Il Verbo seminale era già presente nel paganesimo?
Dec 14, 2022di Francesco Lamendola
La Parola di Dio è la Rivelazione celeste all’umanità. Essa si limita esclusivamente a quanto è stato raccolto per iscritto nella Bibbia e, in parte oralmente nella tradizione cristiana dell’epoca
apostolica? Oppure Dio può aver manifestato qualcosa della Sua volontà, sia pure in forma
sporadica, anche prima e anche al di fuori delle due grandi fonti delle Scrittura e della Tradizione?
Scrive il padre Berhared Bartmann nel suo Manuale di Dogmatica (titolo originale: Lehrbuch der Dogmatik, Verlag Herder, Friburgo in Brisgovia, 1932, traduzione dal tedesco di Natale Bussi,
Edizioni Paoline, 1962, vol. 1, pp. 23-26):
Secondo i MODERNISTI «la rivelazione non può altro essere che la coscienza, acquisita dall’uomo, della sua relazione verso Dio» (Denz. 2020). Dunque, un puro fenomeno psicologico affatto naturale che si riduce a un sentimento di dipendenza da Dio. Il modernismo insiste con tanta energia sull’elemento puramente psicologico allo scopo di opporsi alla concezione meccanica, secondo la quale le verità sarebbero «cadute dal cielo», bell’e Fatte. Ma avrebbe potuto constatare che i Padri, ben lungi dal trascurare gli aspetti pedagogici e psicologici della Rivelazione divina, li mettono all’occasione in piena luce. Così S. Gregorio Nazianzieno dice: «l’Antico Testamento contiene la Rivelazione del Padre, il Nuovo quella del Figlio; dopo l’Ascensione di Cristo si manifestò la terza Persona e questo avvenne per non “imporre” ai fedeli tutte le verità in una sola volta» (Orat. Theol. 5,27, Migne,36,161). «Non dovevamo essere schiacciati dalla Rivelazione, ma persuasi… poiché la violenza non dura… Ecco perché Dio agisce come un pedagogo o medico distruggendo alcune delle antiche tradizioni e tollerandone altre» (ivi, n. 25).
Pure molto significativa in proposito è la dottrina patristica del “logos spermatikós” (Verbo
seminale) il quale in quanto logos della rivelazione, già agiva nel paganesimo. S.Agostino scopre tante somiglianze fra i due modi di manifestazione del Logos da affermare che la religione cristiana si trovava già in qualche modo presso gli antichi: «nam reipsa quae munc religio cristiana nuncupatur, erat apud antiquos, nec defunti ab initio generis humani» (Retract, 13,3).Si noti però che S. Agostino, pur riferendo sai con questo testo non solo agli Ebrei, ma anche ai Gentili, si guarda bene dal confondere il naturale col soprannaturale, la ragione con la fede, il cristianesimo col pre-cristianesimo. Infatti nessuno più di lui esalta la grazia di fronte alla natura. tuttavia, queste citazioni patristiche ci permettono di riconoscere puramente e semplicemente il parallelismo, le analogie, le rassomiglianze formali, che gli storici delle religioni comparate scoprono in esse, con le istituzioni e le dottrine cristiane, senza però che noi avalliamo l’intenzione dei razionalisti di tutto livellare e confondere.
Nel giudicare il paganesimo oggi non si accetta più senza esame l’atteggiamento rude e
violentemente ostile dei padri, le cui parole sovente si riferivano ad abusi particolari e concreti
della società pagana, oppure cost6ituivano avvertimenti per coloro che stavano per apostatare ed esortazioni missionarie. Pur tuttavia non accettiamo una interpretazione tropo larga del “logos spermartikós”, quale è dato trovare in S. Giustino ed altri. Ci teniamo nel giusto mezzo ed uniamo i due punti di vista poiché ambedue corrispondono alla verità.
Le esagerazioni di ceti storici delle religioni i quali, fondandosi sul preconcetto razionalistico, non vedono nel cristianesimo che derivazioni e sviluppi di concezioni pagane, saranno combattute studiando i singoli dogmi in particolare. Per ora ci limitiamo a una critica di principio:
1. Semplici somiglianze non provano una dipendenza interna: «Analogia non est genealogia». 2. L’identità formale di alcuni termini religiosi non significa una identità obiettiva: «Si duo dicunt idem non est idem». Questi due principi sono ammessi dagli storici che conducono le loro ricerche senza pregiudizi, anche se la tendenza a negarli è ancora molto diffusa. Cfr. Bartmann, Dogma und Religionsgeschichte, 1922.
Pur riconoscendo l’azione del lo”logos spermatikós” nel paganesimo a buon diritto possiamo
stabilire circa la Rivelazione soprannaturale le seguenti tesi:
1: La Rivelazione è stata indirizzata solo ai Patriarchi (da Adamo ad Abramo), a Israele e al
Cristianesimo. (…)
2: La Rivelazione si è attuata attraverso uno sviluppo storico e con progressiva chiarezza. (…)
3: La Rivelazione è stata chiusa con gli Apostoli.
Un interrogativo che ha sempre affascinato i teologi, già dai tempi dei Padri della Chiesa, è se qualche seme della futura Rivelazione non fosse già stato disseminato qua e là, anche al di fuori dei suo naturali destinatari. Questa interrogativo ne solleva a sua volta alcuni altri, che richiedono un approfondimento di concetti come “rivelazione”, ”ispirazione”, “canone” e “dogma”.
La divina Rivelazione è un atto libero della benevolenza di Dio col quale egli manifesta agli uomini la sua esistenza ed essenza, la sua volontà e le sue opere. Il che avviene – seguiamo sempre il Bartmann, guida quanto mai esperta, sicura e saggia - mediante la rivelazione naturale (theologia naturalis), per mezzo della fede (revelatio fidei) e per mezzo della gloria (revelatio gloriae) le ultime due sono di ordine soprannaturale.
Vorremmo solo aggiungere che la Rivelazione divina ha, oltre che carattere universale, anche carattere personale: è un Tu che chiama un altro «tu»; e, nel momento in cui gli mostra la sua natura e i suoi progetti, lo rende anche partecipe del ruolo che egli individualmente è chiamato ad assumere. Tipico esempio, la Rivelazione a Maria (Lc 26-38):
26 Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata
Nazaret, 27 a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28 Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». 29 A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. 30 L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e chiamato Figlio dell' Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
34 Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». 35 Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell' Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. 36 Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: 37 nulla è impossibile a Dio». 38 Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.
E ancora: «La Rivelazione è nella Chiesa come una fonte d’acqua viva a cui ciascun fedele deve accostarsi per attingervi» (id., p. 27). L’esempio che abbiamo fatto di Maria è, in effetti, di una profezia, che è anche una rivelazione. La più estesa e impegnativa rivelazione che sia mai stata fatta, e infatti riguarda la Madre del Verbo incarnato. San Tommaso d’Aquino fa praticamente coincidere le due cose: il profeta è ispirato da Dio e chi è ispirato da Dio è tramite della Rivelazione. Ma l’ispirazione è sempre un fatto soprannaturale, o può procedere per via naturale?
Tutte le concezioni che muovono da un sottofondo naturalistico e psicologistico, compreso il modernismo, tendo a sfumare la differenza fra le due, invece nella prospettiva cattolica essa è ben chiara. L’ispirazione naturale è quella che si serve di mezzi naturali e si rivolge alla ragione naturale: e dunque può aver toccato e illuminato, più o meno fugacemente, l’intelligenza dei filosofi antichi, da Cicerone a Seneca a Marco Aurelio, per non parlare di un poeta come Virgilio, la cui anima a ragione fu detta naturaliter christiana e che Dante, pur non salvandola fra i beati, ne ha fatto lo strumento di salvezza nei confronti di altri, come Stazio, con le famose parole (Purg., XXII, 66-69): Facesti come quei che va di notte, / che porta il lume dietro e sé non giova, / ma dopo sé fa
le persone dotte…
Iddio può ispirare un pensiero buono e vero in chiunque, anche in un pagano,
facendone mezzo di diffusione di costumi più umani: ad esempio, l’uguaglianza degli uomini
quanto ai diritti naturali, e pertanto, come in Seneca, l’orrore e le riprovazione degli spettacoli
gladiatorî e forse della schiavitù in quanto tale. Ma non può ispirare una verità rivelata, poiché la
verità rivelata appartiene alla sfera della grazia, e dunque richiede un mezzo di trasmissione
soprannaturale. La verità rivelata da Dio ad Abramo circa la sua discendenza e la storia futura
dell’umanità redenta appartiene a tale sfera. Quanto al confine tra rivelazione e profezia, notiamo che esso è di per sé estremamente labile: ciò che viene detto di Sodoma e Gomorra, del Diluvio universale, della Torre di Babele, delle dieci piaghe d’Egitto, ecc., ha sia il carattere della rivelazione che della profezia. D’altra parte, la misericordia infinita di Dio resta sempre aperta sul mistero del libro arbitrio: il popolo di Ninive, ammonito dal profeta Giona, si pente dei suoi peccati, fa penitenza e scongiura così il castigo preannunciato.
Una volta chiarito che vi sono due forme d’ispirazione, una naturale ed una soprannaturale, e che la Rivelazione divina passa per quest’ultima, resta da chiarire cos’è il canone, ossia l’insieme dei libri che la Chiesa, nel corso di lunghe e scrupolose discussioni ed esami, ha ritenuto divinamente ispirati per generale consenso. Alcuni testi pur autorevolissimi, come il Libro ei Enoch, ne sono rimasti fuori, perché accettati solo da alcune chiese locali d’Oriente, come quella etiopica, aggiungendosi ai testi apocrifi. Il canone cattolico comprende 73 libri, 46 dell’Antico Testamento e del Nuovo: né uno di più, né uno di meno. L’Apocalisse è considerato l’ultimo e con esso si chiude l’epoca apostolica, con la quale la cessa la Rivelazione di Dio agli uomini in termini generali. Un concetto molto importante da tener presente è che la chiave per la esatta comprensione dell’Antico Testamento risiede nel Nuovo: è in quest’ultimo, infatti, che si chiariscono quegli insegnamenti divini e quelle promesse che, in una fase più antica, presentavano un certo carattere di ambiguità.
Un discorso a parte va fatto per le cosiddette rivelazioni private, le quali, per quanto autorevoli e suffragate dal culto di milioni di credenti, non appartengono al deposito della fede e in taluni casi, difatti (vedi Medjugorje) appaiono molto controverse. Esse comunque, anche quando riconosciute dalla Chiesa in quanto fenomeni soprannaturali, non formano oggetto di dogma, sicché non aggiungono niente a ciò che il cattolico è tenuto a sapere circa la propria fede e anche riguardo alla venuta degli ultimi tempi. In particolare, su qualcosa come 2.400 apparizioni mariane moderne, la Chiesa è giunta a riconoscerne appena una quindicina.
Eravamo partiti dalla domanda se il Verbo seminale (logos spermatikós) possa essere presente già nella civiltà pagana. La risposta, nei limiti sopra precisati, è senz’altro affermativa. Da ciò consegue che, in linea teorica, elementi di verità rivelata si possono trovare anche al giorno d’oggi nelle religioni non cristiane? Qui, invece, a nostro parere bisogna andare assolutamente cauti.
È sufficiente domandarsi: che cosa ha inteso fare il Signore Iddio, dando la sua Rivelazione agli esseri umani? Evidentemente, guidarli verso la verità e la felicità, che consiste nell’eterno godimento del vero. Ora, sappiamo dal mistero dell’Incarnazione che Dio ha voluto mandare fra gli uomini il Suo Figlio Unigenito, affinché la via verso la verità e verso la salvezza fosse tracciata con ancora maggior evidenza. Io sono la via, la verità e la vita, dice Gesù (Gv 14,6); e ancora: Chi ha visto me, ha visto il Padre 8 (id.,14, 9).
Di conseguenza, che senso hanno le parole di Bergoglio, messe nero su bianco nel Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune di Adu Dhabi del 4 febbraio 2019, là, ove si afferma testualmente che
La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di
espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di
lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani.
Dunque, secondo questa interpretazione, è Dio stesso (ma quale Dio? Si parla moltissimo della
dignità e della pace, ma si parla alquanto genericamente di un Dio anonimo, dai forti connotati
massonici) che vuole l’esistenza delle diverse religioni. Cioè, detto in parole più chiare: delle false religioni accanto a quella vera. Del dio indù Ganesha dalla testa di elefante e della orrida
Pachamama avida di sacrifici umani, accanto a Gesù Cristo, incarnato, morto e risorto per amore degli uomini. È evidente che siamo usciti fuori dal seminato.
Però c’è una logica: sono le naturali conseguenze di determinate premesse.
Le premesse sono due: la Nostra aetate del 28 ottobre 1965, nella quale si afferma:
Quanto alle religioni legate al progresso della cultura, esse si sforzano di rispondere alle stesse
questioni con nozioni più raffinate e con un linguaggio più elaborato. Così, nell' induismo gli
uomini scrutano il mistero divino e lo esprimono con la inesauribile fecondità dei miti e con i
penetranti tentativi della filosofia; cercano la liberazione dalle angosce della nostra condizione sia attraverso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel rifugio in Dio con amore e confidenza. Nel buddismo, secondo le sue varie scuole, viene riconosciuta la radicale insufficienza di questo mondo mutevole e si insegna una via per la quale gli uomini, con cuore devoto e confidente, siano capaci di acquistare lo stato di liberazione perfetta o di pervenire allo stato di illuminazione suprema per mezzo dei propri sforzi o con l'aiuto venuto dall' alto.
Ugualmente anche le altre religioni che si trovano nel mondo intero si sforzano di superare, in vari modi, l'inquietudine del cuore umano proponendo delle vie, cioè dottrine, precetti di vita e riti sacri.
La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con
sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in
molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini.
La seconda premessa è la Dignitatis humanae del 7 dicembre 1965, là dove si dice:
La Chiesa pertanto, fedele alla verità evangelica, segue la via di Cristo e degli apostoli quando
riconosce come rispondente alla dignità dell'uomo e alla rivelazione di Dio il principio della libertà religiosa e la favorisce. Essa ha custodito e tramandato nel decorso dei secoli la dottrina ricevuta da Cristo e dagli apostoli. E quantunque nella vita del popolo di Dio, pellegrinante attraverso le vicissitudini della storia umana, di quando in quando si siano avuti modi di agire meno conformi allo spirito evangelico, anzi ad esso contrari, tuttavia la dottrina della Chiesa, secondo la quale nessuno può essere costretto con la forza ad abbracciare la fede, non è mai venuta meno. Eppure Gesù nel Vangelo ordina (Mc 16,15-16): Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato.
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