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Di cosa è fatta la speranza

centro studi livatino cicely saunders emmanuel exitu francesca carloni Mar 12, 2025

di Francesca Carloni

Nelle ultime settimane sono nati al Cielo Cesare ed Elena, un bambino ed una ragazza che, come hanno raccontato le loro mamme sui social network, in comune avevano sicuramente il coraggio e l’amore per la propria fragile vita.

Le famiglie hanno continuato a curare i propri piccoli anche quando sono divenuti incurabili e lo hanno fatto nell’hospice dell’ospedale pediatrico genovese che aiuta i genitori ad accompagnare con competenza, attenzione e dignità i bambini a cui hanno dato la vita verso la fine del viaggio terreno.

La testimonianza luminosa di queste famiglie mi ha ricordato il bel romanzo Di cosa è fatta la speranza di Emmanuel Exitu sulla straordinaria vita di Cicely Saunders, nata infermiera e divenuta a metà del secolo scorso, dopo l’esperienza vissuta accanto ai morenti nelle corsie d’ospedale, pioniera degli hospice.

La Saunders sperimentò come la somministrazione degli antidolorifici consentisse ai pazienti incurabili di sedare la sofferenza fisica e psichica e trascorrere con dignità la fase terminale della malattia.

Il titolo del romanzo pone la domanda “Di cosa è fatta la speranza” e la risposta è proprio nella vita dell’infermiera. La speranza è fatta di persone che agiscono, o meglio, “è fatta di cose che hanno bisogno di qualcuno che le faccia accadere”.

La speranza è fatta dei medici che alleviano la sofferenza e delle famiglie che accompagnano i loro cari nella malattia. È fatta dell’hospice pediatrico che consente al piccolo paziente di portare con sè l’animale di affezione e ai genitori di stringersi intorno a lui, ordinare la pizza per cena e suonare la chitarra.

Come testimonia Andrea Manazza, medico palliativista componente del Comitato nazionale di bioetica, non è vero che la maggior parte dei malati terminali vuole morire, la maggior parte di loro semplicemente non vuole soffrire ed essere abbandonata ai sintomi, alle emozioni e alla tragedia della solitudine.

D’altronde, mi chiedo, chi lo vorrebbe?

FONTE : Centro Studi Livatino

 

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