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Il caso Beatriz: una vittoria storica per il movimento pro‑life latino‑americano

universitari per la vita Feb 07, 2025

FONTE : Universitari per la Vita

La Corte interamericana dei diritti umani ha appena respinto il tentativo della lobby pro-aborto di stabilire un “diritto all’aborto” in tutta l’America Latina. Questa sentenza crea un precedente legale che aiuterà il Population Research Institute (PRI) e altri gruppi pro-life a difendere la vita umana innocente fin dal concepimento nei 25 Paesi membri, e anche nella regione in generale. La lobby abortista sperava che la sentenza della Corte sul caso Beatriz andasse nella direzione opposta, ovvero che permettesse l’aborto su richiesta in tutta l’America Latina, così come la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti Roe v. Wade aveva aperto la strada all’aborto senza restrizioni. Proprio come per la Roe, la lobby abortista ha costruito il suo caso su una falsità. Sostenevano che un “aborto terapeutico” avrebbe potuto salvare la vita di una giovane donna salvadoregna, Beatriz, in una gravidanza ad alto rischio. Sostenevano che le leggi di El Salvador, che riconoscono il diritto alla vita del nascituro e vietano l’aborto, impedivano ai medici di salvarle la vita. La verità è che, proprio come Jane Roe non è mai stata violentata, Beatriz non è morta per complicazioni legate alla sua gravidanza o al presunto mancato aborto. Piuttosto, Beatriz è morta più di quattro anni dopo la nascita di suo figlio in un incidente motociclistico non correlato con la gravidanza.

Visti i sentimenti favorevoli all’aborto di diversi membri della Corte interamericana, molti credevano che la lobby pro-aborto avrebbe prevalso. Eppure, contro ogni previsione, non è stato così. Il motivo? Un coro di organizzazioni pro-vita in tutta la regione ha alzato la voce per mesi, smascherando il modo in cui la lobby abortista stava distorcendo i fatti del caso, per non parlare delle vere e proprie falsità. Il PRI ha svolto un ruolo chiave nel caso Beatriz grazie all’alleanza costante con il Global Center for Human Rights (GCHR), principale alleato all’interno del sistema interamericano. Insieme, si lavora instancabilmente per difendere i diritti umani, con particolare attenzione al diritto alla vita fin dal concepimento. Sono stati formati dei leader del GCHR sulle strategie politiche, cui sono stati forniti strumenti politici pratici ed efficaci, mantenendo uno stretto contatto con loro. In particolare, nel caso Beatriz, il PRI ha partecipato attivamente a diverse riunioni strategiche durante tutto il processo, contribuendo a delineare chiare linee d’azione. È stato incoraggiato il coinvolgimento di opinion leader in tutta la regione e sono state promosse una serie di campagne legate al caso attraverso i media e i social network. Formando un fronte unito e lavorando insieme per uno scopo comune, è stato possibile prevalere contro la doppiezza e il potere economico del movimento abortista.

Il caso Beatriz è iniziato nel 2013. Beatriz, una donna di 22 anni di El Salvador con mezzi limitati, era incinta del suo secondo figlio. La sua prima gravidanza era stata difficile, in parte perché soffriva di lupus, e i medici le avevano suggerito la sterilizzazione dopo il parto. Beatriz rifiutò perché voleva diventare di nuovo madre. Alcuni anni dopo, la donna era felice di sapere che era di nuovo incinta. Ma durante una visita prenatale, il medico la informò che il nascituro era affetto da anencefalia. Si tratta di una malformazione congenita che impedisce lo sviluppo del cervello e che avrebbe ridotto l’aspettativa di vita del bambino da poche ore a pochi mesi. Dopo la diagnosi, la lobby abortista ha mentito a Beatriz, dicendole che sarebbe morta se avesse continuato la gravidanza. Il loro vero obiettivo era usare la sua situazione come pretesto per promuovere la legalizzazione dell’aborto, prima in El Salvador e poi presso la Corte interamericana.

Il caso è arrivato alla Corte Suprema di El Salvador che, dopo aver esaminato tutte le prove, ha concluso correttamente che la vita di Beatriz non era in pericolo e che l’aborto non era giustificato. Rafael Varaona, perinatologo e medico di Beatriz per tutta la seconda gravidanza, ha dichiarato alla Corte che il suo lupus eritematoso sistemico era costantemente monitorato durante la gravidanza e che la sua vita non era mai stata in pericolo. Tuttavia, poiché il precedente cesareo non era guarito correttamente, si decise di effettuare un parto cesareo al sesto mese per evitare la possibilità di emorragie. La figlia nacque e fu chiamata Leylani. Nacque viva, ricevette molto amore dalla madre e morì naturalmente poche ore dopo a causa dell’anencefalia. Beatriz si riprese dal parto cesareo senza complicazioni. Quattro anni dopo, però, rimase uccisa in un incidente in moto. La sua tragica morte attirò l’attenzione della lobby pro-aborto, che decise di mentire sulla sua causa di morte attribuendola alla mancanza di accesso al “diritto umano all’aborto”. Il caso è stato riesumato e portato davanti alla Corte interamericana.

Dopo averlo analizzato, la Corte interamericana ha concluso che le leggi salvadoregne che proteggono la vita fin dal concepimento non hanno violato i diritti umani di Beatriz né sono collegate alla sua morte prematura. Ma la Corte è andata anche oltre, formulando diversi punti critici che ci aiuteranno a difendere la vita nella regione con ancora più forza:

  1. Rifiuto delle falsità: la Corte ha respinto le menzogne nel caso di Beatriz, riconoscendo che la sua morte non era legata al divieto di aborto di El Salvador e che il suo diritto alla vita non era stato violato.
  2. Riconoscimento della dignità del nascituro: la Corte ha respinto i tentativi di disumanizzare Leylani, affermando che una corretta comprensione dei diritti umani non dà priorità al diritto alla vita del nascituro rispetto a quella della madre, ma garantisce chiaramente uguale protezione a entrambi.
  3. L’aborto non è riconosciuto come un diritto: la Corte ha chiarito che l’aborto non può essere considerato un “diritto” all’interno del sistema interamericano perché rimane un crimine. Un atto non può essere contemporaneamente un crimine e un diritto.
  4. Rifiuto della “violenza ostetrica” come argomento a favore dell’aborto: la Corte ha osservato che la violenza ostetrica deriva da carenze del protocollo medico, non da leggi che criminalizzano l’aborto. Ciò ha smontato le argomentazioni femministe che collegano la legislazione pro-vita alla violenza di genere.
  5. Riaffermazione della sovranità nazionale: con una decisione senza precedenti e inaspettata, la Corte ha dichiarato che, sebbene i Paesi siano liberi di attuare le sue raccomandazioni, non le imporrà ai Paesi membri. Ciò ha rafforzato la sovranità di El Salvador.

Più in generale, questa sentenza riafferma che le migliori pratiche per proteggere sia la madre che il bambino risiedono in protocolli medici che rispettano sempre, in ogni circostanza, la vita e non vedono mai l’aborto come una soluzione. Soprattutto, segna una svolta nella difesa della vita in Iberoamerica. Invia un messaggio chiaro: i diritti umani, compreso il diritto alla vita fin dal concepimento, non sono negoziabili.

La decisione della Corte interamericana dimostra che la difesa della vita può prevalere anche contro le massicce pressioni internazionali e le manipolazioni e menzogne dei media. Questo caso sottolinea anche l’importanza dell’organizzazione e dell’unità tra le organizzazioni pro-life della regione, che hanno lavorato insieme per smascherare le falsità diffuse dalla lobby pro-aborto. Questa vittoria non sarebbe stata possibile senza lo splendido impegno del Global Center for Human Rights. I suoi leader, Sebastián Schuff e Neydy Casillas, hanno dedicato anni della loro vita a coordinare gli sforzi in tutta la regione per garantire che la Corte interamericana rispettasse i diritti nazionali e la democrazia. Tra le altre cose, hanno lanciato il sito web casobeatriz.org per centralizzare le informazioni, promuovere le attività e facilitare la partecipazione di migliaia di cittadini attraverso una petizione diretta ai giudici della Corte. Questa vittoria serve da modello per resistere con successo alla cultura della morte in tutta la regione. La storia di Beatriz ci insegna che, se siamo uniti, la Verità e la Vita possono prevalere, anche contro le feroci bugie dei mercanti di morte.

Articolo originale pubblicato su Population Research Institute

 

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