Francesca Cabrini, una santa “femminista”?
Oct 17, 2024di Federica Di Vito
Targato Angel studios e distribuito da Dominus Production – una garanzia per chi ha visto Sound of freedom o chi si è divorato le puntate di The Chosen -, nelle sale italiane è arrivato in questi giorni in anteprima (sarà poi disponibile dal 17 ottobre) il film Francesca Cabrini. Regia del messicano Alejandro Monteverde (il regista del prima citato “miracolo” cinematografico da 250 milioni di spettatori, Sound of freedom), la produzione è italiana e americana: con la partecipazione di Veronica Berti Bocelli, il cui marito Andrea canta insieme alla figlia Virginia la canzone del film “Dare To Be”. Il cast italiano vede Cristiana Dell’Anna prestare il suo volto alla santa Francesca Cabrini (che molti ricorderanno per la serie Gomorra), Giancarlo Giannini (papa Leone XIII), Romana Maggiora Vergano (Vittoria) e Federico Ielapi (Paolo).
Contesto storico: «Tra il 1889 e il 1910 emigrano negli Stati Uniti oltre due milioni di italiani. Sono poveri e spesso analfabeti. Gli americani li considerano di intelligenza inferiore e adatti ai lavori umili», così una scritta sullo schermo ci dà il benvenuto. La scena si apre sul panorama di Codogno, Lombardia, dove alcune suore sono intente nei loro lavori. È qui che madre Cabrini e il suo gruppo di missionarie gestisce la Casa della Provvidenza, un’istituzione caritativa per accogliere bambine orfane. Dopo essere stata inizialmente respinta dall’ordine delle Figlie del Sacro Cuore per la salute cagiovenole, Francesca non si scoraggia e prende i voti, aggiungendo Saverio al suo nome, in onore del santo gesuita Francesco Saverio, patrono delle missioni.
Quella di madre Cabrini è infatti una vocazione fortemente missionaria – che arriverà a ispirare madre Teresa di Calcutta; durante il film, tramite alcuni flashback della sua infanzia si intuisce che l’amore che da suora la spinge verso il prossimo è iniziato molto prima di prendere i voti. Francesca Cabrini è due volte sopravvissuta: la prima, quando nasce settimina (nel 1850) decima di undici figli, di cui solo quattro arriveranno all’età adulta. La seconda, quando rischia di annegare nell’acqua della Venera.
Nel film, l’immagine di lei bambina mentre osserva delle barchette di carta portate via dalla corrente racconta proprio questo fatto. Quando era ospite dello zio materno, correva alle sponde della Venera, un canale che si getta nel Po, per affidare alla corrente barchette colme di viole mammole. Se le si chiedeva perché mettesse le viole in quelle barchette, rispondeva: «Non sono viole, sono le missionarie che partono per la Cina». Un giorno, sportasi troppo, corre seriamente il rischio di annegare. Viene salvata, pur riportando una brutta bronchite – che le lascerà pesanti strascichi a vita.
Ed ecco che la trama parte quando arriva un invito dal Vaticano: madre Cabrini deve recarsi a Roma dal Papa. Il suo obiettivo insieme alle sue consorelle è riuscire a creare un «impero della carità», una rete di aiuto sociale che raggiunga tutto il mondo a partire dalle periferie, con il presupposto che il mondo sia «troppo piccolo per ciò che intendo fare», ripete spesso Cabrini. Desiderosa di iniziare la sua missione in Cina, madre Cabrini si rivolge con insistenza al Papa tramite un cardinale, senza però ottenere niente. Arrivata in Vaticano, chiede con decisione di parlare direttamente con papa Leone XIII, tra gli sguardi poco amichevoli dei cardinali.
Il Papa sa intravedere nella debole suora la tenacia che viene da Dio, ma le cambia destinazione, affidandole il compito di diventare la prima donna a capo di una missione oltreoceano, non in Oriente, bensì in Occidente. Il suo lavoro si svolgerà fra gli italiani emigrati negli Stati Uniti fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, molti dei quali vivono nella zona malfamata di Five Points, quartiere degradato di Manhattan.
In poco tempo lei e le sue consorelle si scontrano con condizioni di estrema povertà, soprattutto per i bambini delle famiglie immigrate lasciati a se stessi. Criminalità, prostituzione, scarse condizioni igieniche e la totale incuranza, unita al disprezzo, dell’Upper West Side di New York. A “coronare” il tutto, una realtà diocesana intiepidita e piegata alle intimidazioni dell’amministrazione comunale. Impaurite forse, ma tutt’altro che scoraggiate, le suore prendono in mano il vecchio orfanotrofio del quartiere e tra ratti e sporcizia gli danno nuova vita. Quello sarà solo un piccolo seme dell’opera immensa che ne frutterà. Tira letteralmente fuori dalle fogne i bambini e cerca di dare loro una speranza, con quella che lei chiama «educazione del cuore». Così farà anche con la giovane Vittoria, una prostituta che riesce a tirar fuori dalla malavita donandole nuova dignità, a prova della mente aperta e la carità accogliente proprie della Santa.
Pulizia, ordine, vestiti eleganti e crostate alla marmellata. Così i bambini sentono, forse per la prima volta in vita loro, quell’amore necessario per diventare adulti, ma non solo. Lo scopo delle suore è quello di istruirli per renderli anche cittadini statunitensi lodevoli e responsabili. Il numero di bambini accuditi cresce vertiginosamente e così la suora, abile a far sentire la sua voce – arriva persino a catturare l’attenzione di un giornalista del New York Times a cui mostra la realtà drammatica del quartiere di Five Points: «New York è costruita sui cadaveri e sulle ossa degli immigrati» e «i ratti vivono meglio dei bambini di Five Points», scriverà il reporter – e raccogliere fondi in modo arguto, troverà strutture sempre provvidenzialmente puntuali.
Guardandola alle prese con ostruzionismo politico, minacce, pregiudizi verso la sua italianità, si ha l’impressione che il poco tempo di vita che pensava di avere a disposizione – in realtà poi lavorerà allo stremo dello forze fino all’età di 67 anni – voleva fosse tutto speso in una carità operante e contagiosa. E che quella stessa brevità le avesse regalato il coraggio di scontrarsi con l’autorità, laddove essa rappresentasse un ostacolo alla giustizia sociale (e divina), con la certezza che «Davide è diventato re solo dopo aver sconfitto Golia», come dice madre Cabrini al Papa. In breve tempo, Francesca Cabrini diventa una delle donne più influenti della sua epoca. Fonda l’ospedale Columbus, uno dei migliori di New York per immigrati di ogni provenienza. Attraversa più volte l’Oceano Atlantico, dalle Ande e le terre del Centro America, Brasile, Argentina, all’Europa e Stati Uniti, fondando 67 istituti tra scuole, ospedali e orfanotrofi. Arrivando, infine, anche all’ambita Cina.
Muore il 22 dicembre 1917 a Chicago. Il 13 novembre 1938 viene proclamata Beata; il 7 luglio 1946 papa Pio XII procederà alla canonizzazione e l’8 settembre 1950 è dichiarata Celeste patrona di tutti gli emigranti. È la prima cittadina degli Stati Uniti canonizzata dalla Chiesa Cattolica romana, oltre che la prima riuscita a fondare un ordine missionario esclusivamente femminile senza un corrispettivo maschile, le Missionarie del Sacro Cuore di Gesù.
«Stai al tuo posto», questa frase risuona spesso nelle mente della protagonista. Al “suo posto” di fronte ai no dell’arcivescovo, di fronte agli ostacoli dei politici, dei malavitosi, dei prestiti rifiutati e della sua stessa debolezza fisica. La Santa però ha scelto di occupare un altro posto, ben lontano dalle aspettative altrui, specificando però che non si è trattata di una rivoluzionaria fuori dal sistema. Francesca Cabrini si è mossa nel rispetto istituzionale ed ecclesiastico, ma sentiva la necessità di non fermarsi al primo “no”, un po’ come la vedova importuna del Vangelo.
Qualcuno, commentando il film, l’ha definita una «femminista ante litteram». Io aggiungerei che, sì, lo è stata, ma nell’accezione più distante dall’ideologia odierna di “lotta al patriarcato”. «Peccato che sia una donna, madre Cabrini, sareste stata un grande uomo», le dice alla fine del film il sindaco di New York, dovendo ammettere l’incredibile capacità imprenditoriale e strategica della suora (che alle spalle di certo aveva un profondo affidamento in Dio), «no, un uomo non potrebbe fare quello che facciamo noi». In questo breve scambio di battute è indicato quale fosse il “suo posto”. La firma della sua azione missionaria è di fatto la risposta a una cura materna, servizievole e lungimirante, tutta femminile.
Il “posto” di una donna che come tale può essere «ciò che vuole» (non alla maniera del motto di Barbie “puoi essere tutto ciò che desideri”, intendiamoci) solo perché «è Dio che ci dà la forza», come spiega la Santa alle consorelle. «Non so dove inizia la sua ambizione e dove la sua fede», confessa il Papa a madre Cabrini; ci piace pensare che le due cose possano andare di pari passo, quando oltre che donne si cerca per prima cosa il Regno di Dio e la Sua gloria.
(Fonte foto: Facebook)
FONTE : IL TIMONE
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