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«Io, ex madre surrogata, vi dico: l’utero in affitto è schiavitù»

il timone manuela antonacci utero in affitto Sep 10, 2024

di Manuela Antonacci

L’utero in affitto comporta dei rischi, eccome! Parola di Gloria Ruiz che, dopo due figli propri, ha accettato di diventare madre surrogata, rischiando, per la prima volta, la vita sua e del bambino che portava in grembo e dopo, peraltro, 7 mesi di gestazione che ha definito “traumatici”. A 33 anni, Ruiz versava in condizioni economiche difficili, perché per tanto tempo – come da lei raccontato – non riusciva a trovare un lavoro, a causa dei suoi problemi familiari: «Mio marito lavora nell’esercito, quindi ci trasferiamo abbastanza spesso», ha affermato. «Ho anche un figlio con bisogni speciali, per il quale devo stare a casa».

La maternità surrogata le era così sembrata una buona opzione perché, in California, le madri surrogate guadagnano solitamente tra i 45.000 e i 60.000 dollari. Così entrata in contatto con un’agenzia che si occupava di maternità surrogata , l’International Surrogacy Center (ISC), era sta abbinata ad una coppia gay spagnola. In questo caso la gravidanza era andata bene e nel febbraio 2020 aveva dato alla luce un maschio. Appena tre mesi dopo, Ruiz viene ricontattata dall’agenzia che cerca in tutti i modi di convincerla a ripetere l’esperienza. Eppure attraverso i social media, proprio ISC consiglia di aspettare almeno sei mesi dopo il parto per richiedere una gravidanza surrogata.

Tuttavia Ruiz decide di arrendersi e di ripetere l’esperienza dell’utero in affitto, ma pone delle condizioni: «Tutti i miei appuntamenti dovevano essere nella mia città e volevo partorire nell’ospedale di mia scelta». Nel luglio 2021, la 33enne viene abbinata ad una coppia che vive negli Stati Uniti. Il padre è di nuovo spagnolo. Infatti, nonostante l’utero in affitto sia vietato nella maggior parte dei paesi europei, tuttavia non c’è molto che uno stato possa fare quando gli aspiranti genitori tornano a casa col bambino. Tutto questo perché il giudice spesso asseconda i desideri degli aspiranti genitori in quanto credono di fare l’interesse del bambino.

Inizialmente tra Ruiz e gli aspiranti genitori, tutto sembrava andare bene, anche se la condizione che riguardava la libera scelta dell’ospedale, da parte della donna, non era inclusa nel contratto: «Ripensandoci, sono stata estremamente ingenua a firmare quel contratto», ha ammesso la donna. «Non pensavo che le cose potessero andare così male, considerata la mia prima esperienza con la maternità surrogata. Ma la seconda gravidanza non è stata come la prima». Tanto per incominciare, dopo aver firmato, il rapporto tra Ruiz e la coppia spagnola, all’improvviso, comincia ad inasprirsi: «Il giorno del trasferimento degli embrioni, il padre ha fatto commenti inappropriati ed espliciti ed ero mortificata. Sembrava che non si preoccupassero di me o del cambiamento che stavo per affrontare».

Non solo, ancora più inquietante si rivela il momento in cui la donna, già madre di due maschi, viene a sapere che la coppia avrebbe accettato solo una figlia femmina: «Sembrava tutto così sbagliato. Mi ha fatto capire che questa gravidanza era uno scherzo per loro». Allora la donna decide di condividere le sue preoccupazioni con un assistente sociale dell’ International Surrogacy Center. ma quest’ultimo respinge le obiezioni, avvertendo, al contrario, Gloria dei rischi di una violazione del contratto. In sostanza recedere dall’accordo non è più un’opzione, afferma la donna: «All’inizio, l’agenzia mi ha dato l’impressione di poter scegliere liberamente, in qualunque momento. Ma poi ho scoperto che non è possibile farlo senza implicazioni legali e finanziarie. E gli avvocati non vogliono avere niente a che fare con tutto questo. Non c’è nessuno che ti difende».

Come spiega anche Kallie Fell  del Centro educativo no-profit per la Bioetica e la Rete Culturale (CBC) le madri surrogate si trovano in una situazione legalmente vulnerabile: «È un lavoro pesante per un avvocato, con poco ritorno», afferma. «Non sto dicendo che non dovrebbero farlo, ma andare contro un colosso come, ad esempio, Big Fertility è come una lotta tra Davide e Golia». Fell sottolinea anche che è difficile determinare con precisione quante madri surrogate siano attive in California: «La maternità surrogata negli Stati Uniti non è regolamentata a livello federale e nessuno tiene traccia di queste donne». Una cosa però è certa e cioè che spesso questo business poggia sul fatto che dopo la prima gravidanza, i guadagni per una madre surrogata, possono arrivare anche a raddoppiare.

Tutto questo per compensare i rischi di salute che l’utero in affitto comporta: la CBC ha condotto uno studio a riguardo. I risultati hanno mostrato che le madri surrogate avevano probabilità tre volte più elevate di portare avanti una gravidanza ad alto rischio. Inoltre, le donne, secondo questo studio, avevano una probabilità significativamente maggiore di sperimentare la depressione post partum. Comunque, tornando alla protagonista della nostra storia, nel suo caso, le viene diagnosticata subito l’iperemesi gravidica, un tipo di nausea e vomito che porta alla disidratazione e alla perdita di peso, al punto che, come racconta, agli occhi dei suoi figli, non era più la mamma che erano abituati a vedere ma una donna che vomitava continuamente, sdraiata sul suo letto.

A 28 settimane, dodici prima del termine, Gloria entra in travaglio: «Ho dovuto sottopormi a iniezioni di steroidi per far sviluppare i polmoni del bambino». La madre arriva alla 32a settimana ma poi deve affrontare una forte emorragia. Viene portata d’urgenza nell’ ospedale dove desiderava partorire. Lì la rifiutano. «Hanno detto: “non sei una nostra paziente. Non ti abbiamo visto per tutta la gravidanza. Non abbiamo idea di quale sia la tua storia”». Al che viene trasportata nell’ospedale voluto dai futuri genitori: «Ero lì, sanguinante, in un ospedale a un’ora da casa mia. Ai miei figli e a mio marito era vietato visitarmi a causa delle linee guida del Covid».

I medici non riuscivano a capire la causa dell’emorragia, tuttavia, la costringono a rimanere in ospedale per portarla alla trentasettesima settimana di gravidanza, ovviamente andando incontro ad un rischio altissimo. Dopo aver parlato con il suo avvocato, Ruiz decide di lasciare l’ospedale: «La mia placenta si stava rompendo, il che significava che se le cose fossero andate male, sia io che il bambino saremmo potuti morire in pochi secondi». Tutto questo le permette di tornare all’ospedale in cui inizialmente voleva partorire. Lì, fa nascere un maschio. Ma i futuri genitori inizialmente sembravano spariti e così l’equipe medica che la assisteva decide di collocare il piccolo al nido fino al loro arrivo. Finché arriva un biglietto da parte dei genitori con un semplice “grazie” per la donna, alla quale non viene consentito di trascorrere nemmeno un’ora col bambino, dopo il parto – nonostante ne avesse diritto per contratto.

Ma la parte peggiore è iniziata per Gloria, proprio dopo questa seconda gravidanza surrogata, ovvero nel presente: «Io e i miei figli siamo in terapia e prendo antidepressivi. Ho il terrore di essere di nuovo incinta». La gravidanza surrogata ha avuto un impatto anche sul suo matrimonio: «Mio marito ha preso le distanze da me durante la gravidanza, perché le probabilità che io morissi erano altissime». La coppia sta ancora insieme, ma secondo Ruiz, il suo matrimonio è andato “a pezzi” grazie alla maternità surrogata. Gloria vuole mettere in guardia altre donne dalla pratica della maternità surrogata, nonostante all’inizio fosse favorevole: «I miei dubbi sono sorti dopo l’inizio della seconda gravidanza. Più leggo a riguardo, più vedo che queste agenzie essenzialmente trafficano persone. Non hai diritti come madre surrogata. E per me questo equivale a schiavitù» 

FONTE : IL TIMONE

 

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