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L’attesa di qualcosa che riempia il cuore

costanza miriano hanno ucciso l'uomo ragno il blog di costanza miriano Nov 08, 2024

di Costanza Miriano

Di solito a casa quando qualcuno guarda la tv le sfreccio come una meteora, facendo altro. Oppure mi fermo qualche secondo, do il mio parere (non richiesto), faccio una veloce critica, predìco un finale (lo sbaglio sempre), e poi ricomincio a fare quello che stavo facendo. Qualche sera fa, però, i pochi secondi si sono allungati. Sono diventati un minuto, poi due, da in piedi mi sono messa seduta sul bracciolo del divano. I minuti sono diventati dieci e il bracciolo è diventato cuscino. Alla fine ho deposto il cesto dei panni, e mi sono lasciata risucchiare. Mio marito stava guardando la serie sugli 883, Hanno ucciso l’uomo ragno. Non mi capita mai di rimanere avvinta da qualcosa, di solito mi interessa più fare una telefonata, leggere qualcosa, sbrigare un arretrato oppure, più spesso, vince l’Adalgisa, la cattivissima allenatrice immaginaria che abita dentro la mia testa e che mi spedisce a correre anche alle 11 di sera, se non l’ho fatto prima.

Mi sono chiesta perché io stia persino aspettando la prossima puntata. Non sono mai neanche stata una fan degli 883, eppure sullo schermo li trovo irresistibili. È troppo simpatica la loro storia, la parabola che parte dal banco di un liceo di provincia, quando uno è accompagnato dalla mamma a tutti gli allenamenti, e l’altro, bocciato, per punizione in estate deve aiutare il padre fioraio e portare le corone ai funerali per tutto agosto. Eppure inseguono un sogno, e fa quasi tenerezza la tenacia con cui lo fanno, la cassetta coi soldi dei compleanni svuotata per comprare le tastiere, ma solo dopo un’estate di lavoro, le strimpellate sulla chitarra, le porte chiuse in faccia, il viaggio a RadioDeejay col furgoncino dei fiori, il nastro col demo col titolo a pennarello, il poco spazio rimanente per scrivere il nome del gruppo, la scoperta che il letto su cui stavano dormendo è di un loro mito. Un’avventura che ha il sapore degli inizi, dell’attesa, e credo che sia anche questo il segreto del successo di questa serie (bene scritta, ben girata).

Lascia stare che poi il loro sogno non mi dice nulla, non mi corrisponde. Lascia stare che è parecchio discutibile l’idea che “diventare famosi” o andare in tv sia considerato il traguardo massimo. È l’attesa che ispira simpatia, cioè che ci fa – come dice l’etimo – “sentire con” loro. L’attesa di qualcosa che riempia il cuore, qualcosa di non commisurato al proprio punto di partenza. Che poi il successo non potrà mai riempirlo, questo cuore sconfinato che tutti abbiamo, lo sappiamo. Ma l’attesa, è quella che ci accomuna.

Mi aveva colpito una volta in una meditazione di don Vincent Nagle proprio questo; diceva che lui amava fotografare gli sguardi, quando questi rivelavano un’attesa. Gli sguardi di quelli che dirigevano gli occhi verso quello che pensavano avrebbe potuto riempirle la mancanza. E spesso questi sguardi li hanno i bambini. Un’amica mi ha fatto vedere di recente il video di una bambina che spegne la candeline per il suo terzo compleanno, la figlia di una sua amica. La gratitudine con cui allarga le braccia e fa le giravolte dicendo “grazie, grazie a tutti, grazieeeeee, è il mio compleannooo” è qualcosa che mi ha lasciata un sorriso stampato in faccia per giorni. Ed è l’atteggiamento che mi sembra più di tutti mancare intorno a noi. Non so dire sinceramente se manchi in modo particolare, in questo momento storico, perché a me è dato di vivere solo questo, di tempo. Forse, a occhio, direi di sì.

Credo che sia un tempo in cui a mancare sia soprattutto l’attesa e la gratitudine per la bellezza che ci è dato di vivere, credo che sia il demone più insidioso, tra quelli che giorno e notte ci svolazzano attorno per perdere le anime. Cioè, per carità, ci sono tutti, ma forse altri hanno già vinto. Ed è anche per questo che in molti sembra rimanere solo la tristezza.

Quello sguardo di attesa, invece, mi sembra di vederlo in coloro che cercano l’incontro con Cristo. Spero di vederne tante paia, di occhi in attesa, pronti a ricevere, il 9 novembre. I miei sono sgranati, per non perdermi nulla.

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