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CONCEZIONE DI DIO NELL’ANTICO TESTAMENTO

emanuele sinese libertà e persona Oct 16, 2024

di Emanuele Sinese*

Introibo 

Il termine Antico Testamento o antico patto fu coniato dagli scrittori e dai teologi dei primi secoli del Cristianesimo. Si pensi a Ireneo di Lione che legittimò reali e propedeutici alla comprensione del Vangelo gli scritti veterotestamentari. Le scritture ebraiche avevano profetizzato l’avvento messianico ai Giudei i quali però non lo hanno compreso e di conseguenza hanno tradito l’antico patto, che Dio aveva stretto con loro per mezzo del sacrificio di Isacco e in successione con la consegna dei Dieci Comandamenti a Mosè. 

STRUTTURA DELL’ANTICO TESTAMENTO 

Come ogni libro anche codesto ha una struttura, quindi degli elementi costitutivi. Esso è composto da 46 libri, che si suddividono in differenti parti: il Pentateuco, i Libri Storici, Sapienziali, Poetici ed infine i Libri Profetici. 

L’ENIGMA DI DIO NELL’ANTICO TESTAMENTO 

Dio in alcuni testi dell’ A. T è presentato come un enigma, ossia come una realtà velata, quasi in antitesi all’uomo. Ne è un esempio il Salmo 14, 1 che afferma: <<Non c’è alcun Dio!>> esso non nega l’esistenza dell’Onnipotente, ma afferma la sua sub stanzia, quindi essere altro rispetto alle comuni creature. La motivazione è semplice, non si può circoscrivere Dio all’uomo. Se lo si ponesse allo stesso strato umano, si sminuirebbe la sua consistenza divina. Si evince quindi la motivazione per cui il pio ebreo non chiama mai Dio con il proprio nome (Jahvè) in quanto il Signore dei Signori non può essere esteso alle attese umane. 

CHI E’ DIO? 

Il libro del Deuteronomio ha presentato Dio così come Egli si è rivelato al popolo amato: <<Io sono Jahvè, tuo Dio, che ti ho tratto fuori dall’Egitto, dalla casa di schiavitù>> questa locuzione teologico esegetica è la manifestazione del monoteismo pratico. Dio che entra in relazione con le sue creature, chiede loro di adorarlo in Spirito e Verità, quindi di abbandonare il peccato che in codesto frangente consta nel prediligere i culti pagani a detrimento del Sommo Dio: Jahvè. Certo va precisato che solo con l’azione e predicazione profetica Israele ha realmente compreso il monoteismo; fino ad essa soprattutto negli strati sociali più indigenti si confondeva la rivelazione jahvista con i culti a Baal ad esempio, che si concretizzano soprattutto con rituali e immolazioni di animali. I profeti quali diretti annunciatori della Parola di Dio hanno richiamato con suppliche, digiuni, ma anche severe ammonizioni l’intero Israele alla comprensione dell’unico e vero Signore. Si pensi alle parole di Elia contro gli adoratori di Baal; egli chiosa così: <<Jahvè è Dio>>. Amos invece afferma così:<< Jahvè è anche il Dio dei popoli>>. Con il Deuteroisaia (libro di Isaia contenuto nell’A.T) il monoteismo diviene professione di fede: <<Ascolta, Israele! Jahvè è il nostro Dio, Jahvè è uno solo>>. Essa è una formula di professione di fede da recitare tutti i giorni. Avviene così una progressiva scissione tra il monoteismo e il politeismo. Suddetta demarcazione è poi affermata dall’istruzione data a ogni israelita: il divieto delle immagini. La giustificazione teologica ha fondamenta nell’istanza qui proposta: a chi vorreste paragonare Dio? Quale somiglianza trovereste con Lui? La motivazione per cui le immagini sono vietate consta nella volontà di non ridurre la trascendenza divina alle attese umane, quindi nel crearsi un Dio a propria immagine e somiglianza, che interviene ad ogni comando. 

L’assolutezza di Jahvè 

La trascendenza divina non concerne solo nelle sole dimensioni spaziali, ma anche nell’esperienza che ogni israelita fa di Dio. Come già citato l’A.T si dissocia dalle varie forme di teogonie e cosmogonie tipiche delle religioni politeiste. Jahvè è il vero Dio è il Dio vivente, un re eterno come lo definisce Geremia. Jahvè è il Dio della vita, della pienezza, che non può essere sminuita dal peccato dell’uomo, ma neanche accresciuta dalla giustizia umana o da gesti e rituali che l’uomo compie per giungere a Lui. Jahvè è il santo per eccellenza, in quanto trascendente rispetto all’uomo.

Jahvè è un Dio personale 

Si è sostenuto che Dio è trascendenza, ma è anche persona. Dio è sì infinito, ma l’uomo creato a sua immagine e somiglianza è chiamato comunque a essere parte di questa infinitezza. Dio è un essere personale in quanto vuole dimorare presso l’uomo. Esodo al capitolo 33, 14 a tal proposito esordisce così: 

<<Io camminerò con voi e ti darò riposo». Riprese: «Se tu non camminerai con noi, non farci salire di qui. Come si saprà dunque che ho trovato grazia ai tuoi occhi, io e il tuo popolo, se non nel fatto che tu cammini con noi? Così saremo distinti, io e il tuo popolo, da tutti i popoli che sono sulla terra». 

Disse il Signore a Mosè: «Anche quanto hai detto io farò, perché hai trovato grazia ai miei occhi e ti ho conosciuto per nome». 

Gli disse: «Mostrami la tua Gloria!». 

Rispose: «Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Signore, davanti a te. Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia». Soggiunse: «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». Aggiunse il Signore: «Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere». 

Esodo 33, 14

Si evince che Jahvè è il Dio per l’uomo. Le copiose pagine dell’A.T con i differenti generi letterari mettono in evidenza il messaggio fondamentale che Dio vuole trasmettere: Egli in totale libertà e determinazione ha voluto donare all’uomo e al mondo la pienezza dell’esistenza, che si attua anche quando il popolo prescelto per stanchezza si concede all’idolatria. Dio nonostante il rifiuto da parte delle sue creature continua incessantemente a rinnovare la sua alleanza con loro. 

La rivelazione del nome 

La rivelazione del nome di Dio avviene nel contesto della liberazione del popolo amato dalla schiavitù dell’Egitto. Nel libro dell’Esodo al capitolo 3, 1 – 15 si narra questo evento così fondamentale:

Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Mádian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. 2 L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. 3 Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». 4 Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». 5 Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». 6 E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. 7 Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. 8 Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. 9 Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. 10Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». 11Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto?». 12Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte». 13Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». 14Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”». 15Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione. 

Egli si rivela a Mosè così: Io sono colui che sono! E’ il tetragramma sacro. Esso sta a indicare la volontà da parte di Dio di essere presente nella vita dell’uomo, nelle sofferenze e gioie delle sue creature, Egli quindi pur essendo assoluto non è indifferente al richiamo delle creature. Tutta la storia di Israele è pervasa da questa certezza: Dio fin dalle origini, quindi dalla creazione ha la ferma volontà di voler dimorare presso l’uomo. Certo in codesto frangente presso il popolo amato: Israele il quale in ogni atto di culto ricorda sempre questa locuzione teologica, che è poi la professione di fede: «Io sono il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto dalla condizione servile».

Esodo 3, 1 – 15

Jahvè come padre 

In Osea al capitolo 11, 1 – 9 Jahvè si manifesta al popolo prescelto con amore paterno. Si adottano toni di tenerezza: il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione e molti altri. Dio è presentato come un padre che ama i suoi figli e che adotta anche forme “materne” per relazionarsi con essi. La figura di Dio come padre è presente anche in Isaia 64, 7 e Malachia 2, 10. Si precisa che la concezione di maternità, sta a indicare la misericordia che Dio adotta nei confronti del suo popolo, al quale infatti perdona ogni sorta di iniquità. 

Jahvè come pastore 

Al capitolo 34 del Libro dell’Esodo Jahvè è presentato come pastore. E’ già chiaro il rimando all’avvento messianico e alla costituzione della Chiesa. Il buon pastore è Cristo che mediante la persona del Vescovo conduce al Padre le anime a lui affidate. Il buon pastore si collega anche la salmo 23, che è un salmo ecclesiastico, in quanto propone il Signore come pastore e il vincastro altro non è che il pastorale del Vescovo il quale come Mosè è chiamato a condurre il gregge verso la salvezza. 

Jahvè come sposo 

L’eros tra uomo e donna se vissuto nel matrimonio e in purezza permette al divino di abitare in loro. L’unione tra Jahvè è Israele è sponsale. Una sponsalità certamente altalenante a causa del peccato e quindi in scissione con il creatore, ma mai da Lui ripudiata perché prescelta. Si pensi a Osea che sul suddetto frangente definisce Israele prostituta per essersi concessa all’idolatria, quindi ai culti di Baal, ma allo stesso tempo esorta il popolo a ravvedersi affinché l’amore di Dio torni in loro a risplendere. 

Jahvè come re 

Originariamente il sostantivo re aveva accezione salvifica. Egli era colui il quale doveva porre ordine al caos. Jahvè è colui il quale con la sua forza santificatrice pone fine al caos che imperversa nella storia, creando un’alleanza con il popolo prescelto. La promessa di salvezza affermata nel Deuteroisaia a Sion è questa: <<Il tuo Dio è re!>>. La regalità divina non va confusa con la tirannia, ma compresa nell’escatologia, quindi nella speranza della salvezza, che si attuerà con la nascita del Messia anche se differenti israeliti non l’hanno però compresa.

*Emanuele Sinese è nato a Napoli il 24 Novembre 1991 e da anni vive a Bergamo. Ha frequentato l’Istituto di Scienze Religiose in Bergamo, conseguendo nel 2017 la Laurea triennale con la tesi Il mistero eucaristico in San Pio da Pietrelcina. Nel 2019 ha ottenuto la Laurea magistrale con la tesi La celebrazione eucaristica secondo il rito di San Pio V.  È insegnante specialista di Religione. Da ottobre 2024 prosegue gli studi presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.

FONTE : Libertà e Persona

 

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