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Gli Angeli, nostri protettori e consolatori silenziosi

francesco lamendola Oct 15, 2022

di Francesco Lamendola

Il momento storico che stiamo attraversando è caratterizzato da una grandiosa battaglia spirituale: e nelle battaglie spirituali non combattono solo gli esseri umani, ma anche le forze soprannaturali. In realtà, tutta la storia umana è, fin dall’inizio, ossia fin da Adamo ed Eva, una grandiosa battaglia spirituale, la cui posta in gioco è la fedeltà dell’uomo a Dio e, quindi, la sua felicità e la salvezza eterna; ma, stranamente, ce n’eravamo dimenticati. O forse non tanto stranamente, visto che le forze del male si sono sempre impegnate, col massimo zelo, a farcelo scordare. Come? Spostando tutta la nostra attenzione sul mondo di quaggiù, che, considerato come finito in se stesso, non è né mai potrà essere un paradiso terrestre, ma sempre e solo l’anticamera dell’inferno, se non pure l’inferno vero e proprio. 

Il loro sforzo è sempre rimasto in bilico, contrastato vigorosamente dalla vigile coscienza degli uomini, con l’aiuto della grazia divina; ma nell’ultimo mezzo secolo la bilancia si è spostata clamorosamente, e ora le forze del male sono arrivate vicinissime a realizzare il loro antico obiettivo. Gli uomini, a cominciare dai cosiddetti credenti, si sono dimenticato che la vita è una battaglia spirituale, che tutta la storia del mondo è un’incessante battaglia spirituale; si sono rilassati, si sono distesi, hanno proclamato il disarmo unilaterale e il pacifismo ideologico, incolpando la fede stessa di tutte le tensioni, le paure, le ingiustizie e gli errori della storia umana, maledicendo chi voleva conservare le armi al piede e spalancando le braccia ai nemici travestiti da agnelli, ai lupi pronti a divorare le inermi pecorelle. Lasciamo perdere come ciò sia avvenuto, e sia stato reso possibile dalla slealtà e dal tradimento degli stessi condottieri dell’armata cristiana (e già questa similitudine, ne siamo certi, darà moltissimo fastidio a questi pacifisti strabici, che vedono amici dove ci sono soltanto nemici pronti a cogliere l’occasione favorevole, mentre dove ci sono gli amici, vedono dei nemici da denigrare e allontanare con disprezzo; ne abbiano parlato tante altre volte: ma il fatto è quello. Possiamo dolercene, possiamo recriminare finché vogliamo (benché ciò sia sterile) ma non possiamo mutare di una virgola la realtà delle cose, almeno fino a quando non saremo persuasi che è così.

Ora, se la battaglia è spirituale, dobbiamo evitare di lasciarci atterrire dalle forze del male, le quali effettivamente paiono scatenate come mai prima nella storia, ricordandoci che non ci sono esse soltanto, ma anche quelle luminose, che combattono a nostro favore; non ci sono solo i demoni dell’inferno, impegnati – con successo – ad allontanarci da Dio, e quindi a minacciare al cuore la nostra vita di grazia, senza la quale siamo del tutto impotenti; ma ci sono anche gli Angeli del cielo, posto da Dio al nostro fianco per assisterci, così nella vita individuale, come in quella complessiva del corpo sociale. Ogni anima, e non solo quella dei battezzati (lo insegna, sulla scorta di san Girolamo, san Tommaso d’Aquino nella Summa teologica,I,113,4) è assistita da un Angelo custode; e l’umanità intera ha un validissimo aiuto e conforto nelle schiere celesti degli Angeli e degli Arcangeli. La Chiesa lo ha sempre saputo e ha sempre raccomandato la fidente devozione nei confronti degli Angeli: basti pensare alle preci leonine che il grande papa Leone XIII nel 1884 prescrisse di recitare al termine della santa Messa, per invocare la protezione di San Michele Arcangelo e delle schiere celesti contro l’insidia degli spiriti infernali. Egli prese quella decisione, pare, dopo una terribile visione ultraterrena, che lo aveva lasciato letteralmente sgomento: quella di un assalto spaventoso del demonio contro la Chiesa stessa. Ma poi, nel 1965, da Paolo VI, essa è stata espunta dalla liturgia del Messale romano. Non ce n’era più bisogno? Il pericolo era dunque passato?

Più di sessanta anni fa, pertanto prima del Concilio Vaticano II e della riforma liturgica di Paolo VI, la fede negli Angeli, che pure è esplicitamente affermata nelle Sacre Scritture, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, ed è sempre stata insegnata e trasmessa dal sacro magistero, oltre che dalla tradizione (minuscolo) e dalla pietà popolare, era già alquanto in ribasso, per non dire che era stata di fatto quasi abbandonata.  

Ne prendeva atto, con dolore, l’illustre cappuccino tedesco Otto Hophan (1898-1968), il quale per rivitalizzarla scriveva un’opera appositamente concepita, tanto dotta quanto ispirata e vibrante di calore e di lice spirituale, Gli Angeli, dalla quale togliamo queste riflessioni (titolo originale, Die Engel, Luzern, Räber e Cie, 1956; traduzione W. Sanvito e G. Antonelli, Roma, Edizioni Paoline, 1959, pp. 7, 9):

Gli angeli sono divenuti degli esseri sconosciuti. Anche dinanzi alla coscienza cristiana, queste potenti e benevole personalità spirituali dell’aldilà si sono da molto tempo sbiadite, si sono ingraziosite in un angelo custode tenero e carino oppure si sono appiattite in una preoccupazione estetica nel campo dell’arte. (…)

Nel nostro tempo un libro sugli angeli acquista un particolare significato, poiché ci troviamo di fronte ad una apocalittica lotta di spiriti. Gli angeli, queste affermazioni dello spirito fatte persone viventi, sono oltre tutto un energico rifiuto del grande e grossolano errore del nostro secolo, che nega lo spirituale e pone come unica realtà la materia.

Lo Spirito più alto ha affidato agli angeli il compito di custodire ed incrementare lo spirituale anche in mezzo agli uomini d’oggi.

C’è, nella vita del padre dello scrittore Vittorio Messori – un uomo schivo e riservato, il quale nell’ultima fase della Seconda guerra mondiale aveva militato nell’esercito della Repubblica Sociale ed era stato addestrato, coi suoi commilitoni della divisione Littorio, in Germania - un episodio misterioso, raccontato dal figlio in una pagina d’una struggente intensità e commozione (V. Messori e A. Tornielli, Perché credo. Una vita per rendere ragione della fede, Piemme, 2008, pp. 130-132):

Comunque, prima di essere schierata sulle montagne piemontesi, la Littorio aveva fatto parte delle divisioni di Salò addestrate in Germania. Addestramento durissimo, nel clima di sospetto, anzi di disprezzo, per i traditori, da punire più che da appoggiare. Ebbene, racconta mio padre in quel manoscritto che una sera, a Bielefeld, nella Renania-Westfalia, durante la breve libera uscita dalle baracca del lager dove sadici sottufficiali della Wehrmacht gli insegnavano a fare la guerra (era sergente maggiore anche lui, ma lo era stato nel disprezzato esercito di un impero di cartongesso); una sera, dunque, sedeva su una panchina, tormentato dalla fame e dal desiderio di tabacco, di cui era gran consumatore. Era afflitto anche dalla nostalgia di casa, dove l’aspettava la giovane moglie e un piccolo di poco più di due anni, il qui presente Vittorio Giorgio, che aveva potuto vedere pochissime volte. Davanti alla panchina dove sedeva sconsolato, c’era una vecchia villetta con tutte le finestre sbarrate e dalle quali non filtrava alcuna luce. D’improvviso, la porta si aprì e ne uscì una bella bambina, ovviamente bionda, che attraversò la piazzetta deserta e buia e gli consegnò un pacchetto confezionati con carta elegante e con un nastro dorato. Glielo diede senza una parola, sorridendogli, e ritornò da dove era venuta. Sbalordito, mio padre aprì il pacco: dentro vi era una fetta di torta e due sigarette. Una benedizione per un affamato, per giunta in crisi di astinenza dal fumo. Il giorno dopo ci fu un bombardamento a tappeto a Bielefeld e anche i militari italiani del campo di addestramento furono mobilitati per lo sgombero delle macerie. La squadra comandata da mio padre fu inviata proprio nel quartiere dove sorgeva la villetta da cui era uscita la bambina: sorgeva, dico, perché era stata completamente rasa al suolo. Addolorato, chiese notizie sulle vittime al giornalaio che aveva sulla piazza un chiosco che era rimasto intatto. L’uomo, che lavorava lì da sempre, gli disse che non c’erano stati morti perché da molto tempo l’edificio era disabitato, tanto che la porta era stata murata e le finestre fermamente sbarrate. Quando mio padre, che ormai parlava un poco di tedesco, gli disse che proprio da quella porta murata era uscita una bambina, fu guardato come un matto e gli fu risposto che, tra l’altro, i proprietari erano molto anziani e che di piccoli, lì, non ce n’erano mai stati.

Dice mio padre nel suo manoscritto che per fortuna aveva tenuto, per riconoscenza, la carta e il nastro con cui il piccolo, prezioso, dono era confezionato: per fortuna, annota, perché fu per lui la prova di non essere stato vittima di un’illusione, magari di un’allucinazione da fame. Tra l’altro, ricorda che nessun tedesco avrebbe avuto un simile gesto come quello, non solo di solidarietà ma anche, se vuoi, di onore (il pacchetto confezionato come un regalo) per uno scalcagnato soldato di un esercito improvvisato, composto da quei traditori e imbelli di italiani che – come già successo nel 1914 – da alleati erano divenuti nemici, seppur tanto ridicoli da farsi disarmare a milioni, nella loro terra stessa, da pochi tedeschi. Proprio perché aveva ben conosciuto quel disprezzo e quella avversione – poco prima era stato sbattuto fuori letteralmente a calci da un panettiere cui aveva chiesto di comprare un pezzo di pane senza tessera – nel suo manoscritto parla di un “angelo” come l’ipotesi più ragionevole, malgrado il suo temperamento fosse il contrario (in questo ho preso da lui) della credulità e della mistica.

Sia come sia, mai ce ne parlò, tenne per sé quel piccolo segreto e solo alla soglia dei novant’anni, “en passant”, ne ha lasciato traccia in quel suo manoscritto. Lo scoprimmo da soli perché, per pudore (o per il solito rispetto umano) non ce lo segnalò. Ma ho il sospetto che quell’evento lo abbia segretamente accompagnato nella vita che, ti dicevo, non fu quella del praticante ma, ne son certo, del credente, seppure con totale discrezione. E “l’angelo di Bielefeld” deve aver avuto, segretamente, un ruolo. Oso pensare che quella bambina bionda apparsa dalle tenebre del crepuscolo terribile del Terzo Reich lo abbia accolto con lo stesso sorriso al di là della porta del tempo.

È una storia che fa riflettere: quella carta e quel nastro sono lì a conferma di un fatto reale.

Quando la nostra generazione era bambina, la sera, prima di andare a letto, recitava, fra le altre preghiere, l’Angelo custode.

Era una bella e pura devozione: trasmetteva la fiducia di non essere mai soli contro le tentazioni e contro il male, neanche nei momento peggiori; ma di essere sempre assistiti, consigliati e protetti da quella potente presenza amica: invisibile, perché totalmente spirituale, ma viva e reale. Poco dopo è arrivata la stagione dei “cattolici adulti”, di padre Turoldo che spezza e calpesta sotto le scarpe la coroncina del Rosario, poi di Enzo Bianchi il quale ci spiega che Gesù Cristo era solo un profeta, cioè un semplice uomo; infine di padre Sosa Abascal il quale afferma con molta disinvoltura, parlando a un giornalista come un tempo i sacerdoti parlavano ai fedeli in chiesa, che il diavolo non esistite, è solo un simbolo del male: insomma che la Chiesa cattolica per duemila anni, e lo stesso Gesù Cristo, quando liberava gli indemoniati, magari scacciando i demoni in un branco di porci, hanno scherzato.

Niente male, come scherzo. È tanto perfido e sottile che par quasi uscito da quell’inferno in cui tanti “cattolici” di fatto non credono più.

Nella Basilica Superiore di Assisi c’è un affresco di Giotto (e aiuti) che rappresenta La cacciata dei diavoli da Arezzo: fu dipinto alla fine del XIII secolo, fra il 1295 e il 1299. L’opera è ispirata alla Leggenda maior (VI, 9) nella quale si narra che, quando giunse in vista di Arezzo, il Santo vide un nugolo di diavoli esultanti sopra i tetti e i campanili della città, e ordinò al suo compagno di andare a scacciarli presso la porta, come Gesù aveva insegnato ai suoi Apostoli; così avvenne, e i diavoli fuggirono via. Oggi si fa un gran parlare di san Francesco, strumentalizzandolo a scopi partigiani, ma ci si guarda bene dal prendere per buoni simili episodi, relegandoli fra le pie leggende create da un’ingenua devozione popolare.

C’è chi prende dalla vita di san Francesco quello che gli fa comodo, e ignora il resto. Oggi una immensa armata infernale incombe non sulle singole città, ma sul mondo intero: e le sue schiere son così fitte e sconciamente esultanti da oscurare il Sole. Nelle tenebre fitte che sono scese abbiamo smarrito e capovolto il vero e il falso, il bene e il male, il bello e il brutto.

Dobbiamo pregare: Dio Padre, il Figlio, lo Spirito Santo; la Madonna e i Santi; gli Angeli e Arcangeli. E ricordarci dell’Angelo custode e pregarlo come facevamo da bambini: Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi, governa me, che ti fui affidato dalla Pietà celeste. Amen.

 

 

 

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