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Il modernismo è una forma di neoprotestantesimo

francesco lamendola Dec 12, 2022

di Francesco Lamendola

Quando si parla di protestantesimo, e soprattutto quando si parla di ecumenismo e dialogo  fra cattolici e protestanti, in generale non ci si avvede di una terribile ambiguità di fondo che rischia di vanificare gli forzi più generosi, ammesso e non concesso che siano concepiti e portati innanzi in buona fede.  Infatti, di quale protestantesimo stiamo parlando? Quello di Lutero e Melantone, del quale con gran pompa la Chiesa cattolica nel 2017 ha voluto ricordare, con emissione di francobolli, quasi fosse una lieta ricorrenza, i cinquecento anni, è una cosa; quello dei protestanti odierni è tutta un’altra cosa.

Gli stessi storici protestanti parlano tranquillamente di un secondo protestantesimo, che si diffonde fra il 1600 e il 1700, anche per reagire al legame troppo stretto che si era andato creando con le autorità secolari e contro un certo irrigidimento formalistico dei vescovi e dei pastori; un ”risveglio” che prende le forme del pietismo in ambito luterano, del battismo in ambito calvinista e del metodismo all’interno della Chiesa anglicana. In tutti questi movimenti e queste tendenze si fa strada una forte esigenza di realizzare l’incontro personale con Gesù, capace di rinnovare radicalmente la vita del credente. Insoddisfatte sia del primo che del secondo protestantesimo, nuove correnti si sono fatte strada nel corso dl 1800, sovente assumendo la denominazione di Chiese libere, fortemente ancorate a una lettura intergista della Scrittura e perciò connotate in senso fondamentalista, al punto che si oppongono con forza a ogni tentativo “ecumenista” anche solo limitatamente al mondo riformato: è il terzo protestantesimo. C’è poi un quarto protestantesimo, che sarebbe più esatto definite “quarto ecumenismo”, perché nasce dalla volontà d’incontro fra alcune correnti pentecostali protestanti e alcune tendenze e gruppi carismatici cattolici dell’ultima generazione, i quali, a vero dire, presentano non poche affinità, forse soprattutto esteriori, con le loro controparti riformate e che si collocano, comunque, in un contesto che potremmo definire post-moderno, nel senso che ritengono chiusa la stagione della modernità e quindi anche l’approccio religioso che l’ha fin qui  caratterizzata.

Dunque, quando il Papa e le varie commissioni istituite per promuovere l’ecumensimo auspicano il dialogo e una più stretta collaborazione della Chiesa cattolica con le Chiese riformate, a quale protestantesimo, in realtà, si riferiscono? Quando Bergoglio dichiara bel bello, in occasione della “messa comune” celebrata coi luterani in Svezia, nel 2017, che «sulla predestinazione Lutero aveva ragione», si rende conto che, oltre a dire una sonora eresia dal punto di vista cattolico, rischia di appigliarsi all’interlocutore sbagliato, poiché ormai forse un 20% dei riformati si riconosce ancora nelle “vecchie” posizioni di Lutero, il quale, bene o male (più male che bene) disconosceva sì gran parte della Tradizione, ma non la Scrittura, e quindi accettava pur sempre una dottrina fondata sul dogma, ossia su una serie di dogmi?

La contraddizione strutturale, insanabile, della rivoluzione protestante, è che essa si basa sul sacerdozio universale dei credenti (inessenzialità della Chiesa quale intermediaria fra l’uomo e Dio) e sulla libera interpretazione delle Scritture (che rende di fatto impossibile stabilire un dogma). Da ciò il fatto che c’è sempre un protestante più protestante degli altri, cioè desideroso si spingersi oltre nella libera interpretazione della Bibbia: e come contestargliene il diritto, visto che il presupposto su cui si basa tale pretesa è l’asse portante della religiosità riformata? Per forza di cose, il protestantesimo è destinato a non aver mai pace; a non assestarsi mai in un credo stabilito e definitivo; ad abbattere sempre nuovi miti e ad avanzare verso nuove frontiere. Non ci sarà, né ci potrà mai essere, una versione definitiva del protestantesimo: altrimenti avrebbe finito di protestare, e rinuncerebbe ad essere ancora se stesso.

C’è poi un altro aspetto importante che bisogna tener presente. Nato come rivolta contro la ragione e contro il libero arbitrio, per una singolare eterogenesi dei fini esso ha finito, mano a mano che la modernità avanzava e si diffondeva proprio là dove esso aveva colto i suoi maggiori successi, per assumere un atteggiamento passivo, difensivo, agnostico e quasi intimidito di fronte alle ideologie del progresso, e allo scientismo in primo luogo. Ora, la ideologie del progresso esaltano l’uomo, la sua centralità, la sua inesauribile iniziativa, la sua capacità di modellare la faccia del mondo intero e di concentrare nelle sue mani un potere smisurato, quale mai avevano osato sognare i suoi predecessori.

Ne deriva la curiosa situazione che il protestantesimo, e specialmente il calvinismo – giusta l’analisi di Max Weber – ha dato un contribuito fondamentale allo spirito del capitalismo, che è l’aspetto economicamente decisivo della modernità: in altre parole, ha rimesse l’uomo su quel piedistallo dal quale Lutero e Calvino, contro Erasmo e gli umanisti, l’avevano rovesciato; ma lo ha fatto su basi completamente diverse. Pertanto la centralità dell’uomo non risiede più nella sua intelligenza, nella sua eccellenza razionale, estetica, filologica ed ermeneutica, bensì nella sua capacità di produrre utili, di far denaro dal poco e magari dal nulla (cosa severissimamente condannata dalla Chiesa medievale) e di moltiplicare gli strumenti tecnologici coi quali asservire e sfruttare le forze della natura, assumendo via via un atteggiamento sempre più caratterizzato dalla hybris e quindi, complice la cultura materialista, evoluzionista, storicista, pragmatica, sempre più in competizione con il Volere divino, per sostituire alla natura “imperfetta” creata da Dio una natura assolutamente razionale e perfetta, organizzata dall’uomo stesso.

Del resto, era inevitabile. Se ciascuno è libero di leggere e interpretare personalmente la Parola di Dio, come evitare il pericolo che l’uomo scambi per Parola di Dio la propria parola, le proprie idee, i propri progetti? E se ciascuno si rapporta a Dio e si salva sola fide, senza le opere e senza la mediazione di alcun altro, come evitare il rischio che egli scambi se stesso per Dio, che si elegga il Dio di se stesso, che si auto-divinizzi sulla base dell’etica del successo, che ne sarebbe la conferma indiretta ma pressoché certa?

Ma poi arriva il modernismo. Il modernismo nasce da un lungo e sofferto complesso d’inferiorità di certi ambienti cattolici (posti a immediato contatto con quelli evangelici, calvinisti e anglicani) nei confronti del protestantesimo; complesso lungo, amaro, tenace, coltivato in segreto per quattro secoli, e che trova l’occasione per venire a galla dagli studi storico-critici delle Scritture, venuti di gran moda appunto col protestantesimo liberale (e che nulla ha a che fare con la rozza, ma robusta dogmatica luterana). Sono i “demitizzatori”, i Bultmann, e i teologi riformati che si muovono a stretto contatto con l’ebraismo cabalistico e rabbinico pots-esilico (non con l’ebraismo mosaico, quello osservato anche da Gesù Cristo (Martin Buber, Lévinass): quelli che più tardi formeranno il nucleo del complotto anti-cattolico che verrà in luce, con la suprema abilità di non farsi riconoscere, con il Concilio Vaticano II e tutta la sequela del post-concilio: falsa libertà religiosa, falso ecumenismo, falso dialogo interreligioso, ma soprattutto falsa nozione del “popolo eletto” come già approdato all’Alleanza e quindi alla salvezza

In fondo, il modernismo è stato (nella sua fase iniziale, quella della Pascendi; ora ha fatto passi avanti da gigante) un protestantesimo mascherato, a scartamento ridotto: vi si trovano, espresse in maniera volutamente vaga e generica, le istanze fondamentali della rivoluzione luterana: il disprezzo per la Tradizione; il primato del sentimento sull’accettazione razionale della fede; la fede stessa come fondata su un corpus dottrinale e dogmatico suscettibile di revisione; la pretesa che la Rivelazione non sia finita; la priorità della coscienza soggettiva; la Presenza Reale nel Sacrificio Eucaristico soprattutto come valore simbolico e commemorativo. A ciò essi aggiungevano il metodo storico-critico spinto fino alle estreme conseguenze: laddove i loro grandi modelli, ossia i protestanti liberali, fra i quali Albert Schweitzer, erano già arrivati alla logica (e terribile) conclusione che, se i dati storico-critici li avessero posti nella necessità di dover scegliere fra un Cristo “leggendario” in quanto non sufficientemente provato, e un cristianesimo senza il Cristo, essi non avrebbero esitato a scegliere quest’ultimo.

Citiamo, ancora una volta, una pagina dell’eccellente manuale di teologia dogmatica di Bernhard Bartmann (Lehrbuch der Dogmatik, Verlag Herder, Feriburg im Bris., 1932; traduzione dal tedesco  di Natale Bussi, Alba, Edizioni Paoline, 1949, 1952, vol. 1, pp. 17-18):

Il vecchio protestantesimo aderiva ancora alla Rivelazione divina, anche se la restringeva alle verità conosciute nella Scrittura; inoltre, avendo conservato i tre antichi simboli della Chiesa (Simb. degli Apostoli, di Atanasio, di Nicea-Costantinopoli), si trovava legato a una pubblica professione di fede e perciò un certo interesse dogmatico. Nel Neo-protestantesimo (Protestantesimo liberale) ha completamente rinunciato alla Rivelazione divina e respinge ogni “vincolo dogmatico”, poiché una libera ricerca non può essere inceppata dai freni che il dogma impone. Ciò spiega perché il “movimento ecumenico”, fin quando accetti questa posizione dogmatica, sia senza possibilità di riuscita. Il punto d’incontro più facile per l’unione è solo più quello Della fede in Dio. Martino Rade enumera “quindici” diversi sistemi ed egli stesso vuole stabilire «ciò che oggi (!) nel protestantesimo è ancora vivo e possiede valore di fede». Dopo aver fatto notare che le idee e le opinioni professate a riguardo di Gesù Cristo presentano una grande confusione, e che siffatta confusione si troverebbe già (!) bel Nuovo Testamento, aggiunge: «D’altra parte che cosa può affermare una professione di fede all’infuori di Dio? siamo convinti che la fede in Dio contenga tutto il cristianesimo. Colui che ha questo Dio è cristiano». Vi è, dunque, «un cristianesimo e una fede senza Cristo? Proprio così! E ciò più sovente che non si pensi o si dica ordinariamente dal teologo» (Glaubenselehre, 1925, II, p. 183).

Dobbiamo ancora ricordare che il dogma, come si è detto, non va identificato puramente e semplicemente con la Rivelazione, come pensano i Greci; esso è la formula ecclesiastica delle verità rivelate da Dio. Per i Greci La Rivelazione consiste in un determinato numero di dogmi, fissarti da tutta l’eternità. È evidente che questo modo di vedere esclude ogni progresso dogmatico. Cfr. tuttavia Jugie, Theol. Dogm. Christ. orient. vol. IV, 1931, PP. 470 ss.

Il MODERNISMO, come il protestantesimo liberale, si allontana dalla “concezione intellettuale” scolastica del dogma. Certo, non intende ridurre il dogma a puro oggetto di sentimento privandolo di ogni elemento conoscitivo; afferma invece che l’esperienza religiosa deve essere formulata in concetti e parole. Dapprima la formulazione avverrebbe in modo del tutto spontaneo e naturale, ma vago; in seguito sarebbe più cosciente, più riflessa e più distinta, grazie ad una faticosa elaborazione. Decisivo nella redazione delle formule sarebbe finalmente l’intervento della Chiesa che darebbe loro il carattere di dogma. Così si distinguerebbero nel dogma tre elementi: un elemento INTERIORE e religioso, un elemento filosofico e INTELLETTUALE e un terzo ecclesiastico e AUTORITARIO.

La vira religiosa interiore della Chiesa rimane in sé immutabile, male sue esterne manifestazioni, tra le quali le verità dogmatiche, subirebbero una continua evoluzione. Le formule ecclesiastiche del dogma, in quanto simboli, non potrebbero pretendere di attingere la verità in sé; tuttavia vanno accettate con rispetto poiché sono un ottimo mezzo per propagare e perfezionare il sentimento religioso. Anche se noi non possiamo attingere la verità assoluta, i dogmi, tuttavia, hanno una grande importanza come regole di vita pratica, poiché ci comportiamo di fronte ad essi COME SE FOSSERO L’ESPRESSIONE della verità (dogmatismo morale). Così dunque si pregherà Dio come se fosse una Persona, si tratterà l’Eucaristia come se contenesse Cristo presente, pur ignorando la natura di queste verità. Cfr. Enciclica “Pascendi”; decreto “Lamentabili”, motu proprio “Praestantia” (Denz.  2071 ss.); Dublanchy, Dogme, Dicit. de théol. cath. t. IV, coll. 1579, ss.; L. De Grandmsaison, Le dogme chrétien, Paris, 1928.

Che altro dire? Per vie traverse, e con notevoli sterzate, frenate e ripartenze, i rivoluzionari sono arrivato là dove agognavano arrivare da cinque secoli. Hanno riesumato il modernismo in tutto il suo splendore, senza più nascondere le loro simpatie protestanti; e, di conseguenza, come i loro maestri protestanti, hanno riportato il cristianesimo all’Antico Testamento del popolo eletto, anzi, all’ebraismo talmudico e rabbinico, senza più libero arbitrio. Almeno per chi non vi appartiene…

 

 

 

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