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Governare l’Italia nella Tempesta Mondiale, Cercasi Statista. Che non c’è…Piero Laporta.

generale piero laporta marco tosatti stilum curiae Jan 04, 2024

FONTE : Stilum Curiae

Cari amici, il generale Piero Laporta offre alla vostra attenzione queste considerazioni sullo scenario geopolitico all’alba del nuovo anno. Buona lettura e condivisione.

Stampa e Tg fanno previsioni per il 2024. Noi ci limitiamo a un’analisi dello stato di fatto, guidati da tre millenarie leggi, più volte citate: 1) gli Stati nascono e muoiono con la guerra; 2) gli imperi crollano; 3) le cose cambiano, ma come Dio vuole.

L’Unione sovietica – un po’ più grande del Principato di Monaco, com’è noto – crollò la notte del Santo Natale (cattolico) 1991, senza sparare un colpo, vanificando la prima legge, elusa altre due volte (a dimostrazione che “le cose cambiano, ma come Dio vuole”) con la riunificazione tedesca e con la fine della Cecoslovacchia. Continueremo a essere così fortunati, come mai è accaduto nella storia? Nessuno può esserne sicuro, nessuno disperi.

Perché siamo in guerra? Per alzare il prezzo del petrolio e del gas naturale, nonché delle materie prime. Quali sono gli attuali rapporti di forza?

Nel 2012, l’ex Segretario di Stato, Henry Kissinger, intervistato da Jerusalem Post e Haaretz News, affermò: «Il sostegno per Israele negli Stati Uniti sta diminuendo e Israele cesserà di esistere nei prossimi dieci anni». Sono trascorsi dodici anni, sono scoppiate due guerre: in Ucraina e a Gaza. Gli Stati nascono e muoiono con la guerra. Teniamolo a mente.

La guerra in Ucraina iniziò il 24 febbraio 2022 quando la Russia invase il confinante. Gli Stati Uniti hanno finanziato l’Ucraina con 18,2 miliardi di dollari. La Casa Bianca ha chiesto al Congresso, che nicchia, ulteriori 6,4 miliardi di dollari, dei quali 3,5 miliardi di dollari per il Pentagono e altri 2,9 miliardi di dollari per assistenza alla sicurezza e aiuti umanitari. Comunque si concluda la disputa politica statunitense, essa è una frattura, fra le tante laceranti gli Stati Uniti, orizzontalmente (fra dominanti e dominati) e verticalmente, fra petrofinanzieri e produzione manifatturiera.

L’Unione europea, caudataria degli USA, ha dato 3,3 miliardi all’Ucraina e svuotato (per fortuna) i propri depositi di armi. Come l’Ucraina potrà ripagare l’enorme debito con gli USA e con la UE non ce lo chiediamo. Kiev ha dissipato 22 miliardi di dollari, sufficienti per una ciotola di riso a 66 miliardi di persone, ovvero sfamerebbero i 4 miliardi di poveri del Pianeta per un mese, oppure consentirebbero investimenti agricoli per arrestare la crescita dei prezzi degli alimentari e quindi combattere davvero la fame nel mondo.

Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha speso 800 miliardi di dollari per la guerra in Iraq, senza contare gli interessi sui fondi presi in prestito per finanziare le guerre. Le guerre in Iraq e in Siria hanno causato danni complessivi per 24mila miliardi di dollari.

Gli Stati Uniti finanziano da sempre Israele; dicono d’aver speso solo 260miliardi di dollari. La guerra in corso ancora non si sa quanto costerà.

Attenzione: il fronte opposto (Russia e Cina) non ha speso meno, mantiene tuttavia il segreto sulle cifre. È quindi inappropriato schierarli d’ufficio fra i “buoni”.

Superfluo fare la somma totale: è da capogiro, sicuramente oltre i 200 mila miliardi di dollari, fra Washington, Mosca e Pechino. Una tale somma sarebbe risolutiva per una quantità di problemi, non solo alimentari, dei paesi più poveri. Aborrono tuttavia tale soluzione. Perché?

L’Occidente è prigioniero del proprio progetto – oramai fallito – di governo mondiale, mentre non riesce a controllare Gaza.

Russia e Cina, viste le grottesche vulnerabilità dell’Occidente, ne approfittano e hanno qualche sassolino da togliersi.

Gli USA non per questo rinunciano alla politica imperiale. Joe Biden con un atto amministrativo ha pochi giorni fa ampliato la piattaforma continentale estesa (ECS) oltre le 200 miglia nautiche dalla costa, com’è invece sancito dall’UNCLOS (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare), l’accordo internazionale per l’utilizzo degli oceani e dei mari, riconosciuto come quadro giuridico generale per le attività negli oceani e nei mari.

I fondali marini dell’Artico sono ricchi di gas, petrolio, metalli e minerali. “La piattaforma continentale degli Stati Uniti ha circa 50 minerali duri necessari per la New Economy. Contiene noduli ricchi di minerali strategici ed elementi di terre rare necessari per tutto, dall’energia verde ai semiconduttori che guidano l’intelligenza artificiale. L’annuncio degli Stati Uniti sulla piattaforma continentale estesa (ECS) evidenzia gli interessi strategici americani nella messa in sicurezza di questi minerali duri”, ha detto James Kraska, professore di diritto marittimo internazionale presso l’US Naval War College.

Gli Stati Uniti non sono parte dell’UNCLOS, non possono quindi chiedere alla Commissione onusiana di convalidare le proprie rivendicazioni marittime. Washington dovrà quindi risolvere le controversie con altri Stati con accordi bilaterali, dopo aver imposto un atto unilaterale. L’Artico è divenuto un’altra frontiera di conflitto: cercano lo scontro. Perché?

Osserva Marco Palombi nel suo interessante saggio “Tre Dottrine e un Perdente”[1]:«I tre concetti principali della dottrina (Monroe, NdA) – sfere di influenza separate per le Americhe e l’Europa, non colonizzazione e non intervento – sono stati espressi per definire una chiara rottura tra il Nuovo Mondo e i regni autocratici dell’Europa. L’amministrazione Monroe avvertiva in questo modo le potenze imperiali europee di non interferire negli affari dei nuovi stati indipendenti dell’America Latina o dei potenziali territori degli Stati Uniti.» Questa dottrina, unita alla “brinkmanship”[2] rese ridondanti le armi nucleari, paralizzandone l’impiego[3]. Oggi non è più così.

Gli Stati Uniti sanno che il loro impero può sopravvivere o scendendo a Patti con Cina e Russia oppure prendendo il controllo planetario. Joe Biden ha scelto la seconda strada; egli ha quindi accettato il confronto militare in Ucraina; egli ha determinato la fine dell’autonomia tedesca (e quindi dell’UE) che importava energia e materie dalla Russia. Joe Biden ha operato manu militari. Troppo tardi però gli USA si sono resi conto che la NATO non può combattere. Lo impedisce una questione politica: il collateralismo di Turchia e Russia. Lo impedisce l’insufficienza di soldati NATO pronti al combattimento. Lo impedisce la vastità del teatro da investire. Lo impedisce la strategia nucleare “sovietica”, ben definibile così perché consente a Mosca un ritorno ai giorni di Stalin, quando l’Unione Sovietica fu una minaccia atomica concreta per gli USA. Oggi la strategia Giorno del Giudizio[leggi qui], sottopone le metropoli costiere degli Stati Uniti alla minaccia d’uno tsunami, mediante siluri nucleari senza equipaggio e non intercettabili. L’incubo del Pentagono.

Putin, visto l’immobilismo della NATO, ha aperto il fronte di Gaza e nel golfo Persico, grazie all’Iran. Biden ha mandato le portaerei a mostrare i muscoli, come farebbe un giovanotto scemo per attirare l’attenzione delle ragazze sulla spiaggia. Tutto inutile. Il gruppo d’attacco della portaerei USS Gerald R. Ford lascerà il Mar Mediterraneo orientale nei “prossimi giorni”, tornando a Norfolk, in Virginia, riferisce ABC News. I costi di un minuto di navigazione di una squadra navale sono vertiginosi. Il futuro politico di Joe Biden è segnato e la profezia di Kissinger grava su Israele.

Il vaticinio aveva una spiegazione nel governo mondiale, come abbiamo visto indispensabile alla politica imperiale, che lo stesso Kissinger annunciò agli albori della sua carriera politica. La difficoltà d’annacquare il nazionalismo di Israele, Germania, Gran Bretagna, Francia e degli stessi Stati Uniti si risolve in un caos tragicamente grottesco: uomini, donne, giovani, vecchi e bambini inutilmente immolati a un progetto sgangherato.

Così il sionista Benjamin Netanyahu è caduto nella trappola dei servizi sovietici. L’assalto di Hamas e la cattura degli ostaggi ha tolto a Israele ogni capacità decisionale. A Gerusalemme è rimane solo la carta della guerra a oltranza: una sicura sconfitta politica, una precaria possibilità di limitato successo militare, senza via di scampo. Di certo la possibilità d’una nuova diaspora, la fine di Israele come Kissinger previde, mentre l’odio antiebraico è crescente, incontrollabile.

Quanti esultano sul fronte opposto per questi successi di Vladimir Putin dovrebbero riflettere.

Primo. La Cina, un miliardo e 300mila persone, condivide con la Russia 4mila chilometri di confine. Se Mosca schierasse un carro armato per chilometro, un filo di seta, necessiterebbe di 4mila carri armati che non ha. In altre parole, chiunque perda fra Putin e Biden, Xi Jinping ha vinto.

Secondo. Se la Nomenklatura sovietica scelse un cekista per il Cremlino, non si può escludere che, sfiancata la NATO – fra l’Ucraina, il Mediterraneo, l’Africa e il Golfo Persico – il dittatore sovietico getti la maschera e vada a un modello di dittatura cinese, con un’oligarchia dominante su una massa di dominati così come a Pechino, dov’è il dittatore più potente e longevo, Xi Jinping. D’altronde il modello russo è oggi poco distante da quello cinese.

Il paradosso è che la scristianizzazione dell’Occidente, grazie anche a un Vaticano governato da criminali genuflessi alla City, invece del kissingeriano nuovo ordine mondiale, potrebbe spalancare le porte a Pechino. È un possibile esito che non dovrebbe entusiasmare, mentre i cattolici cinesi sono perseguitati come nell’Impero romano.

Le dittature non sono tuttavia vocate a convivere. Fra Mosca e Pechino non sono rose e fiori. Marzo 2023. Due settimane prima della visita di Xi Jinping a Mosca, i cinesi pubblicarono la carta geografica dei confini con la Russia. I nomi dei territori occupati da Mosca nei due secoli precedenti scritti in cinese. Sono territori (p.e. Vladivostok e Sakhalin) sempre rivendicati da Pechino, come ben sapeva Henry Kissinger, che nel 1973 aprì le relazioni con Mao Tse Tung proponendogli di intercettare le comunicazioni sovietiche nelle zone contese del fiume Amur. Pechino accettò. I sovietici respingono da sempre le rivendicazioni territoriali cinesi, sebbene abbiano taciuto sulle carte geografiche scritte in cinese durante la visita a Mosca di Xi Jinping. Insomma, più che alleanza fra Mosca e Pechino, è complicità ai danni di anglosassoni scristianizzati e smidollati. Quanto durerà?

Qual è la strategia possibile per l’Italia? La strategia è l’arte di conservare la capacità di scelta, di decidere autonomamente.

L’Italia può fermare o influenzare il corso delle guerre in atto? No, nel modo più assoluto. Smettiamola allora di invocare la pace, come ci inducono i caproni del Vaticano. La pace conviene solo al più forte, al dominatore, come noi certamente non siamo.

Altro che pace. Dobbiamo attizzare la guerra affinché sionisti e musulmani si scannino fra di loro, affinché le grandi potenze s’azzannino irreparabilmente, attizzare la guerra senza lasciarci coinvolgere. Solo così possiamo risalire la china in fondo alla quale ci spinsero i grandi, grazie ai tradimenti di PCI, DC, PSI e PRI, anche uccidendo Aldo Moro. C’è un rischio?

Certamente, altrimenti non sarebbe una strategia di guerra. È tuttavia un rischio di gran lunga minore di quanto pagheremmo lasciandoci sottomettere da una parte che presumiamo apoditticamente vincitrice ma non lo è affatto. Russia e Cina sono due pentole a pressione, la cui reale condizione è molto meno sicura di quanto appaia. D’altronde se Russia e Cina andassero allo scontro diretto con l’Occidente, il loro primo obiettivo sarebbe la City di Londra, lasciando intatti i loro potenziali mercati di interscambio: Europa e Stati Uniti.

Donald Trump vuole gli Stati Uniti fuori dalla NATO proprio per gli USA lontani da uno scontro diretto con Mosca e Pechino a causa della City. Mentre la guerra fra le superpotenze non conviene a nessuna delle due parti, l’annientamento della Gran Bretagna non sposterebbe di un’acca gli equilibri politici, militari ed economici. Un po’ di morti, nulla tuttavia al confronto della montagna di cadaveri massacrati dopo la Seconda Guerra Mondiale.

L’Italia deve rimanere fuori da questo gioco, senza ostacolarlo anzi favorendolo a proprio vantaggio. Non ha scelta, sapendo che gli imperi crollano. Non è detto che crolli un solo impero, ma anche due e persino tre contemporaneamente. Per governare la nave in queste onde occorre quindi uno statista. Questo è il vero problema dell’Italia. Non disperiamo. A suo tempo Nostro Signore mandò una Giovanna d’Arco, una ragazzina di sedici anni, analfabeta, che convertì e guidò alla vittoria un esercito di rozzi tagliagole. Noi oggi abbiamo solo gli analfabeti, in tutti gli schieramenti, con rarissime eccezioni. Non disperiamo. Le cose cambiano, ma come Dio vuole. Poi Giovanna d’Arco finì sul rogo e, nonostante questo, è tuttora chiaro che Cristo Vince. www.pierolaporta.it

 

[1] Marco Palombi “Tre Dottrine e un Perdente” https://shorturl.at/juDKS

[2] Brinkmanship lo si può definire “bullismo geopolitico concordato”: la parte più forte del momento spinge l’avversario con le spalle al muro, dandogli infine la possibilità di ritirarsi onorevolmente, sì da evitare un conflitto su vasta scala o addirittura nucleare. Un esempio è la crisi di Cuba, vittoria degli USA. Un altro è la crisi di Berlino, vittoria dell’Unione Sovietica. Un altro esempio è la guerra di Yom Kippur, guerra finta coi morti veri, che convogliò guadagni sui produttori di petrolio arabi, statunitensi, sovietici e sulla City di Londra.

[3] Palombi cit.

Gen. D.g.(ris.) Piero Laporta

www.pierolaporta.it

 

 

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