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Dante fa rima con migrante

dante alighieri la verità marcello veneziani Jul 16, 2024

di Marcello Veneziani

L’unico modo per far sopravvivere Dante Alighieri all’oblio, all’infamia e all’ingratitudine dei posteri è spacciarlo per migrante. 

Così succede che Dante nostro padre, dico padre della nostra lingua, della nostra civiltà e della nostra letteratura, classico intramontabile e vero fondatore dell’Italia, si scopra il precursore dei migranti e dei temi a loro annessi: accoglienza, inclusione, diritti. Il suo viaggio nell’Aldilà è solo la metafora di una migrazione, un viaggio a bordo di una nave delle ong; e Virgilio in realtà è uno scafista che come Caronte, viene “per portarvi all’altra riva”, dalla sponda africana e asiatica a quella italiana ed europea. Il Sacro romano impero che Dante vagheggiava era solo la globalizzazione sotto l’egida dell’Onu e dell’associazione rifugiati. 

L’ennesima puntata del minuetto all’inferno, per citare un’opera di Elémire Zolla, con escursione nel Paese dei Dementi, è stata scritta ieri a Roma. È il progetto “Dante in movimento”, presentato dall’Università di Birmingham e dal Trinity College romano. Nel progetto, spiega entusiasta la Repubblica, non ci sono studiosi di Dante, commenti o pagine antologiche a lui dedicati, ma migranti afghani, cinesi, egiziani, ucraini e via dicendo, che scrivono traendo dalle loro esperienze e dalla loro migrazione, testimonianze dall’inferno, dal purgatorio e dal paradiso del presente globale. 

Intendiamoci, non è affatto male che Dante venga letto e assimilato nel mondo, al di là dei confini occidentali; trattandosi di un poeta davvero universale, è sacrosanto che altri occhi, altre menti si avvicinino a lui, come del resto già avviene da tempo, per altri rami. 

Ma il senso dell’operazione, come tutto il delirio del politically correct, della cancel culture e dell’antirazzismo woke che imperversa ormai da decenni, è esattamente inverso: non è avvicinare altri popoli e altre culture a Dante ma assimilare Dante a loro, ridurre i suoi viaggi ultraterreni nell’altro mondo a ricognizioni nel terzo mondo, tradurre il suo statuto di esule sdegnoso in quello di migrante e rifugiato. Il tema non è più la nostalgia della patria perduta o della civiltà perduta, che fu viva in Dante, ma l’accoglienza, la cittadinanza e l’integrazione dei migranti da noi. Della civiltà cristiana e romana che Dante esprimeva resta la denuncia del colonialismo e dello sfruttamento, che Dante non si è mai sognato di enunciare. 

Non è una nostra indebita congettura ma un’esplicita dichiarazione della curatrice, Jennifer Allsop: lasciando sullo sfondo Dante, dice di aver invitato “dodici profughi a partecipare alle lezioni per condividere le proprie esperienze. Gli studenti hanno così trovato una nuova lente per avvicinarsi alla questione dei migranti”. Il tema non è dunque la poesia di Dante, la sua ispirazione e la sua visione del mondo, di Dio e della nostra civiltà, ma è la solita questione dei migranti, di cui Dante è un evidente pretesto, al più un testimonial rubato al Medioevo per piazzarlo negli spot pubblicitari della nostra epoca. O considerando il titolo, Dante in movimento, il poeta è solo il nome di un barcone che serve per traghettare i migranti e dare loro un passaporto letterario, equivalente a quello diplomatico.

Il legame tra Dante, il suo esilio e i migranti è francamente una forzatura. L’unico tenue, irrilevante legame tra Dante e i migranti riguarda la nostra piccola attualità: il presidente della società Dante Alighieri è Andrea Riccardi che è pure presidente della comunità di Sant’Egidio che si occupa di migranti. La missione per cui fu fondata la Dante Alighieri, far conoscere Dante, la nostra lingua, la nostra civiltà nel mondo, viene esattamente rovesciata nel portare il mondo, gli extracomunitari, le loro usanze da noi. Non Dante nel mondo ma il mondo accolto da noi. Non discuto nemmeno il progetto, dico che con Dante non c’entra affatto, neanche di traverso. 

Il sottinteso di queste operazioni è sempre lo stesso: rifiutare la nostra tradizione civile e religiosa, la nostra cultura, i nostri simboli e costumi; e rifiutare la connessione tra Dante e l’italianità, per renderlo sempre più straniero, migrante, magari di colore, in lotta per i diritti. E il fondamento “ideologico” di questo salto è sempre lo stesso: violentare il passato e costringerlo nel presente, cancellare la differenza abissale tra medioevo e contemporaneità; forzarlo, piegarlo al gergo, alla retorica, ai temi della nostra attualità. Che il processo sia vasto e invasivo me ne accorsi quando mi chiesero di confrontarmi con i ragazzi di un liceo per parlare del mio libro Dante nostro padre; e gli studenti, imbeccati dai loro professori, facevano osservazioni e domande sui soliti quattro temi del nostro ossessivo presente: Dante e la condizione femminile, Dante e l’accoglienza dei migranti, Dante e i diritti gay e gender, Dante e il razzismo occidentale. Temi che con lui non c’entravano una beneamata mentula, per dirla in gergo classico. E li soccorreva solerte la prof democratica, che esplicitava i pregiudizi somministrati ai ragazzi e parlava come quel dannato, Barbariccia, che “col cul avea fatto trombetta”: fiato sprecato, anzi flatulenza demagogica. Di Dante non c’era più traccia. 

Infine una scoperta: abbiamo finalmente conosciuto grazie ai nuovi ricercatori italo-inglesi la vera identità di Beatrice, la misteriosa madonna che guida Dante nel suo viaggio in Paradiso: è Carola Rackete.

La Verità – 12 luglio 2024

FONTE : Marcello Veneziani

 

 

 

 

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