passio Christi» nel Disegno Redentivo, cercò di evidenziare alcuni aspetti del Mistero salvifico. In Occidente (XIII secolo) emerse la tendenza a valorizzare la figura del «Christus patients» (sofferente) e quella del «Christus triumphans» (redentore e glorioso). In Oriente vennero accentuati gli aspetti del «Christus triumphans».[2]
Presentando alla contemplazione dei fedeli il «Christus patients» la mistica medievale occidentale volle trasmettere un messaggio di riflessione e di partecipazione. Di riflessione: perché la morte di Cristo non si colloca in un venerdì impazzito. Di partecipazione: perché ogni Cristiano in vari momenti della sua vita può unire le proprie sofferenze a quelle del Salvatore per il bene della Chiesa. In tal senso, contributi omiletici e scritti ascetici evidenziarono l’ubbidienza del Signore Gesù al Padre, il cosciente cammino del Salvatore verso la sua «Ora», l’accettare una morte ignominiosa per il Messia. In tale contesto, specie il movimento francescano[3], nelle sue diverse espressioni storiche, volle invitare i fedeli a spezzare con tutti il pane della fraternità, a camminare lungo la Via Crucis, a riconoscere nei segni della Passione le manifestazioni del vero Amore. In ogni convento, e lungo le strade, si costruirono cappelle, edicole, stazioni, raffiguranti un episodio del procedere di Gesù verso l’esecuzione della sua condanna. Fautori di una religiosità umanizzata, nella quale un adeguato spazio doveva essere lasciato alla componente emotiva, i religiosi, già dal XIII secolo, cercarono di far comprendere come ogni momento della vita di un Cristiano può diventare un atto di «sequela Christi», di offerta, di donazione totale, specie quando l’esperienza del dolore anche fisico diventava acuta.
Nel «Cristo triumphans» si riflette una spiritualità che troverà accoglienza in Occidente e in Oriente. Il Signore Gesù ha gli occhi aperti, ed è raffigurato usando più colori. Il Redentore è presentato nella sua Maestà. Permane un richiamo alla morte, ma anche alla Risurrezione e pure ad altri aspetti dell’Evento Pasquale. Tale dinamica di gloria serve a far comprendere che ogni fedele è un risorto con Cristo, e che la Redenzione riversa effetti su ogni periodo della storia e su ogni aspetto del Creato. Per questo motivo il «Christus triumphans» è immerso nella luce, non nelle tenebre, ed è circondato anche da coloro che per primi lo hanno seguito. In tempi successivi, intorno a una croce divenuta trono di gloria, gli artisti disegneranno la Chiesa gloriosa in Paradiso e quella pellegrina in terra. Con riferimento a quest’ultima realtà, il volto dei fedeli rimane segnato da una speranza viva, da una Grazia che rinnova e spinge alla missione. Non c’è afflizione.
Il «Christus patiens» segue la linea discendente dell’Incarnazione, mentre il «Christus triumphans» segue la linea ascendente, pur tenendo in considerazione ogni aspetto della vicenda di Gesù di Nazareth. Tali rappresentazioni dell’unico Salvatore sono state evidenziate dall’Apostolo Paolo nella Lettera ai Filippesi: «Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!”, a gloria di Dio Padre».[4]
In tale contesto, si può annotare che l’immagine del «Christus triumphans» richiama, però, più il Vangelo di Giovanni[5] e soprattutto l’Apocalisse, dove il Cristo risorto è il personaggio principale nelle figure dell’Agnello ritto in piedi con i segni del Risorto[6], e dello «Sposo».[7]
Nel contesto fin qui delineato, si è avvertita nel tempo, in modo progressivo, l’utilità di collocare dei piccoli crocifissi nelle scuole, e in diversi ambienti della pubblica amministrazione. Tale scelta non ha avuto un’origine di contrapposizione ad altri credi religiosi ma si è piuttosto inserita in due filoni: quello della memoria, e quello della linea pedagogica. Sul piano della memoria la scelta chiave è stata quella di ricordare che il vero «padrone» non è colui che comanda, ma è Colui che salva dal male, dalla morte. Sul piano pedagogico il Sofferente sulla croce ricorda l’innocenza tradita, il coraggio della verità, e la difesa di ogni figlio di Dio. In definitiva, non si trovano i segni del trionfalismo, dell’esaltazione fine a se stessa, e della gloria terrena. Il Crocifisso infatti muore invocando il perdono del Padre verso l’umanità, e le stesse ferite della Passione diventeranno il primo segno di riconoscimento per incontrare nuovamente i discepoli e per rendere la Chiesa missionaria.
L’affermarsi di nuove correnti di pensiero, specie nel mondo occidentale, ha condotto a un emergere di voci che hanno reclamato l’abolizione del crocifisso dalle scuole e da altri luoghi della pubblica amministrazione. In particolare, è stato affermato che il rispetto per ogni corrente di pensiero deve condurre a una cancellazione di simboli religiosi che possono recare dispiacere, irritazione od offesa in non Cristiani. Tale movimento di pensiero, a sostegno delle proprie posizioni, ha richiamato la laicità dello Stato, la necessità di evitare discriminazioni, il rispetto di quanti, a esempio, professano l’agnosticismo o sono fedeli a varie confessioni: Valdesi, Musulmani, Ebrei e altri. Da tali rivendicazioni, in nome di una protezione dei «diritti delle minoranze», sono derivate iniziative nelle scuole pubbliche e in altri ambienti, manifestazioni corali sulle pubbliche vie, e interventi presso la magistratura.[8] Attualmente, con riferimento all’esposizione del Crocifisso nelle scuole, esiste una situazione articolata in più Paesi.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo accolse, nel 2009, l’istanza di ritirare i crocifissi dalle scuole. In seguito, nel 2011, ha definitivamente respinto la richiesta della rimozione. Nella sentenza definitiva della Grande Camera, pronunciata il 18 marzo 2011 nel caso Lautsi e altri contro Italia (ricorso numero 30.814/06), la Corte ha concluso a maggioranza (15 voti contro 2) che l’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane non viola l’articolo 2 del Protocollo numero 1 alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo relativo al diritto all’istruzione.
Secondo i ricorrenti, la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche in Italia era incompatibile con l’obbligo dello Stato di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di educazione e insegnamento, il diritto dei genitori di garantire ai propri figli un’educazione e un insegnamento conformi alle loro convinzioni religiose e filosofiche.
L’istanza di primo grado della Corte di Strasburgo, con la sentenza del 3 novembre 2009, aveva accolto il ricorso, ma il Governo Italiano aveva chiesto il rinvio del caso davanti alla Grande Camera.
Con la sua decisione, la Corte di Strasburgo ha riconosciuto la sussistenza di un obbligo in capo agli Stati membri del Consiglio d’Europa di rispettare le convinzioni religiose e filosofiche dei genitori non riguardante solo il contenuto dell’istruzione, ma anche le modalità in cui viene essa dispensata, e che finisce per comprendere anche l’allestimento degli ambienti scolastici pubblici.
Poiché la decisione riguardante la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche attiene alle funzioni assunte dallo Stato Italiano, essa rientra pertanto nell’ambito di applicazione dell’articolo 2 del Protocollo numero 1.
Secondo la Corte, se è vero che il crocifisso è prima di tutto un simbolo religioso, non sussistono tuttavia nella fattispecie elementi attestanti l’eventuale influenza che l’esposizione di un simbolo di questa natura sulle mura delle aule scolastiche potrebbe avere sugli alunni per cui non appare che tale esposizione possa integrare un’opera d’indottrinamento da parte dello Stato Italiano atta così a determinare una violazione degli obblighi previsti dall’articolo 2 del Protocollo numero 1.
Infatti, la Corte ha ritenuto che la visibilità preponderante che l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche pubbliche garantisce alla religione cattolica in quanto religione maggioritaria in Italia non sostanzia un’opera di indottrinamento in quanto non si accompagna a un insegnamento obbligatorio del Cristianesimo, lo spazio scolastico è aperto ad altre religioni come dimostra il fatto che venga consentito agli alunni di portare simboli e di indossare tenute a connotazione religiosa, e le pratiche relative alle religioni non maggioritarie sono prese in considerazione.
La Corte sottolinea inoltre come non siano state rilevate nel corso del procedimento pratiche di insegnamento nelle scuole pubbliche italiane volte al proselitismo. Ugualmente ha rilevato come sia pienamente salvaguardato il diritto della ricorrente, in quanto genitrice, di spiegare e consigliare i suoi figli, e di orientarli verso una direzione conforme alle proprie convinzioni filosofiche.
La Corte ha fatto riferimento a una sua precedente giurisprudenza ove aveva affermato il principio per cui il ruolo preponderante di una religione nella storia di un Paese può legittimare lo spazio maggiore che nel programma scolastico venga assegnato a tale religione rispetto alle altre, senza che questo possa costituire un’opera di indottrinamento vietata dalla Convenzione Europea (sentenza Folgerø contro Norvegia, 29 giugno 2007 e Zengin contro Turchia, 8 ottobre 2007).
La Corte ha dunque escluso che l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche pubbliche costituisca una discriminazione vietata dall’articolo 14 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.[9]
La presenza del crocifisso è garantita da una legge del 1949, confermata dal Concordato del 1962. Il simbolo può essere esposto nelle aule scolastiche se almeno metà degli alunni appartiene a una delle confessioni cristiane.
Il crocifisso, come ogni altro simbolo religioso, è proibito nelle scuole statali, provinciali e comunali, mentre è permesso nelle scuole cattoliche.
L’articolo 28 della legge 9 dicembre 1905 vieta espressamente l’esposizione di simboli o emblemi religiosi su monumenti o in spazi pubblici, a eccezione dei luoghi di culto, dei campi di sepoltura, dei musei e delle mostre. A un secolo di distanza il Parlamento Francese, ribadendo la laicità dello Stato, ha approvato a larghissima maggioranza la legge numero 228 del 15 marzo 2004, comunemente indicata come la «legge anti-velo», il cui articolo 1 estende il divieto proibendo, nelle scuole primarie e secondarie, di indossare simboli o indumenti che ostentino l’appartenenza religiosa.
Il crocifisso è esposto solo in Baviera nelle aule delle scuole elementari, dato che il Land è storicamente cattolico. Però, se alcuni studenti obiettano che esso lede la loro libertà di coscienza, le autorità scolastiche aprono un procedimento di conciliazione, che può condurre alla rimozione. Una sentenza della Corte Costituzionale Federale Tedesca del 1995 ha sancito l’incostituzionalità della presenza dei simboli religiosi nelle aule scolastiche.
In Grecia il crocifisso è di norma esposto nelle aule scolastiche.
L’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche italiane venne indicata dalla legge Casati del 1859. Fu poi prevista da due regi decreti (atti normativi non legislativi) del 1924 e del 1928, a tutt’oggi in vigore. Sono relativi alla scuola media e a quella elementare. Non ci sono chiare indicazioni normative per gli altri ordini (materna e superiore). In tale contesto, non c’è una legislazione generale che preveda l’esposizione dei crocifissi in pubblici ambienti. Nel caso dei tribunali, l’obbligo è previsto da una circolare ministeriale. Pur in presenza delle direttive citate, non tutte le scuole in questione si adeguano a esse.
Chi si è opposto alla presenza del crocifisso, lo ha fatto identificando il fatto come una violazione del principio di laicità professato dallo Stato Italiano. I tribunali civili, però, non hanno una competenza in materia. Per i magistrati le indicazioni del Ministero non sono vere e proprie leggi civili, ma provvedimenti amministrativi interni alla scuola. Il giudizio spetta quindi ai Tribunali Amministrativi Regionali.
Per quanto riguarda il Consiglio di Stato, tale organismo si è pronunciato a favore della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche con un parere del 1988 e uno del 2006.
Con riferimento ai pronunciamenti della Cassazione, si ricorda che con sentenza 6 luglio-9 settembre 2021 numero 24.414, le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione hanno stabilito che l’esposizione non è obbligatoria ma nemmeno discriminatoria; che non può essere imposta, però deve essere decisa in autonomia dalla scuola in questione, con un dialogo e un accordo tra le parti coinvolte in un’eventuale confronto, rispettando le diverse sensibilità. Il caso esaminato dalla Corte citata riguarda un istituto professionale statale di Terni (Umbria). Un professore di lettere si era opposto alla direttiva del dirigente scolastico di esporre il crocifisso nelle aule. Ogni volta che faceva lezione, il docente toglieva il crocifisso dal muro, per poi rimetterlo quando usciva dall’aula.
L’insegnante in questione, che era stato sanzionato perché non rispettava la disposizione del preside e si rifiutava di fare lezione con il crocifisso appeso al muro, aveva fatto ricorso chiedendo un risarcimento, dicendo che si era sentito discriminato. Il caso è arrivato fino alla Corte di Cassazione, che ha quindi esaminato l’incompatibilità tra l’ordine di esporre il crocifisso da parte del preside e la libertà di coscienza del professore in questione.
Al riguardo, la Cassazione ha sottolineato che l’esposizione del crocifisso – considerato un simbolo legato alla tradizione culturale del popolo italiano – non può essere intesa come un atto di discriminazione, perché è un simbolo passivo che non comporta alcun atto di adesione da parte degli insegnanti e non ne limita la libertà di insegnamento né quella di esprimere le proprie convinzioni sullo stesso crocifisso.
Allo stesso tempo, però, i giudici hanno stabilito che la circolare che ordinava di esporre il crocifisso nelle aule della scuola era illegittima, perché l’esposizione del crocifisso non può essere imposta, ma deve risultare da un percorso di confronto e mediazione tra le diverse parti all’interno di ogni istituto scolastico. Gli istituti, dice la sentenza, possono decidere in autonomia se esporre o meno il crocifisso, ma la decisione deve originare da un «ragionevole accomodamento» tra eventuali posizioni difformi, e deve essere una «soluzione condivisa nel rispetto delle diverse sensibilità».
La Corte Costituzionale Polacca ha stabilito nel 1993 che un’ordinanza del Ministro dell’Educazione del 1992 – che prevedeva la possibilità di esporre crocifissi nelle aule delle scuole pubbliche – fosse compatibile con la libertà di coscienza e di religione e con il principio della separazione tra Stato e Chiesa garantiti dalla Costituzione polacca, dal momento che questa esposizione non era obbligatoria.
In Inghilterra non è ammessa l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. L’unica eccezione riguarda le scuole confessionali. Al riguardo, con riferimento a questo simbolo è comunque interessante riportare un episodio significativo. È quello accaduto all’infermiera cattolica di Londra Mary Onuoha. Questa donna era stata rimossa dal suo ruolo di praticante del servizio sanitario (NHS) al Croydon University Hospital nel Sud di Londra nel giugno 2020.
Tale provvedimento era stato preceduto da anni di ostilità da parte dei suoi superiori e dei capi del nosocomio stesso. Il suo torto era stato quello di non accettare l’invito a togliersi dal collo o nascondere la catenina che indossava con il crocifisso esposto sul camice. Alla Onuoha è stato chiesto di rimuovere la sua collana nel 2014, 13 anni dopo aver iniziato a lavorare in ospedale, e successivamente nel 2015 e 2016.
Le era stato detto che indossare una collana con un ciondolo a forma di croce era una violazione del «codice di abbigliamento» ospedaliero e che se non l’avesse tolta avrebbe affrontato un’azione disciplinare. Quando Mary Onuoha si è rifiutata, è stata rimossa dalle aree cliniche in cui operava e degradata a vari ruoli amministrativi, fino alla posizione di «receptionist», prima di dimettersi nell’agosto 2020 a causa delle umiliazioni e vessazioni subite per la «croce» che portava al collo.
Forte delle proprie ragioni e sostenuta dal team legale del Christian Legal Center, la Onuoha ha presentato denuncia contro l’ospedale della Croydon University, chiesto il reintegro nelle proprie funzioni, i danni per le vessazioni subite e il pieno rispetto del proprio diritto di libertà religiosa e, dunque, di poter lavorare con in collo e sulla divisa la croce cristiana.
Ha sostenuto che la direzione ospedaliera aveva violato il suo diritto alla libertà di religione ai sensi dell’articolo 9 della Convenzione Europea sui diritti umani, e che il trattamento era una discriminazione religiosa, una molestia e una vittimizzazione ai sensi dell’Equality Act inglese del 2010.
Nella sua sentenza il Tribunale del Lavoro di Londra ha criticato l’ospedale per non aver preso in considerazione i diritti religiosi della Onuoha, e per non aver applicato coerentemente la sua politica del codice di abbigliamento, visto che altre infermiere indossavano in bella mostra altri simboli e ciondoli, hijab, turbanti e braccialetti religiosi.
Di conseguenza, ha ritenuto che il suo licenziamento fosse «senza una causa ragionevole e adeguata» perché «non c’era alcuna spiegazione adeguata del perché questi articoli fossero permessi, ma la collana a croce no».
La sentenza ha notato l’importanza di permettere ai Cristiani di vivere pienamente e pubblicamente la loro fede basata sull’insegnamento biblico, aggiungendo che «impedire ai Cristiani di mostrare la croce è stata una caratteristica di campagne di persecuzione» in tutto il mondo. La stampa inglese ne ha dovuto prenderne atto, e ha rilevato l’importanza della decisione, ribadita dal capo di Christian Concern e Legal Center Andrea Williams. Questi, ha dichiarato come «la sentenza chiarisce che il calvario di Mary è derivato in gran parte dall’incomprensione da parte dei dirigenti del Servizio Sanitario Nazionale (NHS) della guida del Dipartimento della Salute sulle uniformi per il suo personale… Sarebbe facile modificare la guida per chiarire che l’uso di croci da parte del personale medico deve essere consentito».[10]
In questo Paese la Decisione 323 del 2006 del Consiglio Nazionale per la Lotta alla Discriminazione aveva stabilito che il Ministero dell’Educazione deve «rispettare il carattere secolare dello Stato e l’autonomia della religione», e che «simboli religiosi devono essere mostrati solo durante le ore di religione o in aree dedicate esclusivamente all’educazione religiosa». Il caso nasceva dal ricorso di Emil Moise, maestro e genitore della contea di Buzău, che contestava come l’esposizione pubblica di icone ortodosse costituisse una rottura della separazione tra Stato e Chiesa in Romania, e come ciò costituisse una discriminazione contro atei, agnostici e non religiosi.
Tuttavia la decisione del Consiglio Nazionale per la Lotta alla Discriminazione fu successivamente annullata l’11 giugno 2008 dall’Alta Corte di Cassazione e Giustizia Romena, che ribadì che la presenza nelle scuole di icone e simboli religiosi come il crocifisso è del tutto legale.
Nel 2005 venne proposta una Istanza d’arengo per la rimozione del crocifisso da aule e uffici pubblici. L’iniziativa venne poi respinta. In seguito, dopo la sentenza contro l’Italia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 2009, la coalizione di opposizione Sinistra Unita, ha chiesto la rimozione dei crocifissi nelle scuole, con la motivazione di rispettare la laicità nelle scuole. Su tale istanza il Segretario alla Pubblica Istruzione, Romeo Morri, si è pronunciato contro la richiesta sostenendo che: «Mentre i valori del Cristianesimo e del Giudaismo hanno sempre affermato la libertà della ricerca di Dio, le menti intellettualmente povere hanno sempre negato sia la libertà che la ricerca. La disputa sul crocifisso rischia di segnare una regressione culturale e politica, perché limitativa della libertà di pensiero e delle sue manifestazioni, il vero pericolo è di livellare le esperienze religiose in nome della laicità e a costo di contraddire una sensibilità senza dubbio maggioritaria».
Il crocifisso è affisso nelle aule scolastiche dal 1930, ed è tuttora presente, nonostante la Costituzione aconfessionale dello Stato entrata in vigore nel 1978. Nel 2009 il Governo guidato dall’Onorevole José Luis Rodríguez Zapatero ha elaborato un disegno di legge per togliere ogni simbolo religioso dalla scuola pubblica. Il dibattito era già sorto poco prima, quando un giudice di Valladolid aveva deciso di «far ritirare i simboli religiosi dalle classi e dagli spazi comuni» in una scuola della città dopo che alcuni genitori nel 2005 ne avevano chiesto la rimozione.
Nelle scuole pubbliche di Stato non è presente il crocifisso nelle aule. Ci sono invece la bandiera americana e il testo dell’inno nazionale.
In questo Paese il comune di Cadro, nel Canton Ticino, decise di mettere il crocifisso nelle aule scolastiche, ma nel 1990 il Tribunale Federale si pronunciò contro l’esposizione dei crocifissi e per la loro rimozione con la motivazione che «lo Stato ha il dovere di assicurare la neutralità in ambito filosofico-religioso della sua scuola e non può identificarsi con una confessione o religione. Deve evitare che gli studenti siano offesi nelle loro convinzioni religiose dalla continua presenza del simbolo di una religione a cui non appartengono».
La riflessione sul crocifisso nelle scuole consente di rivedere e di accogliere tre principi: quello del pluralismo religioso, quello del dialogo con ogni confessione, e quello del rispetto per ogni orientamento spirituale. Accogliendo il pluralismo religioso, si valorizzano le diverse espressioni spirituali e quindi si tutela anche il simbolo cattolico. Sostenendo il dialogo con ogni confessione si consentono spazi di affissione anche di simboli non cattolici, sulla base di un’intesa tra le diverse componenti di una scuola. Rispettando ogni orientamento spirituale si accettano i percorsi interiori di ogni persona anche quando questi possono negare delle realtà trascendenti.
In tale contesto, la Professoressa Ida Angela Nicotra, dell’Università di Catania, ha scritto che «anche in un orizzonte laico, il Crocifisso è in grado di raccontare tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, rifiuto di ogni discriminazione che sono propri della civiltà italiana. Questi aspetti, accolti tra i principi fondamentali della Costituzione italiana, connotano quella laicità inclusiva che si pone quale vero e proprio metodo di realizzazione di un pluralismo cooperativo all’insegna del dialogo e della piena valorizzazione della persona».[11]
Trent’anni fa Natalia Ginzburg[12], che non apparteneva al mondo cattolico, scriveva parole che meritano tuttora attenzione: «Il crocifisso non genera alcuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. […] Sono quasi 2.000 anni che diciamo “prima di Cristo” e “dopo Cristo”. O vogliamo forse smettere di dire così? […]. Il crocifisso è il segno del dolore umano. […] La croce, che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine della morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i Cattolici, Gesù Cristo è il Figlio di Dio. Per i non Cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo. Chi è ateo cancella l’idea di Dio, ma conserva quella del prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c’è immagine. È vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti. Come mai li rappresenta tutti? Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, Ebrei e non Ebrei e neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà fra gli uomini. […] A me sembra un bene che i ragazzi, i bambini, lo sappiano fin dai banchi di scuola».[13]
AA.VV., La Croce. Iconografia e interpretazione (secoli I-inizio XVI). Volume 1: «Dal mondo pagano al Cristianesimo. Croce e iconografia nel periodo patristico», a cura di B. Ulianich, Elio De Rosa Editore, Roma 2007
M. G. Belgiorno de Stefano, Il crocifisso nelle aule scolastiche in Italia. Una condanna revocata, ma condizionata, dalla Corte Europea dei Diritti Umani, in: «Stato, Chiese e pluralismo confessionale», rivista telematica, www.statoechiese.it, marzo 2011
F. Lombardi, Il Crocifisso nelle aule scolastiche, in: «La Civiltà Cattolica», quaderno 4.104, 19 giugno 2021
P. Remer, Crocifisso in classe: va esposto o no?, in: «La legge per tutti. Informazione e consulenza legale», testata giornalistica «online», Cosenza, 16 settembre 2023
V. Rosci, Storia del crocifisso nelle scuole pubbliche italiane, in: «Diritto.it», Diritto Amministrativo, Maggioli Editore, Rimini, 30 novembre 2006 (sito «online»).
1 Prima lettera ai Corinzi 1, 22-24.
2 A. Paribeni, Dal Christus triumphans al Christus patiens, in: AA.VV., «Storia della civiltà europea», a cura di U. Eco, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 2014.
3 Tale raffigurazione di Cristo sofferente fu diffusa dagli Ordini Mendicanti per sottolineare l’umanità di Gesù. L’immagine suscitava la compassione del fedele e favoriva una maggiore identificazione con la figura di Gesù.
4 Lettera ai Filippesi 2, 6-11. Confronta anche: G. Ravasi, La kénosis di Cristo, in https://www.famigliacristiana.it, 14 aprile 2011.
5 Vangelo secondo Giovanni 1, 51. 11, 4. 11, 27. 20, 31.
6 Apocalisse 5, 1-14.
7 Apocalisse 21, 1.
8 Redazione, I Valdesi contro il crocifisso nelle scuole, in: «Il Post», quotidiano «online», sabato 28 agosto 2010.
9 Sentenza definitiva della Grande Camera della Corte di Strasburgo dd. 18.03.2011 (causa numero 30.814/06, Lautsi e altri contro Italia).
10 L. Volontè, Due sentenze danno ragione ai Cristiani discriminati, in: «La Nuova Bussola Quotidiana», sito «online», 11 gennaio 2022.
11 I. A. Nicotra, Il Crocifisso nelle scuole non divide ma unisce, in: «In Terris. La voce degli ultimi», sito «online», 19 settembre 2021.
12 Natalia Ginzburg, nata Levi (1916-1991). Scrittrice. Drammaturga. Traduttrice. Politica. Figura di primo piano della letteratura italiana del Novecento.
13 N. Ginzburg, Quella croce rappresenta tutti, in «Unità», 22 marzo 1988.
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