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Don Bosco e don Milani, Quale Modello Educativo?

antonello cannarozzo carlo amedeo pasotto marco tosatti stilum curiae Feb 13, 2025

di Antonello Cannarozzo

È questo il sottotitolo di un nuovo libro dello scrittore e pedagogista cattolico Carlo Amedeo Pasotto intitolato “Buoni e cattivi maestri”, un altro libro da tenere in tasca come gli altri due libri recensiti proprio su Stilum Curiae lo scorso settembre, “La Grande Rigenerazione” e il suo seguito: “Traditori della Fede e della Patria”.

Come allora anche questo testo è un vademecum per comprendere come siamo giunti fino a questi nostri disgraziati tempi, ma, soprattutto, qual è lo scopo che dobbiamo porci per vivere una vita piena, non solo come buoni cristiani, ma anche come onesti cittadini.

Con una scrittura scorrevole e piacevole, l’autore, prima di affrontare il tema centrale del libro sui due sacerdoti ed educatori, san Giovanni Bosco e don Lorenzo Milani, ci accompagna in un viaggio virtuale per comprendere il significato profondo dell’educare i giovani iniziando dalle basi della nostra cultura e del nostro Credo religioso, ormai dimenticato anche da chi avrebbe il dovere di istruire.

Le prime pagine del libro non sono solo una prefazione logica al tema dell’insegnamento scolastico, ma un ripasso, come accennato, dei fondamentali cristiani nella società che una volta abbandonati in nome di una modernità senza Dio hanno creato il caos in cui viviamo.

Come leggiamo nel libro, è l’educazione che crea o distrugge una civiltà, quindi, quello dell’educatore è un compito di grande impegno, difficile e di responsabilità, sicuramente più importante di quanto ci si potrebbe immaginare, al di là di avere un titolo di studio riconosciuto. In questo contesto, vogliamo sottolineare l’importanza del capitolo sulla scuola italiana dove, al di là delle sue evidenti mancanze, l’autore con la sua esperienza di insegnante in 54 anni di attività, illustra con grande chiarezza le tecniche educative e di comunicazione rivolta ai ragazzi, perché come in qualsiasi professione, anche essere insegnanti, nel senso pieno del termine, non ci si improvvisa di certo, o almeno dovrebbe essere.

Il valore della cultura

Per arrivare ad insegnare bisogna prima avere una conoscenza culturale ben formata, ma ciò non basta ancora, bisogna saper invogliare i giovani allo studio per maturare come individui e diventare cittadini, per questo bisogna avere dei principi e scopi di vita sani, diversamente, come una pianta trascurata tenderà a crescere malamente, così l’odierna gioventù, spesso trascurata, senza aver dato loro uno scopo, dei principi, un senso di appartenenza alla società, un modo assurdo per sprecare la grande ricchezza di questi ragazzi, oggi sfortunatamente sempre più immersi nel nulla.

Su questo tema, sfogliando i vari capitoli, il lettore troverà una serie di spunti per comprendere, non solo i vari aspetti che compongono la società come un organismo vivente, ma come avrebbe potuto essere se non avesse abbandonato, come accennato, la visione eterna di Dio.

Tra le tante cause che hanno impoverito e disorientato la società, sicuramente la prima è stata l’attacco mirato per colpire la base del nostro vivere civile cioè la famiglia, in tutta la sua dignità e nel suo ruolo di fondamentale per la vita sociale.

Il risultato di questa azione scellerata contro la famiglia è stata la sua disgregazione e l’abbandono di ogni sua finalità. Nulla è più sacro ormai in essa, tutto si concepisce solo come una soddisfazione edonistica umana e allora addio ai sacri vincoli del matrimonio di un tempo: dalla vita coniugale iniziata in chiesa, si è passati a quella “benedetta” da funzionari comunali, per arrivare ai giorni nostri alla convivenza sempre più numerosa, senza neanche un briciolo di legittimazione e di qui si passa poi alle cosiddette famiglie allargate dove il passaggio è stato ancora più breve togliendo però  ai figli ogni appartenenza alle proprie radici e i propri punti di riferimento affettivi.

I tanto lusingati giovani sono così dispersi in una società senza più alcun valore e alcuna difesa morale dove, purtroppo, le cronache recenti ci raccontano di tragedie di droghe, anche tra i preadolescenti, sesso sfrenato, alcool e una vita fatta di eccessi che purtroppo pagheranno con il trascorrere degli anni.

L’analisi proposta da Pasotto è chiara; non essendoci più la famiglia con l’autorevolezza dei genitori, già abbondantemente minata o peggio ridicolizzata dai stessi figli, si delega l’educazione e il sapere (sempre più scarso. Ndr) allo Stato per renderla sempre più livellata verso il basso e assoggettata alle volontà politiche del momento, togliendo così di fatto ogni libertà all’uomo di ascendere secondo le proprie peculiarità. Una scuola che si avvia ad un fallimento certo che si ripercuoterà anche amaramente ad ogni livello sociale.

I buoni e i cattivi maestri

Dopo questa introduzione arriviamo al cuore del libro che mette in contrapposizioni due figure di educatori: San Giovanni Bosco e don Lorenzo Milani.

Due uomini che hanno avuto l’opportunità di avvicinarsi ai giovani per educarli, formarli alla vita, ma quanta differenza tra i due maestri; il primo pone al centro dell’insegnamento la sua missione di sacerdote curando le anime dei fanciulli all’amor di Dio e l’altro, pur essendo anch’egli prete, concepisce l’educazione con l’impegno prettamente politico, senza alcuna visione trascendente.

Don Bosco, era nato nel 1815, da famiglia poverissima, ma con profondi principi cristiani che lo aiuteranno a maturare, pur nella sofferenza della povertà, a comprendere i veri mali dell’uomo che iniziano dal profondo dell’anima.

Era certamente, come racconta lui stesso, un ragazzino assai vivace e pronto anche a menar le mani, ma solo quando vedeva una ingiustizia o, peggio, sentiva bestemmiare.

All’età di nove anni ebbe un sogno rivelatore che lo segnerà per tutta la vita: l’impegno di portare più anime a Dio di fanciulli abbandonati a se stessi, senza chi si prendesse cura di loro per orientarsi nei meandri della vita.

Il sogno, ampiamente descritto nel libro, fu l’invito che ebbe da nostro Signore a svolgere con mansuetudine e non certo con azioni violente, il compito di istruire i giovani, un impegno che per il futuro santo diventerà una compito fondamentale basato sull’amore e sul sorriso per portare i giovani a Dio.

Per questo impegno così difficile, un ruolo fondamentale lo ebbe dal cielo Maria santissima sotto il nome di Ausiliatrice e sulla terra la sua mamma Margherita, vero baluardo nei suoi primi anni di missione sacerdotale.

Come suoi mentori ebbe come suo primo confessore Giuseppe Cafasso, anch’egli salito poi alle glorie dell’altare come modello di vita sacerdotale e per stella polare della sua missione si abbeverò agli scritti e agli insegnamenti di San Francesco di Sales. Sarà riguardando l’opera di questo grande santo che Don Bosco darà alla sua opera proprio il nome di Salesiani.

Il successo, pur tra mille difficoltà e dolori è assai grande, riesce a tirar fuori, da questa infanzia emarginata e destinata a una vita ancora più miserabile, dei giovani onesti e istruiti, con sani principi e, come ricorda lo stesso autore, simbolo di questa nuova gioventù è certamente Domenico Savio, tra i più giovani santi della Chiesa, con il suo motto che ogni cattolico dovrebbe avere a cuore: “La morte, ma non il peccato”.

Prima di proseguire sulla vita di don Bosco possiamo già mettere a confronto il santo piemontese con il sacerdote fiorentino, don Lorenzo Milani, che tanta influenza ebbe dopo la sua morte sulla cosiddetta “scuola sessantottina”. 

Di famiglia agiata, Lorenzo nasce a Firenze nel 1923, il padre proprietario terriero, la madre era una donna assai colta di origine ebraiche e solo in seguito, con le leggi razziali, i genitori per preservare i figli, si sposarono in Chiesa.

La giovinezza del giovane Lorenzo trascorse assai serenamente in una famiglia apparentemente praticante, ma non certo con una vera formazione cattolica, ebbe, certo, una vita serena e agiata, ma nel crescere il futuro priore di Barbiana dimostrò anche un carattere debole e poco temprato, spesso irascibile e intempestivo, poco avvezzo alla durezza della vita che dovrà invece affrontare da grande, come avremo modo di leggere nel libro.

Non eccelse negli studi, ma la sua vita, apparentemente vuota, ebbe un momento importante con l’incontro di don Raffaele Bensi in piena guerra a Firenze. Questo rapporto con il buon sacerdote creerà in lui una profonda crisi spirituale ma, come era ormai nel suo carattere, in maniera precipitosa.

Appena poco tempo da quell’incontro ricevette la Cresima, pur con una conoscenza sommaria della dottrina cattolica, e con grande stupore di chi lo conosceva, con una scelta sempre precipitosa decise di entrare in seminario per farsi prete.

Una vita precipitosa

Tutto questo imporre gli eventi nella sua vita senza la giusta riflessione, crearono dei dissidi tra lui e don Bensi, tanto che quest’ultimo non esitò a riferire che i rapporti con Milani spesso erano spesso “burrascosi”.

Il suo carattere irruento, forse anche da ragazzo un po’ viziato, già in seminario pretendeva che le cose andassero come diceva lui, molti furono gli screzi e le incomprensioni con ii superiori, ma nonostante tutto venne consacrato sacerdote nel 1947 e già l’anno dopo faceva parlare di se sulla stampa locale. Siamo nel 1948 alla vigilia di un voto che avrebbe potuto vedere il trionfo in Italia del comunismo tirannico e ateo, un pericolo a cui Papa Pio XII pose il suo veto invitando a votare per la Dc, unico baluardo in quel momento all’orda rossa.

Ma don Milani era uno spirito libero, mal sopportava i diktat, fosse anche del Papa, per cui si impegnò a fiancheggiare di fatto proprio il fronte popolare dei comunisti.

In seguito scriverà che i personaggi da venerare sono solo gli eroi della lotta di classe e ancora “Io baso la mia scuola sulla lotta di classe. Io faccio altro dalla mattina alla sera che parlare di lotta di classe. La scuola funziona perchè io faccio soltanto questo discorso”.

Niente male per un sacerdote.  È l’inizio della sua vita controcorrente nei confronti di una Chiesa che criticava ferocemente, ma da cui, curiosamente, non si distaccò mai anche quando venne mandato per punizione nel paesino di Barbiana, vicino Firenze.

Per Don Bosco la Chiesa era la madre, l’ispiratrice, colei che lo avrebbe condotto in Paradiso, per Lei aveva un trasporto quasi filiale, solo grazie ad essa trovava la forza per andare avanti e formare in buoni cristiani e buon cittadini tra giovani a lui affidati in “preparazione della vita futura ed eterna”.

Don Lorenzo, invece ha in primo piano per i suoi studenti la ‘coscientizzazione’ politica, un neologismo per indicare le lotte per la giustizia sociale e per i diritti, mentre i doveri per lui possono aspettare.

Scrive ancora “Secondo tale visione Dio è più sensibile a questi valori, che a certi peccati, frutto della nostra fragilità” e prosegue” Le circostanze e l’ambiente in cui Dio ci ha posti e gli stessi 5 sensi che ci ha dato, ci dicono che a Lui non importano niente di impedire i peccati”. In sostanza una edizione riveduta e corretta dei Dieci Comandamenti, niente male come umiltà.

Quale formazione cristiana ne derivava ai ragazzi a lui affidati rimane un mistero, ricordando che era pur sempre un prete. Altra caratteristica dei suoi scritti, delle sue conferenze o interventi è che non cita mai la figura di Maria santissima, per lui probabilmente una figura estranea alla sua presunta missione per la rinascita delle classi sociale più deboli.

Anche lo stile educativo di Don Bosco è certamente interclassista prendiamo dal libro di Pasotto” Il suo modello di strategia consiste nell’escogitare la soluzione giusta per amare tutti coloro che hanno bisogno, non solo materialmente, ma anche spiritualmente.   La carità è una virtù teologale della massima importanza ed è solo possibile per coloro che vivono in grazia di Dio. Non è un sentimento buonista, filantropica che con la nostra morte finisce, la carità, quella vera continua anche nell’eternità”.

Per Don Milani la carità è invece solo una scelta politica, perché solo questa giova a tutta una classe sociale, non ad un unico individuo e qui se ci fossero ancora dubbi vediamo lo spessore “spirituale” del priore di Barbiana.

Il libro di Pasotto è ricco di riferimenti, storie, aneddoti che arricchiscono e ne rendono piacevole la lettura e danno un quadro assai definito di cosa significa veramente educare al di là degli slogan delle mode e ci fanno comprendere chiaramente chi sono i buoni e i cattivi maestri dove san Giovanni Bosco e don Lorenzo Milani ne sono le figure più rappresentative.

FONTE : STILUM CURIAE

 

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