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«In Nigeria ci sono tantissime vocazioni, ma anche l’Europa ritroverà la sua fede cristiana»

il timone raffaella frullone Sep 03, 2024

di Raffaella Frullone

Era giugno. In televisione, sui social, sui giornali, l’Occidente dei valori celebrava il cosiddetto Pride Month, l’orgoglio arcobaleno Lgbt, ma in una parrocchia milanese, in una sera d’estate, risuonava un’altra voce. Quella di don Gideon Obasogie, 40 anni, sacerdote da 11, nigeriano della diocesi di Maiduguri, ma da qualche tempo in Italia come coadiutore in una parrocchia fiorentina. Parlava di Africa, in particolare di Nigeria, parla di persecuzioni da parte dei terroristi, parla di cristianesimo, di Islam, parla di chiese distrutte, di morti, di sangue versato, parla di guerra santa, di Aiuto alla Chiesa che Soffre che nella sua diocesi di origine, al Trauma Centre, sostiene finanziariamente il reinserimento in società della vittime di Boko Haram. «Boko Haram è un’espressione araba – spiega – che significa l’educazione occidentale è peccato». Lo incontriamo dopo la sua testimonianza.

Don Gideon, lei ha detto che non tutti i musulmani sono terroristi e che anzi, non di rado Boko Haram ha colpito anche i fedeli di religione islamica, ci può spiegare meglio? «Nella mia diocesi, a Maiduguri, ci sono tanti musulmani, i cattolici sono possiamo dire sono il 2%. E alcuni sono bravissimi, fino a prima del 2009 c’era una relativa libertà e si lavorava, con la gente comune. Poi nel 2009 l’attività jihadista ha subito una forte impennata quando Mohammed Youssef, il fondatore di Boko Haram, è stato ucciso in un tentativo di evadere dalla prigione. Negli anni precedenti lui, che si era formato all’estero, probabilmente in Iraq, aveva radicalizzato un gruppo piccolo ma determinato di islamici e loro hanno iniziato a seminare morte e distruzione. Inizialmente prendevano di mira soltanto chiese o uffici pubblici, ma è capitato anche che abbiano attaccato delle moschee oppure a messo bombe nei mercati, nei centri commerciali, luoghi in cui la morte strappa alla vita in modo improvviso, indipendentemente dalla fede, sono morti quindi i cristiani ma anche persone di altre fedi, tra cui dei musulmani».

La Nigeria è tutt’ora una fonte viva di vocazioni, malgrado essere cattolico significhi davvero rischiare la vita, qui da noi la fede è decisamente più tiepida e anche i numeri nei seminari lo raccontano. Che effetto le fa?  «La Nigeria è un paese più grande in Africa, la popolazione è quasi 200 milioni e sì, la fede è ancora molto radicata, ci sono tantissime vocazioni. Qui in Italia chiaramente il quadro è molto diverso, la secolarizzazione corre più veloce, e io vedo anche un distacco, uno scollamento tra il popolo e la Chiesa. Molti si lamentano, altri si chiedono “ma come mai i giovani non vanno più in chiesa? Che dobbiamo fare? La domanda è centrale, ma io non ho perso la speranza”».

Nella sua testimonianza lei ha citato un suo vescovo che diceva la fede è cultura, mi sembra che invece a noi in Occidente manchi proprio questo, sbaglio? «Non credo che l’Europa possa concepirsi distaccata dalla fede cristiana. Perché l’Europa è radicata nel cristianesimo. Se guardiamo indietro, prendiamo ad esempio il Medieovo, si vedono chiaramente le radici cristiane dell’Europa. Certo, le cose sono molto cambiate, siamo nell’era di TikTok, ma io sono profondamente convinto che si sia ancora speranza, che possiamo davvero tornare alle nostre radici, che ci sono ancora persone comuni, gente semplice che non ha perso il sensum fidei, con una fede vera, grande, piena».

Qualche mese fa il cardinale Sarah ha esortato a non lasciarsi contaminare dalle menzogne dell’Occidente, lei che ne pensa?  «Ha detto una cosa molto bella. Come dice San Paolo noi siamo cristiani, siamo nel mondo ma noi siamo del mondo, dobbiamo camminare e insieme testimoniare la nostra fede».

Noi però, a differenza di chi vive con Boko Haram fuori dalla porta, non siamo così pronti a morire per quello in cui crediamo, come si coltiva una fede che diventa testimonianza fino in fondo, dono totale? «Guardando alla morte con gli occhi del Cielo, la morte diventa una testimonianza di vita, una testimonianza di fede in Gesu Cristo. E una morte così va raccontata, va testimoniata, va trasmessa alle nuove generazioni perché sentano vibrare la verità della nostra fede». (Foto: Screenshot, CatholicRadioTvNet, YouTube)

FONTE : IL TIMONE 

 

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