E qual è il punto, allora?
Jan 31, 2023di Francesco Lamendola
Viviamo in un mondo che non è semplicemente post-cristiano, ma apertamente e decisamente anticristiano.
Un mondo, cioè, che dopo aver conosciuto Cristo e la verità di Cristo, dopo averla accettata e messa a base della propria vita e della propria civiltà, per secoli e secoli, ha deciso che non vuole averci più nulla a che fare, anzi: ha deciso che li vuole cancellare dalla storia e dalla propria memoria ed esperienza, come un incidente fastidioso, una molesta perdita di tempo, un fattore di ritardo, oscurantismo, inibizione della ricerca scientifica e della libertà di pensiero. Qualcosa che ha ritardato lo sviluppo della civiltà per duemila anni.
Insomma un mondo che è nemico: non perché i cristiani abbiano deciso di considerarlo tale e dichiarargli guerra, ma perché esso considera Cristo e i sui seguaci – quelli veri – come i suoi mortali nemici, ed è deciso a spazzarli via dalla faccia della la terra e, non potendo farli sparire dalle pagine dei libri, presentarli sotto la luce peggiore possibile, la più diffamatoria, la più oltraggiosa, per tutti i secoli che verranno.
Naturalmente il mondo non fa la guerra ai cristiani tiepidi, ai semi-cristiani, ai cristiani fino-a-un-certo-punto (come li chiamava Kierkegaard). Non dà alcuna noia ai cattolici e ai sacerdoti che sono favorevoli, o quanto meno non sono contrari, all’aborto volontario e all’eutanasia. Se poi si dicono a favore del matrimonio in chiesa per le coppie dello stesso sesso, o se non hanno obiezioni da fare alla propaganda nelle scuole sul cambiamento di sesso, stravedono per loro, li bacerebbero in fronte. E non lesinano loro gli elogi, le interviste, gli inviti nei salotti televisivi. Se li coccolano e li contemplano con sguardi adoranti, lucidi di emozione: li abbraccerebbero davanti a tutti, se non dovessero fingere almeno un minimo sindacale d’imparzialità professionale. Ma certo devono fare un grosso sforzo per riuscire a trattenersi.
Il mondo non contesta un Papa che introduce idoli pagani in Vaticano in nome del dialogo interreligioso, e non ci trova nulla di male se bacia il Corano, nel quale non si dicono belle cose di Gesù Cristo; e neppure se si fa cresimare con la sacra cacca delle vacche indiane da una sacerdotessa indù. Se poi un siffatto “Papa” proclama che l’Antica Alleanza è sempre valida, che pertanto gli ebrei non hanno alcun motivo di convertirsi e farsi cristiani, perché a Dio padre piacciono così come sono, allora è un tripudio di ovazioni da parte dei mass-media e di tutte la cultura ufficiale: perché è la prova che Gesù o è si è incarnato per nulla, oppure era soltanto – come dicono Enzo Bianchi e un drappello di pseudo teologi ultramodernisti – un profeta, sì, ma in effetti un semplice uomo (e un profeta che ha pure sbagliato la sua profezia più importante, visto che aveva preannunciato che alla fine vi sarà un solo gregge con un solo pastore, vale a dire che tutto il mondo diventerà cristiano).
Ora, in questo mondo radicalmente anticristiano, dove si celebrano milioni di aborti l’anno, cioè milioni di sacrifici umani al Diavolo; in questo mondo impazzito, incattivito, pervertito; dove non ha più senso parlare di verità, di bene, di bellezza, di amore, di perdono, perché tutte queste parole sono stravolte rovesciate nel loro contrario, e dove domina soltanto la legge dell’interesse, del potere, del denaro, del sesso, della disonestà e della menzogna a pagamento, e dove un gesto disinteressato, un sacrificio volontario, un atto di responsabilità e di coraggio civile vengono guardati quasi con incredulità mista a commiserazione e disprezzo, è necessario ripartire daccapo, ricominciare letteralmente da zero.
Tutto va male perché la società è interamente orientata contro Dio, evita tutto ciò che a Lui piace e viceversa pratica senza freno tutto ciò che lo offende e che va contro il grandioso disegno d’amore della Creazione.
Non si tratta di una situazione veramente nuova, anche se è indubbio che negli ultimi secoli e decenni le forze del Male si sono letteralmente scatenate, guidate e coordinate con precisione militare da una regia occulta e a sua modo alquanto sapiente. Potremmo elencare tutte le sottili, diaboliche nuove abitudini di vita e modi di pensare e di sentire, innaturali e immorali, che sono stati iniettati, in dosi omeopatiche, nelle nostre anime e nei nostri cervelli; ma ciò non ci aiuterebbe ad avvicinarci al vero punto della questione.
E qual è, dunque, il vero punto della questione, se non è nessuna delle cose già indicate, ma se ciascuna di esse va considerata piuttosto una conseguenza che la causa dello stato disastroso in cui oggi ci troviamo immersi, tanto nella sfera pubblica, a cominciare dalla politica, quanto nella privata? Dobbiamo saperlo, dobbiamo capirlo, altrimenti ogni nostra strategia sarà vana o insufficiente, perché inadeguata sarà la diagnosi. Il punto, del quale noi tutti cristiani ci eravamo incredibilmente quasi scodati, e sul quale il nostro clero cattolico colpevolmente ha taciuto, è che siamo figli di Adamo, del peccato di Adamo. La nostra natura, e la natura tutta, non né quale dovrebbe essere: creata perfetta – in senso creaturale, appunto – si è deformata, corrotta: è stata ferita. L’Incarnazione del Verbo ha posto rimedio al danno più grave, l’allontanamento da Dio, ma non ha potuto rimuovere gli effetti: la deviazione degli enti in senso egoistico, la loro inadeguata o debole risposta all’amore del Padre, e quindi la tragica, monotona sequela di vizi che il più delle volte si rivelano più forti della nostra buona volontà, salvo che ci sia l’intervento soprannaturale della grazia.
Senza il peccato di Adamo, noi ora vivremmo in una condizione completamente diversa. Saremmo sereni, “puliti”, innocenti, e non vi sarebbe la morte.
Come dice Bernhard Bartmann nel suo Manule di Teololgia Dogmatica (Edizioni Paoline, vol. 1, pp. 433):
Benché il peccato originale sia un mistero impenetrabile, tuttavia questo dogma corrisponde alla nostra esperienza personale Con Pascal e Newman noi sentiamo che ed la nostra natura non è più in armonia con i disegni primitivi di Dio, benché ci sia impossibile dimostrare che la causa di tale rottura d’armonia sia il peccato di un primo uomo commesso migliaia di anni fa. Trasciniamo la nostra vita nel peccato, nella miseria e nel tormento, ma possediamo la disposizione ed il desiderio indistruttibile di una condizione ideale e migliore di quella che ci è toccata. Su questa terra non possiamo «né sopprimere questo desiderio né realizzarlo. Ne risulta che noi eravamo fatti per la verità e la felicità, ma che questo fine ci è stato tolto. Ci è rimasto soltanto il desiderio, come castigo e come un segno che ci fa vedere da quale altezza siamo caduti» (Laros, “Glaubens-problem bei Pascal”, 1918, pp. 166 ss). Ogni uomo porta in se stesso qualche cosa che, riflettendo bene, non può essere concepita corrispondente alla natura ideale, come “umana” nel senso pieno della parola. Dovunque l’uomo si trova in condizioni di civiltà si affanna per ridurre ed eliminare questi difetti innati mediante l’istruzione, l’educazione, la natura e le leggi.
Ecco dunque la differenza incolmabile, irriducibile fra la concezione illuminista dell’uomo – quella, a vario titolo, dominante da tre secoli a questa parte – e quella cristiana. Per la visione illuminista i difetti, le carenze, le iniquità dell’uomo sono un fatto di natura, colmabile e correggibile con adeguati provvedimenti, anche di tipo legislativo. Nella visione cristiana invece essi sono la spia, il segnale di una perfezione originaria che è andata perduta e che può essere parzialmente ripristinata in primo luogo con la grazia divina, cioè con un atto di umiltà della creatura che si riconosce bisognosa e manchevole dinanzi al suo Creatore.
C’è un modo pressoché infallibile per riconoscere l’orientamento degli uomini su tale questione, senza neppure bisogno che essi dichiarino esplicitamente il loro pensiero: ed è la presenza o l’assenza del pudore (inteso nel senso più ampio della parola) nella loro vita. Ove il pudore è assente, l’uomo ignora il peccato originale e ritiene di essere l’unico arbitro del proprio destino e del proprio eventuale progresso.
Prosegue l’eccellente analisi di Bernhard Bartmann (cit., vo. 1, pp., 433-434):
Il pudore dice, anche ai meno civili e ai più innocenti, che c’è qualcosa nell’uomo che non dovrebbe esserci. Il fanatismo moderno per “l’incorruttibilità della razza” [sono gli anni del nazismo], per la “purezza della natura” e la necessità di “vivere la propria vita””, per il “ritorno al paradiso terrestre”, da realizzarsi anche solo mediante il cambiamento di certe strutture economiche, era sconosciuto persino all’antico mondo pagano. a mano che tale infatuazione non sia una miserabile ipocrisia, essa riconosce in modo incomprensibile la vera natura umana, che nel suo stato primitivo ha inalterato, si ribella contro un tale giudizio. In ogni caso, questo misconoscimento del peccato originale è l’errore più grave del nostro tempo; nell’educazione e nella stessa organizzazione della vita civile porta alle più dannose illusioni e alle più amare delusioni. l’uomo reale è un uomo decaduto, un uomo peccatore in cui la colpa ha introdotto uno squilibrio profondo ed universale. Perciò saranno vani gli sforzi di coloro che vogliono spiegare l’uomo a se stesso od imporgli regole di vita senza tener conto di questo dato primordiale. Impossibile parlare dell’amore o della famiglia, della vita sociale, del lavoro o della proprietà, della pace o della guerra senza far intervenire il peccato e le sue conseguenze.
E che dire, poi, se l’educazione, l’istruzione, la scuola e le leggi, invece di mirare a correggere quel fondo di “sbagliato” che si trova nella natura umana decaduta, vanno nella direzione opposta, eccitano e sobillano i peggiori istinti, e addirittura ordinano agli uomini di violare la legge divina? Che dire se esse esaltano l’impudicizia e quasi prescrivono condotte di vita e comportamenti gravemente peccaminosi? Non abbiamo appena visto le autorità più alte dello Stato e della Chiesa intimare, pretendere, sotto minaccia di ricatto e ritorsioni, che tutti i cittadini si sottoponessero all’assunzione di un siero sperimentale fabbricato anche con linee cellulari di feti umani appositamente soppressi?
Questo significa che stiamo già vivendo nella Città del Diavolo: questa è la Città dl Diavolo, e noi ne siamo i cittadini. Nostro malgrado: indignati, impauriti, però è qui che noi viviamo, lavoriamo, amiamo, costruiamo le nostre speranze, mettiamo su le nostre famiglie.
Non dobbiamo mai scordarlo, non dobbiamo abbassare mai la guardia, neanche per attimo, perché il perfido Nemico è sempre in attesa di spiare l’occasione favorevole per coglierci alla sprovvista, magari presentandosi abilmente mascherato.
Ci troviamo in questa situazione perché abbiamo dimenticato, sottovalutato o disprezzato la colpa di Adamo.
Questo è veramente il punto.
Questo ci fa capire perché, senza il soccorso della grazia, siamo così incorreggibilmente egoisti, superbi, avari, lussuriosi.
Il che ci riporta sempre alla stessa conclusione: il nostro peccato fondamentale è la superbia.
Ci secca ammettere la nostra imperfezione, ci pesa confessarci peccatori, ci dà noia riconoscere che non siamo quali dovremmo essere, che non viviamo come dovremmo vivere e che, se non restiamo uniti a Gesù Cristo come il tralcio alla vite, siamo del tutto impotenti e non serviamo a nulla (cfr. Gv., 15, 1-8).
Abbiamo bisogno di un gran bagno nella fontana dell’umiltà, per liberarci da tutta questa superbia che ci è incrostata addosso e non se ne vuole andare.
È meno difficile di quanto può sembrare: si tratta di rimettere ogni cosa, ogni progetto, ogni desiderio, ogni aspirazione, purché siano buoni e legittimi, nelle mani del Padre. Lui saprà come fare. Forse non ci asseconderà nelle forme che avremmo voluto noi, ma sicuramente ci condurrà su strade migliori. Non perderemo nulla, nel cambio; e intanto, esercitando la virtù dell’umiltà, diventeremo migliori anche nei confronti del prossimo.
Lo possiamo, poiché siamo nati per questo: l’amore di Dio ci ha chiamati all’esistenza perché la nostra vita sia piena e sia fatta di verità, bontà e bellezza: regolandoci così, lo avremo sempre con noi. Mentre l’altro, il Nemico, resterà impotente a cuocere nella sua misera città di cartapesta.
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