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TRUTH

“Homo homini covid”. La paura dell’altro nella società covidiana

Dec 23, 2021

Oltre alla paura del contagio, i media trasmettono la paura dell’altro come un pericolo mortale per la propria incolumità. Lo stato genera così, per reazione, un clima di diffidenza e sospetto nei confronti degli altri. La spaccatura sociale è il lascito di Mattarella e l’eredità di Draghi. Una “fuga dall’altro” per salvare se stessi. È ciò che Sartre voleva dire affermando che “L’enfer, c’est les autres”. Oggi diremmo “homo homini covid est”.

di Miguel Cuartero Samperi

 

È ormai da anni che mentre preparo e consumo la colazione ascolto il radiodiornale rai del mattino. Quello delle sette o quello delle otto a seconda degli orari. Quando si è giovani, si sa, si è smaliziati e anche un po’ ingenui. Col tempo, al contrario del vino, forse si diventa un po’ più cattivi. O forse solo un po’ più consapevoli. Se prima credevo che ascoltare il radiogiornale mi servisse per essere informato sugli eventi più importanti, ormai ho capito che ciò che ascolto la mattina sono le cose che qualcuno, sù in alto, vuole che io sappia.

Con l’avvento del virus cinese e l’inizio dell’era pandemica, le cose si sono complicate e nell’anno secondo DC (Dopo Covid) ho ormai smesso di seguire il radiogiornale. L’ho fatto per preservare la mia salute psichica e quella di chi poi, col passare dei minuti, mi raggiungerà in cucina per la colazione.
Il radiogiornale è diventato oggi un bollettino da guerra tramite il quale le autorità comunicano ai cittadini le misure da adottare (più o meno liberamente) volta per volta, così come le pene a cui si andrà incontro nel caso di insubordinazione. Nonché la conta di morti e feriti secondo i dati ufficiali del ministero della sanità. Così la colazione diventa amara e la giornata si preannuncia molto più dura di quanto alcune giornate, già di per sé, tendono ad annunciarsi.

Ascoltare il radiogiornale oggi è fonte di preoccupazione e di angoscia (ecco perché la nota agenzia di stampa Ansa dovrebbe chiamarsi “Ansia”). “Il prossimo potresti essere tu!” Sembrano rassicurare i media ufficiali nell’invitarti a prendere precauzioni. “L’enfer, c’est les autres” scriveva amaramente Sartre nell’opera teatrale “Huis Clos” (A porte chiuse). E i grandi media fanno da cassa di risonanza al filosofo francese. Con la differenza che Sartre non parlava del distanziamento col ghigno di chi lo impone come misura di salvezza. Per Sartre lo sguardo sospettoso e il giudizio dell’altro non è che l’anticamera dell’inferno, il peggior incubo e supplizio. Sartre era infatti un uomo libero, un uomo afflitto dalla domanda di senso, un uomo assetato di speranza e alla disperata ricerca di una via per uscire dalla noia esistenziale provocata dalla vanità dell’esistenza, da quella morte ontica che chiamò “nausea” e che trascinò il suo protagonista Antoine Roquentin al più completo disgusto verso i suoi simili e verso il mondo che lo circondava. È in fondo quella disperazione che, alla luce della fede, il danese Soeren Kierkegaard definiva “malattia mortale”.

Questi invece non si curano della vera e unica malattia mortale che svuota di senso la vita umana e fa degli uomini dei lupi per i suoi simili. Questi si occupano di ben altro, ossia del tentativo di debellare una malattia (capace sì di uccidere, ma non così mortale come quella kierkegaardiana) della quale in due anni non hanno capito granché. Lo fanno promuovendo e imponendo un siero con la promessa di una immunizzazione totale dalla malattia, negando e nascondendo tutto ciò che non giovi alla loro narrativa. In realtà i media fungono da ossequiosi portavoce dei loro diretti superiori: coloro che detengono il potere. Sono dunque sacerdoti ripetitori degli editti del presidente del Consiglio e di quello della Repubblica, entrambi considerati degli oracoli dotati di un’incontestabile infallibilità quali due “pontefici laici”. Entrambi annunciano che la salvezza viene dal vaccino e che chi contesta il “TSO di stato” si oppone alla scienza, verso la quale è doveroso un religioso ossequio della mente e del cuore. Così Draghi ha promesso che chi si vaccina “non muore”, mentre Mattarella si congeda dalla presidenza chiedendo – sulla scia del senatore a vita, e fustigatore del popolo, Mario Monti – meno democrazia nell’informazione.

Ma la promessa dell’immunizzazione totale, ossia dell’immortalità, passa soprattutto dal il distanziamento sociale, considerata l’unica arma efficace contro il contagio. Distanziati di 1, 1,5 o 2 metri (a seconda dei luoghi e delle situazioni) saremo sempre sicuri di non avvicinarci troppo ai nostri simili, capaci di contagiare e di portarci alla tomba.

Oltre alla paura del contagio dunque, i media trasmettono la paura dell’altro come un pericolo per la propria incolumità. Tutto questo crea una reazione psicologica che porta ad un atteggiamento sospettoso e diffidente nei confronti dei propri simili. Anche dei propri familiari, dei compagni di classe, dei colleghi. Paradossalmente questa “fuga dall’altro”, viene spesso giustificata (sia dalle autorità che dagli stessi uomini che se ne autoconvincono) per motivi umanitari: per “uscirne quanto prima”, “per proteggere gli altri”, per “solidarietà”. Per tutti questi buoni motivi gli uomini si evitano e si distanziano nella paura che la prossimità diventi dannosa. In realtà ciò che assilla e preoccupa è la conservazione della vita, minacciata da chi ci sta accanto.

I media ripetono dunque senza stancarsi il mantra del distanziamento provocando inesorabilmente una fuga verso sé stessi nella speranza della conservazione della salute come bene primario. Così gli uomini provvedono a creare una sorta di vuoto salvifico attorno a sé tenendo a distanza i propri simili.

Ma a subire più di tutti il distanziamento sono alcuni individui che la stampa ha contribuito a indicare come elementi portatori del virus. Sono coloro che hanno rifiutato quello che qualcuno ha definito l’abbonamento al vaccino e che non si sono dunque sottoposti alla terapia che lo stato vuole imporre indirettamente con regole sempre più stringenti (i media le definiscono di volta in volta “nuova stretta”).

Ai cosiddetti “no-vax” (termine dispregiativo per i non vaccinati) non resta che la via stretta e tortuosa del tampone perenne, l’esclusione dalla vita sociale, dallo svago e dal divertimento; mentre è concesso l’utilizzo dei mezzi pubblici e il lavoro solo se muniti di certificato di buona salute, sotto forma di green pass che lo stato offre gratuitamente (così è scritto sul sito del governo) a chi paga per ottenerlo. Una “pressione psicologica”, come l’ha ha ben definita il ministro Brunetta, pensata per piegare l’ostinazione dei ribelli. Contro i no vax è permesso il dileggio pubblico. Anzi, è lo stesso governo, con la complicità dei media ad esercitare quel “bullismo di stato” che fa dei non vaccinati i nuovi lebbrosi o i nuovi negri, una volta esclusi dalla vita sociale perché contagiosi, diversi, pericolosi.

È curioso che coloro che oggi promuovono le divisioni, con le loro “strette” e le loro “pressioni psicologiche”, sono gli stessi che promuovono l’accoglienza degli immigrati, che si inginocchiano per le segregazioni razziali in america (sic!), Che si battono contro il bullismo e che si dipingono le facce e indossano gonnelline contro la violenza sulle donne. Sono coloro che l’altro ieri applaudivano l’enciclica Fratelli tutti e che dicevano: “uniti ne usciremo”.

Lo stesso presidente Mattarella nei suoi sermoni laici ha spesso parlato di coesione nazionale. Ma il suo operato ha contribuito a dividere la popolazione tra i “cittadini-virtuosi vaccinati” e “cittadini-violenti non vaccinati”. Se il Papa (l’uomo della Fratelli Tutti) lo ha ringraziato per la sua testimonianza, il Presidente – garante dell’unità nazionale – si congeda lasciando un paese polarizzato, con una frattura sociale senza precedenti. Infatti mai prima d’ora si erano manifestate divisioni così nette tra gli stessi parenti (stretti), tra amici, colleghi e compagni di classe, anche all’interno delle coppie di sposi o fidanzati, tra adulti e bambini, tra genitori e figli, considerati oggi il maggior pericolo da cui stare alla larga. Così cala il sipario sulla più alta carica dello stato.

l’Italia, si sa, non è mai stata una nazione unita. Chi, coraggiosamente, offre una lettura alternativa alla storiografia ufficiale legge il Risorgimento come un’invasione di stati sovrani. L’unità degli italiani è un progetto politico, un’utopia che si realizza ogni quattro anni in occasione dei mondiali di calcio. Oggi più che mai l’unità degli italiani è un sogno perduto, realizzabile solo con l’eliminazione e l’esclusione del diverso che minaccia la salute pubblica e diffonde il contagio.
“Homo homini covid”, è questo l’appello che oggi lanciano i nostri presidenti e i media nell’attesa che tutto passi… Tutti infatti passa: i nostri politici passeranno (è passato Conte, passerà Draghi e Mattarella sta passando…) e passerà anche il virus. La vera preoccupazione è capire cosa ne sarà di noi: se un giorno torneremo a fidarci l’uno dell’altro o se resteremo per sempre distanziati e diffidenti. Incattiviti come ci hanno resi, a furia di radiogiornali.

fonte: https://www.sabinopaciolla.com/homo-homini-covid-la-paura-dellaltro-nella-societa-covidiana/

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