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È possibile uno yoga per cristiani?

francesco lamendola Dec 02, 2022

di Francesco Lamendola

Specialmente dopo la seconda guerra mondiale si è diffusa in Europa la moda delle spiritualità alternative, veicolata e introdotta sovente dalla “versione minima” delle pratiche salutistiche, accolte con tanto maggior favore quanto più i nuovi stili di vita d’importazione americana generavano, dietro le apparenze sgargianti, nuovi problemi e difficoltà, prima sconosciuti o quasi (consumo di droghe, diffuse sindromi depressive,  insicurezze e fragilità legate alla vita di coppia, crescente incomunicabilità con le nuove generazioni), mentre il patrimonio tradizionale di saggezza di vita e di pratiche igieniche e salutistiche collaudate da secoli pareva aver perso smalto e credibilità, come se la schiacciante sconfitta militare e la resa umiliante attestassero una generale inadeguatezza culturale rispetto a un mondo che si andava bruscamente allargando oltre ogni immaginazione. È stato come se i popoli europei avessero provato un improvviso moto d’insofferenza e di angustia per ciò che appartiene alla loro cultura e si fossero dati a frugare avidamente in qualunque altra direzione, alla ricerca di ciò che potesse dar loro un sollievo nella nuova situazione, strano miscuglio di euforia edonistica e di sordo disagio esistenziale emerso non si capiva bene da dove, né perché. 

In breve, questa curiosità si è fatta strada anche nelle file del clero. Un sacerdote, un religioso, per non parlare di un credente laico, possono conciliare la propria fede cattolica con la pratica delle discipline orientali, sia di tipo mentale che fisico, ad esempio lo Yoga? Negli anni Cinquanta del ‘900 un padre benedettino francese, Jean Marie Déchanet, si è posto la domanda del perché non si possa attingere a una tradizione non-cristiana per forgiare il corpo del credente, mediante degli appositi esercizi, sino a farne lo strumento idoneo per la disciplina spirituale; e ha composto il manuale La via del silenzio, un po’ sbrigativamente tradotto in italiano con Yoga per i cristiani. L’esperienza di un monaco (titolo originale: La Voie du Silence, Ed. Desclée de Brouwer, 1960¸ traduzione si Piera Belletti Zagni, Roma, Edizioni Paoline, 1967, pp. 209-211):

Può darsi che non tutte le positure, che sono state descritte siano evocatrici o creatrici di un gesto interiore., di una disposizione dell’anima. Tutte, però, uniscono il copro psico-fisici ch ne sono i frutti si realizza questa congiunzione, questa compenetrazione che fa sì – che un triodo apprezzabile di tempo – libero da ogni preoccupazione, separato dal mondo esteriore, e per di più rinunciando a qualche attività razionale – la mia anima resta soltanto “forma” del corpo, concentrata, se così posso esprimermi nel suo ruolo sostenitore o sublimante

Cerchiamo di contare, in un giorno, in un’ora, i momenti in cui il nostro corpo gode della presenza dell’anima; in cui l’anima appartiene in assoluto al suo compagno di vita; in cui l’uno è occupato completamente dall’attività dell’altro. Sono rari: inesistenti. Anche nei casi di lavoro  in due (penso alla preghiera corale, durante la quale si suppone che la nostra “mens” concordi con la voce) ognuno va per suo conto. Il corpo è lì, naturalmente, ma è presente davvero alla salmodia dell’anima? In quanto a questa, non è vero che spesso è assente, trascinata dalle sue riflessioni, distratta dai suoi ricordi, lontana dal “luogo” in cui si ritiene che agiscano insieme? Non è che un esempio: un caso di divorzio di cui soffre molto lo spirito che trae beneficio sicuro dall’unità del corpo e dell’anima.

Distrazione, separazione, rottura: questa è l’atmosfera abituale della nostra vita (…)

Gli esercizi dello,Yoga vogliono trovare rimedio al male, rieducare corpo e anima, insegnar loro di nuovo a riunirsi, a vivere veramente l’uno nell’altra. Essi si avvalgono di un apparato molto semplice e umile, in fondo: a questa modestia è fattore di successo. Quando io, solo,  assolutamente solo, nel silenzio e nella quiete di una stanza isolata, mi studio di coordinare – senza tensione spirituale, ma il meglio possibile – una serie di positure, più o meno faticose o complicate -, costringo la mia anima a trasferirei completamente nel mio corpo, ai movimenti del quale si deve mostrare attenta. Faccio qualcosa di più che interessarla alla corretta esecuzione di alcune acrobazie, la invito a sposare – intenzionalmente - gli atteggiamenti dl mio corpo, a farne impressionare. L’anima è attiva, perché è la volontà che ordina l’esecuzione, perché l’intelligenza sorveglia a che l’esecuzione sia perfetta. Ma è anche passiva: separata dalle influenze esteriori, separata da se stessa (ricordi, pensieri, preoccupazioni) non può, in quello stesso momento, che beneficiare in pieno di tutta una serie di fenomeni, in cui il corpo è il “testimone”: miglioramento della circolazione del sangue, decongestione di alcuni organi, stimolazione i nervi e dei muscoli, tonificazione del cervello, sgombero delle vie respiratorie, lavaggio dei polmoni, migliore distribuzione degli umori, eccitazione delle glandole a secrezione interna,ecc. Tutto ciò interessa l’anima; tutto ciò agisce sulla anima: tutto ciò è fattore di vita “animale” e “spirituale”.

In breve, la domanda è questa: si può essere cristiani e, al tempo stesso, praticanti di meditazione buddhista, o di Yoga, o di Reiki, o magari di qualche altra forma di animismo, a sottofondo naturalistico o panteistico, e di spiritualismo, fondata sulla dottrina della metempsicosi o trasmigrazione delle anime dopo la morte? Si possono conciliare le due cose? E a che scopo, dopotutto? Quelli che sono favorevoli insistono sul fatto che lo Yoga, come altre pratiche ascetiche e meditative, può essere fruito anche indipendentemente dal suo preciso contesto filosofico e spirituale, quello di uno dei sei sistemi ortodossi del sistema indiano classico, e che a sua volta è suddiviso in Karma Yoga, Bhakti Yoga, Jnana Yoga, Dhyana Yoga; per non parlare degli otto stadi del Raja Yoga. Essi sostengono che si tratta di un mero allenamento psico-fisico, di una preparazione del corpo e della mente in vista di obiettivi più ambiziosi, ma che, nella fase iniziale, può essere fruito con grande vantaggio da chiunque, indipendentemente dalla specifica prospettiva religiosa, poiché in definitiva si tratta essenzialmente di una tecnica, o un insieme di tecniche, assai prevalenti sui contenuti propriamente induisti. Non tutti però la vedono in questo modo. Ci sono anche quanti negano che l’aspetto tecnico possa essere separato nettamente dal contenuto specifico; che le forze energetiche evocate e messe in movimento, come l’apertura dei Chakra e la fuoriuscita della Kundalini, siano già, di per sé, delle operazioni “magiche”, presupponenti possibilità umane di auto-realizzazione autonoma e preternaturale, incompatibili con l’idea cristiana della creatura e del suo limite ontologico; e più in generale che le facoltà sviluppate via via dal soggetto non sono concepibili in alcun modo come un dono di Dio, da Lui concesso all’uomo per meglio avvicinarlo a Sé, ma come orgogliose conquiste del’io, frutto di un cammino sapienziale esoterico e simili, pertanto, ai presunti frutti della conoscenza gnostica e cabalistica.

Per contro, riportiamo la testimonianza di una donna  riferita nel ricco studio di Tarcisio Mezzetti, «… come leone ruggente…». L’assedio del male intorno al popolo di Dio, Leumann, Torino, Elledici, 2034, vol 1., pp. 276-277):    

Nel settembre 2000 mi iscrissi ad un corso di Yoga tenuto dal Comune di…  al fine di provare una attività fisica alternativa che mi potesse aiutare a rilassarmi ed a risolvere dei problemi di rigidità muscolare. Il corso si componeva e si compone di due parti: una prima di esercizi veri e propri e una seconda di rilassamento (detta Yoganidra) o di meditazione. Tutto si è svolto in modo regolare e piacevole fino a gennaio 2002, quando nella fase finale del rilassamento non riuscivo più a ricordare quanto avveniva nella seduta. Tornavo a casa stanca, ma non capivo che ciò era dovuto a quanto succedeva.  

Recentemente invece è accaduto un fatto fortunato e illuminante. Dopo aver perso qualche lezione, mi presentai normalmente e scoprii che stavano eseguendo degli esercizi legati all’apertura dei “chakras”. Si trattava del II chakra e in quell’occasione scoprii che nelle lezioni precedenti avevano già fatto esercizi legati a questa “apertura”. Facemmo dunque i soliti esercizi fisici, Ma al momento della meditazione la cosa fu diversa. L’insegnante ci fece mettere in cerchio con uno di noi nel centro; era buio, c’era musica soffusa e incenso. La persona che si trovava al centro doveva concentrarsi su di noi e noi sul suo “chakra” per permetterle di  aprirlo.   

L’insegnante ci fa mettere nella posizione del “loto”, occhi chiusi, si recita il mantra dell’”Om” e  subito… sviluppo un senso di calore intenso nel viso e nel tronco.    

L’insegnante comincia a parlare e ci fa rilassare, come al solito, chiedendoci di tenere a mente quanto visualizzavamo per poi poterlo raccontare. Tutto bene; io però sento una forte sensazione di disagio e di negatività, mi tolgo dalla posizione assunta e cerco di rimanere vigile; a questo punto ci dice, parlando in prima persona per noi:

«Io non credo in Cristo, non voglio essere suo discepolo, perché io non credo a quello che lui professa. Io ho già tutto dentro di me e non ho bisogno di altro…».

Subito mi metto a recitare il Credo per tre volte, ma temo di rompere il cerchio perché non conosco quanto accade; nella mia mentre vedo un fiore (girasole) e una persona malefica che mi dice qualcosa dietro ad un vetro e io non la sento. Per me è il maligno.

Si conclude la seduta e mi rendo conto che solo io ho realizzato e avvertito quanto accaduto; gli altri sembrano storditi.

La persona che era al centro ha visto un fascio di luce vero di noi (me e la mia compagna che avevo di fianco, che pratica il reiki); un’altra ha visto una galleria con tutte le nostre facce bianche, cadaveriche, mentre l’insegnante ha visto due di noi più una terza persona esterna. La cosa mi ha spaventata  perché non conoscevo e non mi rendevo conto di quanto accadeva, ma mi ha spaventata di più il sapere che quando ero assente l’insegnante aveva eseguito già pratiche analoghe leggendo la Bibbia, anche se i presenti non ricordano né i passi citati, né i commenti. 

C’da aggiungere che l’insegnante con le persone più predisposte  cerca proseliti per corsi esterni, o pratiche reiki.         

Ora, quando ci si muove in questo terreno malfido è necessario avere molto discernimento e molta prudenza. È facile scivolare in situazioni impreviste e imprevedibili. Senza con ciò voler generalizzare, ci sembra che il caso qui sopra riferito sia abbastanza tipico. I maestri di Yoga hanno una loro visione spirituale e religiosa che è fondamentalmente inconciliabile col cristianesimo; e a suo modo, quello in questione è stato anche franco nel dichiarare il netto rifiuto di Gesù Cristo e della sua sequela. Altro discorso è se i suoi sprovveduti allievi si rendevano conto di tutto ciò e delle sue logiche (e sinistre) implicazioni. Il fatto che al termine della lezione, anzi, di un intero ciclo di lezioni, sembrassero confusi, intorpiditi, e mostrassero di non ricordare quel che era stato detto con la tecnica insidiosa d’imprestare loro la prima persona, come se realmente avessero sottoscritto un patto con qualcosa o con qualcuno a voce alta, non può non lasciare un forte senso di perplessità. È pur vero che il libro La voce del silenzio è stato scritto da un religioso, da un frate benedettino, e accompagnato da regolare imprimatur sia in Francia, sia in Italia. Ciò significa che è automaticamente un buon libro, e quanto vi è espresso va d’amore e d’accordo con il magistero della Chiesa? Non ci sentiremmo di affermarlo: un libro cattolico è buono quando non offre nemmeno il più piccolo margine di dubbio, di confusione, di turbamento delle anime. Deve essere assolutamente al di sopra di ogni dubbio, di ogni possibile ambiguità, di ogni imprudente sperimentazione.

Scrive Alphonse de Parvillez in La penna al servizio di Dio (La plume au service de Dieu, Fayard, 1957; Ed. Paoline, 1957, p.5):

La penna al servizio di Dio? Titolo doppiamente paradossale, anzitutto perché va contro un pregiudizio universale, quello della supremazia assoluta dell’arte. La maggior parte degli autori ritiene infatti impossibile scrivere se esiste un’autorità al di sopra o accanto all’imperativo estetico, secondo un motto molto più famoso che ragionevole: non si fa letteratura con i buoni sentimenti.

Ma il punto è proprio questo: non si rende un buon servizio al cristianesimo giocando a nascondino.

 

 

 

 

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