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Giù le mani, la cultura è cosa nostra

marcello veneziani Jul 08, 2024

di Marcello Veneziani

Da che pulpito viene la predica. La casta intellettuale di sinistra rimprovera alla destra di governo di prevaricare, intimidire e censurare la cultura non allineata al potere politico. Leggendo il documento firmato dagli scrittori invitati alla fiera del libro di Francoforte contro le ingerenze del governo Meloni sulla cultura e la denuncia di censure, prevaricazioni e intimidazioni, ho ripensato agli ultimi cinquant’anni di vita culturale del nostro Paese, di cui sono stato testimone e non solo. Per più di mezzo secolo c’è stata una dominazione ideologica di sinistra e un’occupazione vasta e capillare dei ruoli strategici nelle fabbriche della cultura, dell’editoria, dell’opinione pubblica, nei premi letterari, nelle rassegne. Quella dominazione ha investito, e ancora investe, la cultura, l’arte e l’editoria, il cinema e il teatro, i mezzi d’informazione e le università, a partire dalle facoltà umanistiche. Intellettuali, scrittori, registi, artisti, attori, impresari, produttori non trovano spazio se non sono sotto quell’ombrello. 

Dieci anni fa, nel 2014, moriva il filosofo spiritualista Giovanni Reale, grande studioso, curatore e traduttore di Platone e del pensiero antico. Poco prima di morire era intervenuto sul Corriere della sera per denunciare  «la dittatura culturale del marxismo» degli scorsi decenni, oggi sostituita, a suo dire, da «un laicismo estremista, che è una forma di illuminismo integralista, anticattolico e antireligioso, non meno pericoloso». Reale citava alcuni esempi di quella dittatura, e anche esperienze personali, avvertimenti accademici e minacce di cordoni sanitari. Era caduta da tempo l’impalcatura concettuale del marxismo, era tramontata pure l’utopia di un mondo migliore, prevaleva il modello globale liberal-capitalista; ma finito il marxismo e il comunismo, è rimasta la presunzione di superiorità e la pretesa di monopolio, direzione e supremazia per diritto divino della casta egemone. Chi si oppone a quel predominio è ritenuto un barbaro e un oscurantista; di conseguenza se ci sono scrittori, artisti e autori che smentiscono il cliché destra=ignoranza, bisogna cancellarli, escluderli, far finta che non esistano.

Dittatura è forse esagerato perché non sono state soppresse le culture divergenti né perseguitati i dissidenti (lo stesso Reale, occupandosi peraltro di ambiti di studio più neutrali, era in cattedra e non pubblicò le sue opere in clandestinità); sono state piuttosto silenziate ed emarginate figure e opere non allineate e perciò bollate d’infamia. Egemonia e intolleranza, censura ed esclusione, intimidazione ed emarginazione, magari in versione soft. Tutto ciò accadeva pur avendo al governo un partito centrista, d’ispirazione cattolica e moderata come la Democrazia Cristiana. E quella supremazia è perdurata anche dopo, quando c’è stato al governo Berlusconi con la destra. 

Prima di Reale, dagli anni settanta in poi c’è chi aveva vanamente denunciato il predominio progressista, radicale e marxista-gramsciano nella cultura, negli atenei e nelle scuole e la discriminazione: da Fausto Gianfranceschi a Gianfranco Morra, da Gianfranco de Turris a Lucio Lami, da Enzo Giudici a Vittorio Enzo Alfieri, da Gigliola Asaro Mazzola a Vittoria Ronchey. Numerosi gli autori cancellati o avversati, silenziati, contestati o messi fuori gioco perché ritenuti di destra o transfughi dalla sinistra: Augusto del Noce e Renzo De Felice, Giuseppe Prezzolini e Panfilo Gentile, Julius Evola e Pio Filippani Ronconi; e poi Rosario Assunto, Rodolfo Quadrelli, Ettore Paratore, Michele Federico Sciacca, Vittorio Mathieu, Saverio Vertone, Sergio Ricossa, Cornelio Fabro, Lucio Colletti, Armando Plebe, Piero Buscaroli, Alfredo Cattabiani, Guido Morselli, Giuseppe Berto, Eugenio Corti e Carlo Sgorlon. 

Il dominio laicista e progressista della sinistra non spiega però del tutto perché siano stati emarginati autori controcorrente. Alla protervia dei primi corrispondeva l’ignavia di altri. In ambito cattolico venivano salvati i catto-democratici e i progressisti, e discriminati i cattolici conservatori, tradizionalisti o soltanto non progressisti, e in generale chi coltivava una visione spirituale della vita, della politica e dei legami comunitari (sono stati tollerati, invece, gli spiritualisti fuori dal mondo e dal tempo, quelli che venivano definiti neo-gnostici). Per la verità, a quell’emarginazione ha concorso l’incultura dominante negli opposti versanti, il disprezzo per la cultura e il disinteresse, da parte della destra, dei liberali e dei cattolici; l’assenza di progetti culturali alternativi, la mancata formazione di nuove leve. Dietro ogni egemonia c’è anche una resa o una diserzione; per viltà, ignoranza o tornaconto di corto respiro. È frequente la tendenza a barattare la propria sopravvivenza al potere politico-amministrativo in cambio del sub-appalto della cultura alla casta radical-progressista e ai suoi funzionari. Succede ancora.

Con tutti questi precedenti e con l’occupazione stabile del potere culturale nei suoi luoghi più significativi, suona beffardo apprendere che oggi sarebbe in atto una prevaricazione da parte della destra di governo ai danni della cultura e degli autori ritenuti di sinistra. Primo, perché è falso, godendo i suddetti di una visibilità, di un’intoccabilità e di un’assoluta libertà in ogni senso e in ogni ambito. Secondo, perché se pensiamo al mezzo secolo di dominazione sinistrese alle spalle, siamo davvero al bue che chiama l’asino cornuto.

(Panorama n.28)

FONTE : Marcello Veneziani

 

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