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Il «punto di luce» che squarcia il buio dell’alluvione a Conselice

annalisa teggi tempi May 30, 2023

di Annalisa Teggi

Nel paese in provincia di Ravenna le acque, che non si sono ancora ritirate, hanno risparmiato solo la chiesa. E don Massimo Pelliconi si è attivato per tutti e ora è un punto di riferimento per ricaricare telefoni, fare lavatrici e mangiare un boccone.

«E dunque abbiamo attivato questo gruppo elettrogeno e la canonica è diventata l’unico punto di luce in un paese al buio», racconta don Massimo Pelliconi, parroco della chiesa di San Martino Vescovo a Conselice. Occorre ricostruire la scena alle spalle di questo squarcio di racconto per capirne la portata. A Conselice, paese di novemila anime in provincia di Ravenna, l'alluvione non è arrivata con la forza veemente con cui ha devastato, ad esempio, Sant’Agata sul Santerno. A Conselice l’acqua è arrivata pian piano, ma è arrivata oltre ogni aspettativa. E non se n’è andata.

A Conselice le case sono ancora allagate

Il paese si trova a 36 chilometri dall’Adriatico ed è sopra il livello del mare di pochi metri, il dislivello non è sufficiente per far defluire l’acqua. Tuttora ci sono case allagate fino a un metro d’altezza e dopo dieci giorni di ristagno anche le conseguenze sanitarie si fanno serie. Gli sforzi robusti di pompe e idrovore arrivate da ogni parte del mondo per liberare case e strade hanno fatto guadagnare una celebrità momentanea a questo frammento di Romagna, ribattezzato amaramente «piccola Venezia» da tv e giornali.

La piazza del paese è ancora piena di gommoni per i soccorsi e ci sono enormi mezzi anfibi dei Vigili del Fuoco, giganti barche con le ruote parcheggiate vicino ai tavolini dei bar dove si gioca a carte. Il disastro è arrivato lentamente con una perfidia che motteggia la cortesia. Da un certo punto in poi sembra che Guareschi prenda le redini della cronaca. Anche la Romagna è parente di Peppone e non sempre in senso ironico o facilmente riducile a macchietta. Si respira una distanza ostile dalla Chiesa. A Conselice ci sono stati tre sacerdoti martiri nel Dopoguerra. Oggi forse tutto si è stemperato nell’indifferenza, ma per citare un dato: il 70 per cento dei funerali si svolge tra la camera mortuaria e il cimitero senza passare per la chiesa.

L’acqua si è fermata davanti alla chiesa

Sullo sfondo di questo contesto l’alluvione invade piano piano e si ferma sulla soglia della canonica e del circolo parrocchiale. Il paese è sott’acqua, la chiesa non è toccata. È quasi inevitabile immaginare la litania d’imprecazioni a denti stretti di Peppone o Don Camillo con le mani sui fianchi. «Quando ho visto l’acqua ferma sulla soglia della canonica ho pensato alla voce di Dio che dice al mare: “Fin qui tu giungerai, e non oltre”», racconta don Massimo. Questo segno si è tradotto in un invito chiaro per il parroco e chi lo affianca, padre Gary e Chiara, una consacrata: se la chiesa è stata preservata è perché possa aiutare tutti, dare ristoro e accogliere.

Qui finisce la parentesi ed eccoci di nuovo al punto di luce iniziale. «Un anno fa – ricostruisce don Massimo – si fece avanti un benefattore e, non so bene per quale motivo, mi sentii di chiedergli di donarci un gruppo elettrogeno per fare una cosa utile. Forse ero stato condizionato dal fatto che era scoppiata la guerra in Ucraina e si ventilavano scenari di difficoltà di approvvigionamento energetico. È un gruppo elettrogeno molto potente, inutilizzato fino all’emergenza cominciata lo scorso 18 maggio. Da subito la gente è rimasta senz’acqua potabile, senza corrente elettrica, tantissimi erano bloccati in casa. E dunque abbiamo attivato questo gruppo elettrogeno e la canonica è diventata l’unico punto di luce in un paese al buio. Tutti venivano a caricare i telefoni, gli operatori venivano a prendere un caffè. Da lì abbiamo cominciato anche a fare un servizio di mensa e adesso stiamo iniziando il servizio di lavanderia».

Una cometa elettrica nel buio dell’alluvione

Una cometa elettrica in una desolazione buia di acqua alta, stagnante. Conselice è diventata un presepe, molto probabilmente a sua insaputa. Come a Betlemme, ci si sposta verso una luce che si è accesa non dove gli uomini avevano fissato il centro del loro mondo. «Adesso le nostre giornate sono scandite dallo stare a quello che c’è, ascoltare le richieste che arrivano e tentare di tradurre la convulsione in una risposta un po’ ordinata», spiega don Massimo. Ed è evidente che la premura si fa concreta perché l’urgenza è radicata in uno sguardo intero sull’uomo. Padre Gary riassume così: «Le cose si possono ricostruire dopo, ma se Dio perde le anime è per sempre».

Da un’associazione di macellai di Carpi sono stati donati 30 kg di carne e delle lavatrici. L’Emilia che ha conosciuto il terremoto va in soccorso della Romagna sott’acqua, i feriti aiutano i feriti perché sanno dove fa più male e dove si può far del bene. Ora nella chiesa di San Martino la mensa e la lavanderia funzionano a pieno ritmo. «Abbiamo cominciato per scherzo ed è finita che il primo giorno abbiamo messo a tavola 50 persone, il giorno dopo 70». È Gianni a parlare, usa le sue ferie per fare il volontario e si occupa dei pasti. Il suo “per scherzo” significa “senza fare chissà quali piani”. Eppure, quando squaderna il menù del giorno, le cose si fanno molto serie: pasta al ragù, sugo alle verdure per chi lo preferisce, brasato al barolo, spaghetti aglio olio e peperoncino, polpette con i piselli e poi salumi e formaggi a piacere. Ci sono sere in cui serve gli ultimi pasti dopo la mezzanotte.

«Dio è paziente con noi»

Alle 9 e alle 18 si celebra la Messa tutti i giorni. Nel giorno in cui sono andate in funzione le lavatrici il Vangelo era un controcanto puntuale: «Qualcun altro ti vestirà», le parole con cui Gesù prefigura a Pietro la sua fine. Lì dove c’è una fine, dove l’acqua si è fermata a marcire, si può imparare la disponibilità a farsi vestire da un altro. Si può riconoscere che fin dal principio Dio è all’opera per cucire addosso a ciascuno una veste davvero candida. Per qualcuno, comunque, la chiesa resta il posto dove c’è un punto per ricaricare i cellulari.

Ma Chiara ricorda un episodio: «È capitato questo. Nei primi giorni di allagamento le azioni erano molto concitate e capitava che scappassero parole sgradevoli tra chi lavorava. Il peso della fatica comportava incomprensioni. Abbiamo invitato tutti alla Messa come momento per rinfrancarsi. E uno ha esordito: “Sì, ma io dovrei confessarmi”. Un altro l’ha seguito a ruota: “Anch’io”. Un terzo li ascoltava e si è aggiunto al coro: “Bisogna che lo faccia anch’io”. Ecco, quello che stiamo capendo è che Dio ha una grande pazienza con noi». Se anche qui il racconto ha il sapore di Guareschi è perché lui non inventava nulla, ma conosceva i panni sporchi della sua terra e anche la libertà dei cuori di aprirsi all’improvviso dopo essere stati a lungo a mollo nella palude.

 

 

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