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Che cosa significa essere cristiani e cattolici?

francesco lamendola Sep 17, 2022

di Francesco Lamendola

Che cosa significa essere cristiani, e cristiani cattolici? In questo momento storico di grande confusione, molti s’interrogano e domandano che cosa si può e si deve fare; se rimanere nella Chiesa cattolica è coerente con l’essere cristiani e cattolici; se non sarebbe meglio separarsene, ad esempio aderendo alla Chiesa greco-ortodossa e facendosi ortodossi, visto che lì sopravvivono fermenti di autentico cristianesimo più che non se ne vedano nel desolato paesaggio della Chiesa cattolica, ove un vescovo come Vincenzo Paglia fa affrescare la sua chiesa con un grande dipinto omoerotico che, fra l’altro, rappresenta il Signore in maniera blasfema; un teologo come Enzo Bianchi nega la divinità di Gesù Cristo; un generale dei gesuiti come Sosa Abascal nega l’esistenza reale del demonio; e infine un papa come Bergoglio proclama che Dio ha bisogno dell’uomo, che la Via Crucis è la storia del suo fallimento, che Gesù si è fatto diavolo e serpente e che Maria Santissima si è sentita tradita e ingannata dal Padre, quando il suo Figlio divino è spirato sul legno della croce.

Rispondiamo con decisione che no: che un cattolico non può cambiare chiesa come si cambia un prodotto al supermercato; che essere battezzati nella Chiesa cattolica equivale a un assenso che dura per tutta la vita; e che la presenza e il conforto di Gesù Cristo, io sono con voi ogni giorno, sino alla fine del mondo (Mt 28,20)  non viene meno per l’indegnità, le colpe e gli errori di un clero traviato e impazzito, che di fatto ha apostatato e vorrebbe trascinare nell’abisso dell’apostasia anche l’ignara massa dei fedeli, ingannandola nella sua buona fede e giungendo a pratiche idolatriche, come l’intronizzazione della Pachamama a Roma, o del dio indù Ganesa (dalla testa di elefante) in una chiesa spagnola di Ceuta, o l’allestimento di spettacoli scandalosi e immorali nel duomo di Vienna da parte di quel’arcivescovo,  o la sacralizzazione del siero miracoloso al posto di Gesù Salvatore, tutte cose che generano turbamento, sconforto, amarezza e angoscia nei fedeli e gridano vendetta al cospetto di Dio.

Quante volte ci siamo sentiti ripetere che frequentare la Messa novus ordo, specialmente con la formula dell’una cum Bergoglio, equivale a una profanazione idolatrica; quante volte ci siamo sentiti chiedere, da persone che avevano già la risposta pronta e perciò non domandavano per avere lumi, ma si preparavano ad accusare, se è lecito accostarsi al Santissimo Sacramento in tali condizioni; e quante volte siamo stati attaccati, insultati, denigrati, per aver risposto che Gesù è il solo ed unico padrone della storia e della Chiesa, quindi anche della Santa Messa; che Egli non guarda le magagne dei sacerdoti o dei vescovi, ma la purezza di cuore dei credenti; che sì, la Messa di Paolo VI è inficiata da elementi protestanti e perfino massonici, ma ciò non ne fa eo ipso una cosa diabolica, perché vi è pur sempre un vestigio dell’adorazione del vero Dio; che ad amministrare i Sacramenti è Gesù medesimo; che il fedele non ha l’obbligo di essere un esperto in teologia per giudicare se il sacro rito si svolge in forma regolare (eccezion fatta per gli abusi più vistosi, che chiunque percepisce e dai quali deve stare lontano come dalla peste), e tanto meno indagare se quel tale sacerdote o quel tale vescovo è stato regolarmente consacrato, perché, se a consacrarlo fosse stato per caso un superiore sospetto di eresia, tutti i suoi atti risulterebbero automaticamente nulli.

No. Gesù non pretende dai fedeli né una laurea in teologia, né un’indagine poliziesca per appurare l’ortodossia dei sacerdoti che officiano nelle loro parrocchie; non coltiva la pedagogia del sospetto, non incoraggia la diffidenza sistematica, né pretende, tranne in casi estremi, dei quali anche un cieco non può che prendere atto, che i laici si facciano giudici dei sacerdoti. Anche perché il cattolico rifiuta la dottrina luterana del sacerdozio universale e crede, fino a prova contraria, che il sacerdote conosca di più, e meglio, la materia della fede, cioè la vera dottrina coi suoi dogmi, i suoi comandamenti e i suoi anatemi (oggi, è vero, passati di moda, ma presenti comunque nel Magistero perenne, come fari che brillano anche nella notte più lunga e oscura); e salvo, ripetiamo, la smentita di fatti evidenti e inequivocabili, deve avere per essi quanto meno quell’atteggiamento di carità cristiana che non si nega neppure ai peggiori peccatori. E infine, chi è stato battezzato con l’acqua e lo Spirito Santo, non può dire: io me ne vado da questa Chiesa; esco, non ne faccio più parte: poiché il cattolico ha sempre saputo ch’è impossibile cancellare l’azione dello Spirito Santo e se ciò vale per il cattolico che vuole rinnegare Dio e proclamarsi ateo, vale anche, e a maggior ragione, per il cattolico che vuole scappare nel momento in cui la Chiesa, che è come la sua madre, si trova in gravissime difficoltà, rinnegandola e maledicendola, perché, così facendo, come il figlio snaturato, egli rinnega e maledice se stesso.

Alcuni, a questo punto, sono tentati di obiettare che, quando vennero battezzati, erano dei neonati che evidentemente non potevano assolutamente rendersi conto di quell’atto: non potevano né comprenderlo, né dare il loro assenso. Questa è precisamente l’obiezione che da sempre gli eretici, impastati di razionalismo e umana superbia, muovono al battesimo dei fanciulli. Per la stessa ragione, essi dovrebbero biasimare la Prima Comunione data ai bambini di otto anni, che certo non possono comprendere razionalmente il suo significato (come se lo potessero gli adulti!): eppure la decisione di far accostare i bambini al più sublime dei Sacramenti fu presa da quel san Pio X che, a parole, codesti cattolici ultra-tradizionalisti hanno sempre in bocca, e in nome del quale vorrebbero condannare qualunque frequentazione della Messa novus ordo e qualsiasi atto liturgico implichi la formula dell’una cum Bergoglio. Come se pregare per un’anima, fosse pure di un grande peccatore, avesse in sé qualcosa di fondamentalmente sbagliato. Ma chi sono costoro che vogliono sedere a scranna e scagliar fulmini a destra e a sinistra, magari ripetendo sempre più ossessivamente che il loro papa è Benedetto XVI? Sanno o non sanno, se proprio vogliamo parlare di ortodossia teologica e dottrinale, che Benedetto, come tutti gli altri papi da Giovanni XXIII in poi, si è sempre posto sullo stesso terreno erroneo e in definitiva eretico della falsa libertà religiosa, del falso ecumenismo e del falso dialogo inter-religioso di Bergoglio? E sono poi così soddisfatti di dichiararsi seguaci di un pastore che è fuggito innanzi ai lupi, come farebbe un mercenario al quale non importa nulla delle pecore, lasciando che il gregge si sbandasse e venisse attaccato da tutte le parti? Ha detto Gesù (Gv 14, 11-15):

 11 Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. 12 Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; 13 egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. 14 Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15 come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. 

Un grande filosofo cristiano – formalmente protestante, ma non privo di spunti “cattolicizzanti” -, Søren Kierkegaard, si è posto la domanda di cosa significhi essere cristiani: ed è giunto alla conclusione che si deve distinguere fra la conoscenza del cristianesimo e l’adesione al cristianesimo. Nel primo caso, si può sapere cosa è il Cristianesimo, anche senza essere cristiani; ma nel secondo caso, non si può sapere cosa è un cristiano, senza esserlo. Infatti per Kierkegaard la scelta di essere cristiani  una scelta esistenziale radicale, che impegna tutto il proprio essere e modifica da cima a fondo la propria vita (e ha ragione); e ne deduce (sbagliando) che ciò richiede un lungo spazio di tempo per capire e per decidere, per cui è sbagliato battezzare i bambini. Egli confonde l’esercizio del cristianesimo, per usare il linguaggio a lui caro, con l’atto di essere cristiani: pecca di volontarismo e d’individualismo. Il cristiano è tale per la grazia di Dio e quindi per l’opera dello Spirito Santo: perciò il battesimo dei bambino è valido, saggio, necessario. Ma poi il cristiano cresce nella fede mano a mano che, acquisendo l’uso della ragione, aderisce con la volontà alla fede nella quale è stato cresciuto, e che gli dispiega innanzi, via, via, tutte le sue meraviglie, e lo Spirito Santo lo arricchisce dei suoi doni soprannaturali, superiori a qualsiasi scelta o decisione umana, a qualsiasi atto della volontà soggettiva.

Scrive Kierkegaard nelle Briciole di filosofia e nella Postilla conclusiva non scientifica (a cura di Cornelio Fabro, Bologna, Zanichelli, 1962; in: Reale-Antiseri-Baldini, Antologia filosofica, Brescia, La Scuola, 1990, voll. 3, pp. 207-210):

La questione di che cos’è il Cristianesimo bisogna porla, ma non in maniera dotta, e nemmeno in maniera parziale, in base al presupposto che il Cristianesimo sia una dottrina filosofica, perché in tal caso la speculazione non è più soltanto una parte, ma  è parte e giudice insieme. La questione bisogna porla dunque sul piano dell’esistenza, e qui bisogna anche poterla risolvere, e risolvere brevemente. Infatti, mentre si capisce benissimo che un dotto teologo dedichi la sua vita intera a indagini sulla vita della Chiesa e della Scrittura, sarebbe una comica contraddizione se un esistente, che sul piano dell’esistenza cerca che cos’è il Cristianesimo, dovesse dedicare la sua vita intera a discuterne, perché allora quando mai esisterebbe nel Cristianesimo?

Oppure si può mai riuscire a sapere cos’è il Cristianesimo, se non si è per proprio conto cristiani? (…) Al problema, se si possa sapere cos’è il Cristianesimo senza essere cristiani, si deve senz’altro rispondere affermativamente. Altro è il problema se si possa sapere cos’è un “cristiano” senza esserlo: qui si deve rispondere negativamente. Invece bisogna pure che il cristiano sappia  nello stesso tempo cos’è il Cristianesimo e possa dircelo, in quanto è già diventato tale.

Io non credo che lo sbaglio di esser diventati cristiani all’età di quindici giorni possa meglio esprimere che col ricordare che si è giunti al punto che si possono trovare dei cristiani… che ancora non sono diventati cristiani! Il passaggio al Cristianesimo è compiuto così per tempo che questo passaggio non è che una possibilità di compierlo. (…)

Ma mentre tutti si preoccupano di determinare dottamente e di comprendere speculativamente il Cristianesimo, non si vede mai nessuno che ponga la questione di cos’è il Cristianesimo in modo da mostrare ch’egli la pone nell’ambito dell’esistenza e nell’interesse di esistere. E perché? Ohibò, per la ragione che ormai noi tutti siamo senz’altro cristiani! E con questa stupenda invenzione dell’”essere cristiani senz’altro” la Cristianità è arrivata tant’oltre che non si sa più con precisione cos’è il Cristianesimo. E la spiegazione di cos’è il Cristianesimo, essendo stata confusa con la questione dotta e speculativa del Cristianesimo, è diventata un storia così prolissa che ancora non è finita: si attende una nuova opera sull’argomento. Colui che diventò cristiano col presupposto che la situazione di passaggio era contemporanea alla venuta del Cristianesimo nel mondo, ben sapeva cos’era il Cristianesimo; e colui che vuol diventare realmente cristiano deve sentire quest’impulso, un impulso che neppure la madre più teneramente entusiasta del proprio bambino riuscirà a scoprire in quella tenera età di quindici giorni. Ma noi siamo tutti cristiani! I cristiani eruditi discutono per sapere cos’è in fondo il Cristianesimo, ma ad essi non viene mai in mente d’essere altro che cristiani, come se fosse possibile di sapere con sicurezza da se stessi di essere qualcosa quando  non si sa con esattezza cosa essa è.

Il cuore del ragionamento di Kierkegaard è che cristiani non si è senz’altro; nessuno è un cristiano senz’altro: tutti dobbiamo divenire cristiani, perché tutti ci dobbiamo convertire, sempre di più, un giorno dopo l’altro. Estendendo la riflessione, possiamo aggiungere che anche essere cattolici è un impegno, un percorso che dura per tutta la vita e non dipende dal fatto che il sacerdote reciti o non reciti la formula una cum Bergoglio (anche se, lo confessiamo volentieri, è un autentico sollievo se non la recita, ed è legittimo frequentare quella Messa ove ci è risparmiato quel momento d’intimo disagio, che ci distrae dalla solennità del Sacrificio eucaristico); né dal fatto che il vescovo della nostra diocesi faccia per così dire il tifo per Francesco o per Benedetto. Questa è politica: non c’entra con la fede.

Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà (Lc 2,14), cantano le schiere angeliche alla nascita di Gesù. Dunque, in definitiva: essere cristiani significa essere in pace con Dio, che è una pace ben diversa da quella del mondo. E perciò dispiacere al mondo, ed essere odiati dal mondo. Chi vuol essere in pace con il mondo, non può ricevere la vera pace del vero Dio: Vi lascio la pace, dice Gesù, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. (Gv 14,27).

 

 

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