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Combattere per la salvezza eterna ma anche per la salvezza qui e ora

costanza miriano il blog di costanza miriano Aug 29, 2024

di Costanza Miriano

“A volte c’è più fede in una bestemmia che nella vostra indifferenza” – disse una volta un mio professore al liceo. Saltai sulla sedia. Ero parecchio combattiva allora, e l’affermazione mi parve blasfema, immagino che contestai la cosa con la mano vigorosamente alzata. Adesso però capisco in che senso la dicesse, e sono d’accordo. “C’è una sorta di fede – spiegava – in un contadino che, per esempio inveisce contro Dio perché una grandinata gli ha rovinato il raccolto. È la fede di chi sa che la sua vita è precaria e dipende in tutto da un Altro”.

Non vorrei semplificare troppo, ma mi chiedo se l’attuale senso di generale indifferenza nei confronti di Dio possa dipendere anche da questo, complessivamente: viviamo in una fetta di mondo in cui siamo garantiti nei bisogni fondamentali. Tutti noi sappiamo che domani mangeremo sicuramente qualcosa, ci sarà un cuscino su cui posare la testa, e che se ci viene anche solo un mal di testa potremo prendere un analgesico. Abbiamo le assicurazioni, visite mediche a piacimento, abbiamo la pensione e insomma in generale una certezza di vita impensabile nei secoli scorsi. Non è certo un male, anzi, ma può diventare un inganno: può farci credere di non dipendere da nessuno e niente. Certo, quella del contadino che inveisce per la grandinata magari è solo una religiosità naturale, però può essere una disposizione alla fede. Il benessere e la sicurezza invece tendono a farci dimenticare che la vita è un combattimento per la salvezza, un combattimento così grave e drammatico che Dio stesso si è fatto uomo ed è morto sulla croce per darci la possibilità di vincerlo. Combattimento per la salvezza eterna ma anche per la salvezza qui e ora.

“Per il tuo nome, Signore, fammi vivere” – diceva il salmo delle Lodi di stamane “liberami dall’angoscia, per la tua giustizia. Non nascondermi il tuo volto perché non sia come chi scende nella fossa. Al mattino fammi sentire la tua grazia, perché in te confido”. Dipendiamo da Dio a ogni respiro dell’anima, per questo la preghiera più urgente è quell’”O Dio vieni a salvarmi” con cui cominciamo la liturgia delle ore e il rosario. Mi pare che lo scriva padre Giuseppe Forlai (nel suo stupendo “Come una piccola creatura”, una preziosa guida alla vita spirituale; non lo ho qui con me, ma cito a memoria) è quella che riassume tutti i salmi e tutte le preghiere. Chiediamo a Dio che venga a salvarci, e che venga presto, perché nell’uomo ogni cellula chiede salvezza, e in ogni momento, non solo nell’ora della morte. Nei giorni in cui faccio più fatica a pregare (tutti?) e comincio il rosario duecento volte, mi ritrovo a pregarla in continuazione. O Dio. Vieni. A salvarmi. L’avrò già detto? Va beh, nel dubbio lo dico ancora. È stato bellissimo quando ho letto che questa è la sintesi di ogni preghiera, perché a volte io mi fermo lì, e la mente subito si distrae.

L’uomo che si sente sicuro materialmente rischia di ingannarsi, e di credere di farcela da solo. Non è un caso che nelle epoche e nelle zone di apparente maggiore sicurezza dilaghi l’ansia e ogni sorta di malattia del cuore, che magari si cerca di curare come se fosse un problema mentale. Come se l’uomo potesse saziarsi il cuore senza Dio.

Per me è questa la grande tentazione collettiva di questa epoca, anche nella Chiesa, anche per tanti consacrati, anche a livelli alti, nelle gerarchie. Anzi, a volte mi viene il dubbio di vedere due chiese (uso la c minuscola perché una delle due di sicuro non è vera). Temo che un bel po’ di battezzati, ma anche sacerdoti (e anche vescovi e cardinali direi) pensino che Gesù sia una bella figura, ma non che sia Dio, cioè che la venuta del suo regno sia il fine della nostra vita e la ragione dell’esistenza della Chiesa. Il suo regno prima di tutto nei nostri cuori, e poi in tutto il mondo. C’è una parte di Chiesa che pensa che l’uomo sia capace di vero bene anche senza che questo venga da una relazione con Dio. Questo credo sia l’errore più grande e più diffuso, ma a un livello davvero endemico. Altro che questione dell’omosessualità, ecologia, clima, destra e sinistra, principi non negoziabili e questioni liturgiche. Il vero tema per me è questo.

Stare alla presenza di Dio è il sommo bene, ed è l’unica felicità possibile. L’uomo da solo non è capace di fare il bene, non è che siamo posti davanti alla scelta tra bene e male, e il bene è Dio e noi lo scegliamo. No. Le cose non stanno così. Lo schema è: qui c’è il male, che ti rende infelice, qui c’è il bene, che ti rende felice, ma al quale da solo e con le tue forze non riesci ad aderire. Unisciti a me – che con il battesimo sono dentro di te – e io in te compirò il bene.

Quante volte sentiamo predicare così? Io non spessissimo, eppure è ciò che annuncia la Chiesa, ed è una cosa troppo, troppo importante per la nostra vita. Al centro di tutto c’è il nostro rapporto con Dio, e fuori da questo non è possibile per noi fare il bene. Se non desideri la volontà di Dio non puoi essere felice, manca sempre qualcosa. Infatti – ho scoperto, forse voi già lo sapete – il numero del demonio è 666 perché non arriva mai al 7 che è la pienezza. So che questo modo di considerare Dio è considerato fondamentalista, eppure è ciò che la Chiesa (che non è la gerarchia ma la comunione dei santi, sempre vivi e sempre contemporanei) annuncia da sempre.

Cercare Dio con tenacia, ricordando che da quello dipende tutto, è al centro del cuore di ogni monaco, e anche di noi monaci wi-fi. Al nemico questo non piace, e prova in tutti i modi a distrarci da quello che ci rende felici. Ma noi sappiamo quali sono le armi: Gesù dice che certi demoni non si allontanano che con la preghiera e il digiuno. Parleremo anche di questo il 9 novembre a San Pietro, nel cuore della Chiesa, che conferma la nostra fede, sempre, perché le porte degli inferi non prevarranno. 

FONTE : Il Blog di Costanza Miriano

 

 

 

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