Jean-Marie Vianney: il Curato “poco intelligente” che divenne Patrono dei Parroci
Aug 10, 2023a cura di Giuliano Zoroddu
La popolarità dei Santi.
«È un fatto che, appena la Chiesa ha pronunciato, con lunga e minuziosa conoscenza di causa, che uno dei suoi figli ha praticato eroicamente le virtù del Vangelo e Dio l’ha quindi ricompensato con il privilegio autentico del miracolo, subito – per quanto ignoto fosse prima alle genti straniere, malgrado i suoi sforzi per nascondersi agli altri e ignorare se stesso – eccolo acclamato, invocato, amato. Non foss’altro che un piccolo curato di duecento anime, come quello di Ars, i cattolici del mondo intero sanno il suo nome e vogliono conoscere i particolari della sua biografia. Se giudicassimo i Santi dal punto di vista profano, bisognerebbe dunque dichiararli i più chiaroveggenti dei mortali, poiché essi si dirigono come per istinto verso quella celebrità mondiale che molti ambiscono senza mai ottenerla. Anche solo sotto questo punto di vista è affascinante lo spettacolo della loro vita. Quale varietà, infatti, nelle loro direttive e nei loro metodi! Quale diversità, e talora quale contrasto di caratteri e di opere! Gli uni rimangono estranei al mondo e solitari; altri, traboccanti di iniziativa, lasciano su una società, su una regione o su tutta la loro epoca, l’impronta della propria azione; altri ancora camminano fra le tenebre e attraverso le continue forre spinose che li insanguinano, mentre altri infine sorpassano gli ostacoli e riposano subito nella luce. Si è creduto a lungo alla monotonia dei Santi. Ma, oggigiorno, son diventati di moda. Scrittori di grido si sono accorti che l’interessante ascensione d’un genio è ancora inferiore alla più intensa emozione di osservare un cristiano che sale verso la perfezione» (Mgr. Grente, Oeuvres oratolres, V, 39.).
Un curato di campagna.
Oggi, chi incontriamo sul calendario liturgico? Un curato di campagna; un povero curato, così poco dotato intellettualmente che i suoi superiori esitarono a promuoverlo agli Ordini, gli negarono per lungo tempo la facoltà di confessare, e quindi lo mandarono in una delle parrocchie più piccole e più povere della diocesi di Lione; dall’aspetto così gracile e dall’andatura così contadina che i suoi parrocchiani, i quali tuttavia non dovevano essere molto ricercati, si mostrarono poco orgogliosi; dalla memoria così ribelle che gli erano necessarie sette-otto ore di sforzi per ritenere i suoi sermoni; di una povertà così estrema che portava una sola sottana sgualcita, un vecchio cappello, grosse scarpe chiodate e per tutta eredità poté lasciare alla parrocchia unicamente il suo corpo estenuato dai digiuni, dalle discipline e dal cilicio.
La conversione di una parrocchia.
Eppure quel povero prete non avrebbe tardato a far parlare di sé. Inviandolo ad Ars, il vicario generale gli aveva detto: «Non c ‘è molto amor di Dio in quella parrocchia: tu ce ne metterai». Mai consegna fu meglio osservata. Non certo senza difficoltà; e più tardi il santo curato confesserà: «Se avessi saputo quanto dovevo soffrire qui, sarei morto sul colpo!». Nulla gli fu troppo costoso per ottenere da Dio la conversione della sua parrocchia. Già in piedi verso l’una o le due del mattino, passava gran parte del giorno davanti al Santissimo Sacramento; ogni sera si flagellava a sangue; non si riscaldava mai; la sua carità lo portava verso tutte le miserie delle anime che gli erano affidate, verso i malati che andava a confortare e a salvare. I parrocchiani dovettero presto riconoscere i meriti del curato che la Provvidenza aveva loro mandato. Quando lo videro trasfigurato all’altare su cui celebrava il santo Sacrificio, quando sentirono i sermoni così semplici ma così brucianti di amor di Dio, e ancor più le lezioni di catechismo che istruivano i grandi come i piccini, quando si accorsero delle mortificazioni che praticava per essi, quando intesero, che il demonio lo perseguitava, la loro stima crebbe e proclamarono la sua santità.
La conversione delle moltitudini.
La sua fama si estese rapidamente, e presto le folle si scossero per andare a vedere quel curato che leggeva nelle anime, prediceva l’avvenire, guariva i malati, tranquillizzava le coscienze dando la luce e il perdono del Signore. Mentre all’altra estremità della diocesi di Belley un altro villaggio, Ferney, vedeva qualche ammiratore sforzarsi di sostenere il prestigio di Voltaire, le folle, scoraggiate dal dubbio, accorrevano verso un umile prete, verso un’umile località fin allora ignota, e qui riprendevano a credere, a sperare, ad amare. Dio realizzava di nuovo stupendamente le parole dell’apostolo san Paolo: confondeva con la follia della croce la sapienza dei sapienti; aveva scelto la debolezza per vincere i forti (I Cor. I, 18-19). Per anni, vi fu verso Ars un movimento paragonabile a quello che nel Medioevo guidava il mondo verso i santuari più famosi. È facile immaginare la fatica, e si può dire anche il martirio, che causarono al santo prete una tale affluenza, le diciassette ore passate ogni giorno al confessionale, il digiuno e le macerazioni. Fino alla sera del 29 luglio 1850, egli continuò il suo ministero sovrumano. Dovette infine mettersi a letto per non più rialzarsi: i pellegrini forzarono l’ingresso della sua stanza ed egli, coraggiosamente, prodigò ancora le sue benedizioni, i suoi consigli, le sue assoluzioni. Infine, il mattino del 4 agosto, si spense nella più dolce pace, sorridendo a Dio che lo chiamava alla ricompensa.
Vita
San Giovanni Maria Vianney nacque a Dardilly, presso Lione, l’8 maggio 1786. Ancor giovane, approfittava del lavoro dei campi o della guardia alle pecore per passare lunghe ore nel raccoglimento e nella preghiera. Sapeva riunire intorno a sé i ragazzi della sua età e insegnava loro ad amare il Signore e a recitare il rosario. Desiderando diventare prete, fu affidato al curato di Ecully perché gli insegnasse il latino. Ma incontrò enormi difficoltà nello studio, sicché si recò in pellegrinaggio a chiedere a san Francesco Regis, nella Luvesca, la grazia di imparare abbastanza per poter ricevere gli ordini. Divenne infatti prete nel 1815 e fu nominato vicario di Ecully. Vi rimase per tre anni, vivendo in una grande austerità. Fu quindi nominato curato di Ars, dove trovò una popolazione poco cristiana che convertì tanto con la carità e le penitenze eroiche come con la predicazione. Il demonio, invidioso di tale risultato, si vendicò perseguitandolo in mille modi. Da ogni parte accorsero tosto al suo confessionale innumerevoli folle che venivano a cercare da lui la luce e la grazia della conversione. Sfinito dalle fatiche, morì il 4 agosto 1859 all’età di 73 anni. Il Papa san Pio X lo beatificò nel 1905 e lo nominò Patrono di tutti i sacerdoti di Francia che hanno cura di anime; e Pio XI lo canonizzò il 31 maggio 1925.
La croce.
Sono lontani quei primi anni del tuo ministero, di cui tu dicevi: «Mi aspettavo da un momento all’altro di essere interdetto e condannato a finire i miei giorni nelle prigioni. In quel tempo si lasciava stare il Vangelo sulle cattedre e si predicava sul povero curato d’Ars. Oh! avevo delle belle croci … Ne avevo quasi più di quante potessi portarne! Mi misi a chiedere l’amore delle croci; allora fui felice». Per te, le fatiche hanno avuto termine; ma dal seno del tuo riposo, ascolta gli operai della salvezza che si pongono sotto il tuo patrocinio; sostienili nel loro compito ogni giorno più ingrato, più pieno di amarezze. A coloro la cui pazienza minaccerebbe di cedere sotto la persecuzione e le calunnie, ripeti le parole che dicevi a uno dei loro predecessori: «Amico mio, fa’ come me – Io sarei spiacente che il Signore fosse offeso; ma d’altra parte mi rallegro nel Signore di quanto egli permette che si dica contro di me, poiché le condanne del mondo sono benedizioni di Dio. Le contraddizioni ci pongono ai piedi della croce, e la croce alla porta del cielo. Fuggire la croce, non è forse fuggire nello stesso tempo Colui che ha voluto esservi affisso e morirvi per noi? La croce fa perdere la pace! … È essa che ha dato la pace al mondo; è essa che deve portarla nei nostri cuori».
La santità.
Il santo Papa Pio X, elevato sulla Sede Apostolica nel giorno anniversario del tuo ingresso nella gloria, ti iscrisse nel numero dei Beati e scelse lo stesso giorno 4 agosto (1908) per rivolgere al clero cattolico la solenne esortazione che ispiravano al suo cuore di Sommo Pontefice i nostri tempi tristi e pieni di pericoli [vedi qui]. Rafforza con le tue suppliche ai piedi del trono di Dio le raccomandazioni che il successore di Pietro basava sul tuo esempio, quando diceva ai sacerdoti: «Solo la santità fa di noi quello che richiede la nostra divina vocazione, cioè uomini crocifissi al mondo e ai quali il mondo stesso è crocifisso (Gal. 6, 14), uomini che non tendono che al cielo per quanto li riguarda, e non cercano che di condurvi gli altri». Sarà sufficiente che si mostrino unicamente uomini di Dio (I Tim. 6, 11), coloro che sono la luce del mondo (Mt. 5, 14), il sale della terra (ibid. 13), gli ambasciatori (II Cor. 5, 20) di Colui che si degna di chiamarli suoi amici (Gv. 15, 15), che li fa dispensatori dei suoi doni? (I Cor. 4, 1) No, non saranno fonte di santità come è loro dovere esserlo, se non sono innanzitutto santi essi stessi nel segreto del volto del Signore; nella misura in cui si concederanno a Dio, Dio si concederà mediante essi al loro popolo. Possano dunque essi, o san Giovanni Maria Vianney, dire sempre a sé, e dire agli uomini come dicevi tu: «Al di fuori del Signore, non vi è nulla di stabile. Se è la vita, passa; se è la fortuna, si dissolve; se è la salute, si distrugge; se è la reputazione, viene attaccata. Noi andiamo come il vento … Il paradiso, l’inferno e il purgatorio hanno una specie di gusto anticipato fin da questa vita. Il paradiso è nel cuore dei perfetti, che sono uniti a nostro Signore; l’inferno in quello degli empi; il purgatorio nelle anime che non sono morte a se stesse. L’uomo è stato creato per l’amore: per questo egli è portato ad amare; d’altra parte è così grande che nulla può contenerlo sulla terra, ed è felice solo quando si rivolge verso il cielo».
(Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1956, p. 952-956)
FONTE : RADIO SPADA
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